Sicurezza stradale, veicoli connessi: nasce il Connected Motorcycle Consortium
Rendere tutti i veicoli circolanti per strada connessi e capaci di riconoscersi e dialogare tra loro. Il piano è ben definito, ma per applicare la necessaria tecnologia anche alle due ruote serve uno sviluppo dedicato. Da qui il ruolo del Connected Motorcycle Consortium
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Connected Motorcycle Consortium
Rendere i veicoli a due ruote parte integrante dei futuri sistemi di comunicazione. Questo, in sintesi, l’obiettivo primario del Connected Motorcycle Consortium (CMC), organizzazione no profit nata dall’unione di costruttori, produttori e ricercatori impegnati nello sviluppo della cosiddetta comunicazione “vehicle-to-vehicle (V2V)”. Ne abbiamo parlato in più occasioni, recentemente in riferimento ai veicoli a guida autonoma: in un’ottica di maggior sicurezza, nel prossimo futuro, tutti i mezzi circolati su strada dovranno necessariamente essere tra loro sempre connessi. Un’automobile dovrà per esempio “sapere” che dietro l’angolo sta sopraggiungendo un’altra automobile, che nei paraggi c’è un camion pronto a svoltare a destra e che, nel frattempo, un’altra automobile è ferma al semaforo. Questo il “concetto” sui cui si basa l’intero discorso, il cui fine ultimo (almeno quello più nobile) è, per l’appunto, quello di rendere le strade un luogo sicuro e di limitare il più possibile gli incidenti dovuti alla distrazione del guidatore (che ad oggi sono la stragrande maggioranza).
Il discorso - ecco spiegato meglio i ruolo del Connected Motorcycle Consortium - è assai più complesso quando si ragiona in termini di due ruote: come ben sappiamo e be abbiamo constatato guardando alle prime sperimentazioni di guida autonoma, le moto hanno un modo di comportarsi assai diverso rispetto a quello di un’auto, che sulla carreggiata, al contrario per esempio di uno scooter, tende a mantenere una posizione più chiara e “prevedibile”. Ugualmente, dispositivi come quello di assistenza alla frenata, funzionano in modo completamente diverso, non potendo, è chiaro, intervenire su di una moto nello stesso modo in cui potrebbero intervenire su di un’auto. Fondamentalmente, avvisano gli esperti, l’idea di estendere alle due ruote una tecnologia sviluppata per le quattro senza apportare le necessarie modifiche di funzionamento è semplicemente impensabile. Per moto e scooter serve uno sviluppo dedicato, al quale contribuirà appunto il CMC facendosi “ambasciatore” delle esigenze di noi centauri nei laboratori in cui si sviluppano le nuove tecnologie V2V.
Il discorso - ecco spiegato meglio i ruolo del Connected Motorcycle Consortium - è assai più complesso quando si ragiona in termini di due ruote: come ben sappiamo e be abbiamo constatato guardando alle prime sperimentazioni di guida autonoma, le moto hanno un modo di comportarsi assai diverso rispetto a quello di un’auto, che sulla carreggiata, al contrario per esempio di uno scooter, tende a mantenere una posizione più chiara e “prevedibile”. Ugualmente, dispositivi come quello di assistenza alla frenata, funzionano in modo completamente diverso, non potendo, è chiaro, intervenire su di una moto nello stesso modo in cui potrebbero intervenire su di un’auto. Fondamentalmente, avvisano gli esperti, l’idea di estendere alle due ruote una tecnologia sviluppata per le quattro senza apportare le necessarie modifiche di funzionamento è semplicemente impensabile. Per moto e scooter serve uno sviluppo dedicato, al quale contribuirà appunto il CMC facendosi “ambasciatore” delle esigenze di noi centauri nei laboratori in cui si sviluppano le nuove tecnologie V2V.
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