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Intervista a Davide Brivio: le differenze tra Formula 1 e MotoGP

Ex dirigente Yamaha e Suzuki, Brivio dopo aver passato tre anni in Formula 1 è tornato all’ovile, in MotoGP, dove per la prima volta lavora con un’azienda italiana, Aprilia, nel team americano Trackhouse

 

Quando ha vinto il titolo mondiale con Suzukio e Joan Mir, nel 2020, Davide Brivio ha deciso di porre fine alla sua lunga esperienza in MotoGP per passare all’affascinante mondo della Formula 1. Conclusi tre anni con il team Alpine, però, ha deciso di tornare nel Mondiale a due ruote più famoso del mondo, e all’inizio di questa sua nuova avventura con il team Trackhouse e Aprilia, ecco cosa ci ha raccontato in esclusiva.

Cosa ti ha spinto ad accettare questa proposta?
Avevo deciso di chiudere l’esperienza in Formula 1 dopo tre anni alla fine di dicembre. In cuor mio speravo di tornare in MotoGP, perché è dove avevo già passato molto tempo e dove potevo dare un mio contributo. Conosco molte persone qui e mi sarebbe piaciuto tornare.

Quali sono le differenze principali che hai trovato tra Formula 1 e MotoGP?
Ce ne sono molte perché la macchina è più grande di una moto, quindi ci sono molte più persone che lavorano e soprattutto per progettare, costruire e sviluppare una macchina ci sono molte più componenti, quindi le risorse in F1 sono molto più grandi per forza di cose. Poi anche il settore automotive è un po’ più “ricco” rispetto al settore motociclismo. È tutto molto più grande. 
Ci sono cose positive e negative in entrambi i mondi. Magari l’ambiente F1 è un po’ più esasperato. La differenza è anche che ci sono 10 team, qualcuno con un costruttore dietro, ma in realtà sono dieci team tutti allo stesso livello come trattamento, che competono per vincere delle gare. Ognuno fa il proprio sviluppo. In MotoGP invece ci sono i team ufficiali e team indipendenti e non è la stessa cosa. Ad ogni modo per me è stata una bellissima esperienza, ringrazio la Renault e l’Alpine che mi hanno permesso di farla. Adesso sono contento di essere qui.

In questi tre anni ti è mancato qualcosa dell’ambiente MotoGP?
Qui forse riesco a essere un po’ più direttamente coinvolto nell’organizzazione e nelle decisioni. Di là essendo una struttura più grande, ci sono molte più persone. Il lavoro che faccio io in MotoGP in F1 lo fanno magari in sei o sette persone. Ci sono vari reparti, c’è molto più da fare, è inevitabile. Da un certo punto di vista è più divertente la MotoGP perché fai più cose e vedi molti più aspetti di un’intera organizzazione. In F1 sei più settorizzato nel tuo ruolo e magari non sai neanche cosa succede nel reparto di fianco.

Da un punto di vista più umano e passionale invece?
Ho incontrato persone molto carine o amici in F1 con cui sono rimasto in contatto. Da quel punto di vista è fatto di persone fortemente appassionate. I meccanici sono ragazzi fantastici in F1, si fanno davvero un bel mazzo, come in MotoGP. A livello di management c’è forse la grossa differenza perché in F1 ci sono molti più aspetti commerciali. Se mi è permesso dirlo è molto più “business” rispetto alla MotoGP. Qui è un po’ più focalizzata sullo sport a livello manageriale, la F1 anche molto sul business. Dagli ingegneri in giù poi sono tutti appassionati, fanno il loro lavoro e si divertono.

Che avventura è questa con Trackhouse e con Aprilia?
Interessante perché ho visto fin dall’inizio Trackhouse come un team indipendente ma un po’ speciale, per la storia che c’è dietro. Si tratta di una società di racing americana, impegnata nella Nascar che decide di espandersi anche in MotoGP e che fa del racing la propria attività. Il fatto che sia americana ha catturato la mia attenzione perché penso ci sia un’opportunità di scambio professionale e culturale con quella che è la loro mentalità, che a me piace molto. Sono sempre rimasto affascinato dagli sport americani: supercross, NBA, Nascar. È un bel progetto che sta nascendo ora, lo vediamo dall’inizio, guidato da Justin Marks che oltre a essere molto appassionato, è stato un pilota lui stesso, è ambizioso. Cerchiamo di fare un buon lavoro.

Che ambiente hai trovato in Aprilia?
È la prima volta che nel motociclismo lavoro con un’azienda italiana, perché ho sempre lavorato con i giapponesi. Da un punto di vista linguistico è più facile. Le aziende italiane di racing sono composte da grandi appassionati e quindi questo è molto positivo. Mi piace molto anche la voglia di continuare a migliorare, a spingere, cercare di sviluppare sempre di più la moto, che è invece una cosa che i giapponesi affrontano con più metodo: c’è un programma, c’è un piano, si prosegue su quello. Noi europei – credo sia così anche in Ducati e KTM – affrontiamo le cose inseguendo di più i problemi, prendendo decisioni anche più affrettate, però il racing è questo e credo sia anche giusto così.

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