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La Dakar di Moto Guzzi, una storia di passione senza fortuna

Le moto di Mandello del Lario hanno partecipato alla maratona africana fin dalla prima edizione. Grandi le potenzialità, disastrosi i risultati, nonostante la passione dei privati

La Parigi-Dakar è stata una fonte inesauribile di storie mitiche di avventura e di coraggio, oltre che un banco di prova formidabile per moto che hanno calcato i deserti del Sahara prima di diventare dei cult anche sul mercato. Non tutte sono state storie di successo: Moto Guzzi per esempio ha partecipato alla maratona africana - non continuativamente- dalla prima edizione del 1979 fino al 1991, ma i risultati non sono stati esaltanti, anche per via di un impegno che è stato merito più dell'intraprendenza dei privati che del sostegno della Casa.


Fin dal principio

Moto Guzzi è presente al via già della prima edizione, per merito dell’importatore francese Seudem, che schiera ben cinque V50 modificate (denominate TT500) affidate a Martine Rénier, Eric Breton, Piatek, Bernard Rigoni e Alain le Grand. Il telaio è rinforzato, la forcella anteriore una Marzocchi da 240mm di corsa. Il serbatoio è quello della V7 da 30 litri, ma per il resto la moto è praticamente quella di serie. Sulle piste dell'Algeria le Guzzi “volano” grazie al bicilindrico e gli avversari iniziano a tenerle in nota, ma quando il terreno si fa più tecnico, la limitata escursione della sospensione posteriore e il cerchio in lega di serie pagano pegno. Bernard Rigoni è l'unico dei cinque che termina la gara, 48esimo assoluto su 74 arrivati (nella prima edizione la classifica è unica tra auto e moto).

I guzzisti francesi tornarono alla Parigi-Dakar con nuove moto basate sempre su V50 nel 1980 e nel 1981, ma non riescono a terminare la gara. La trasmissione a cardano è un limite, a meno di non rivedere nella sostanza tutto il sistema ruota-sospensione, ma bisognerà aspettare qualche anno per vedere un progetto nuovo.


L'arrivo di “Barabba”

Nel frattempo BMW mostra a tutti che si può vincere anche con il cardano e il bicilindrico. Hubert Auriol e Gaston Rahier dominano il raid nel 1981, 1983, 1984 e 1985 con la G/S opportunamente modificata e preparata. Claudio Torri, un giovane architetto bergamasco che ha da poco preso parte a qualche rally e ha corso la sua prima Dakar, si presenta a Mandello del Lario rilanciando l'idea di correre la maratona africana con un prototipo da lui allestito. La proposta è chiara: datemi la moto, al resto ci penso io. Il ragioner Donghi, che tiene i conti al patron De Tomaso, acconsente a fornire una V65TT e comunque gran parte del lavoro viene svolto a Mandello insieme all'ingegner Cesaretti. Sospensioni a lunga escursione, telaio irrobustito, motore preparato, serbatoio da 50 litri realizzato in house e sella monoposto sono gli elementi caratterizzanti di quella che sarà poi chiamata V65 Baja e che sarà costruita in ben 17 esemplari (l’importatore francese ne chiederà infatti 15). Si lavora tanto ma le ruote rimangono quelle stock e non reggono alle sollecitazioni. Un vero peccato: alla Dakar del 1985, Torri deve fronteggiare vari problemi e alla fine si deve ritirare per il cedimento della batteria, che non regge le temperature.

Ecco la V65 Baja di "Barabba"


L'entusiasmo cresce

Le potenzialità comunque ci sono, la moto viene presentata al salone di Milano del 1985 e Seudem decide di iscrivere due piloti (Drobecq e Rigoni) per il 1986, che si vanno ad affiancare alla partecipazione di Torri. Il motore è il 4 valvole della V75, i cavalli sono poco più di 60, una buona base. I carburatori sono dei Dell'Orto da 30mm con pompa di ripresa. Si cambia anche l'angolazione degli ammortizzatori posteriori per renderli più progressivi e il forcellone è più lungo. Il cambio è quello della moto fornita in dotazione alle forze armate della NATO, con pedivella al posto del motorino di avviamento. I freni sono Brembo: un disco flottante da 270mm all’anteriore e uno forato da 250 al posteriore. La gara però è un disastro: il forcellone in ferro non regge alle sollecitazioni, è una raffica di ritiri.

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Ecco la Baja con motore 4 Valvole

L'ostinazione di Torri

Nel 1988 Torri si ripresenta con la V75 “Tropicana” dal nome dello sponsor, abbreviata poi in T.A.P., che però in realtà è l'acronimo di uno scaramantico “tutto a posto”. Purtroppo non è così e la moto, che ha una bella livrea e una linea aerodinamica, affonda inesorabilmente nella sabbia della seconda tappa. Ancora una volta si rompe la ruota posteriore, Torri sparisce dalla classifica e dai radar, per comparire solo giorni dopo, tra mille leggende legate alle sue avventure africane.

L'ultimo tentativo di “Barabba” è datato 1991 e vede in gara finalmente un prototipo molto più raffinato, la Guzzi "Severe" che monta il bicilindrico 940 della SP da 71 cavalli e cilindri con riporto al Gilnisil. Il lavori svolto è importante: testate invertite (daranno problemi di surriscaldamento degli scarichi), telaio e forcellone in alluminio e trasmissione a catena. La moto pesa 207kg e sembra promettere bene, ma l'alimentazione a iniezione è quella della California e i guai di carburazione si sprecano. La moto lo appieda addirittura nel corso della prima tappa ed è la parola fine dell'avventura di Torri e della Moto Guzzi alla Dakar.

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