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SBK 2014 intervista esclusiva Ernesto Marinelli: “Troy Bayliss uno dei migliori con cui ho lavorato”

Notizie Superbike – In occasione dello scorso round a Misano, abbiamo fatto una chiacchierata con Ernesto Marinelli, attuale team manager Ducati con alle spalle una carriera lunga e produttiva. Il titolare della rossa di Borgo Panigale ci ha parlato della sua attività, con un occhio particolare ai piloti con cui ha lavorato, del rapporto con Gigi Dall'Igna e dei benefici che la continua ricerca tecnologica porta alla produzione di serie
Dalla pista alla strada
In questo importante periodo di rinascita della Ducati, qualche giorno fa abbiamo avuto l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con il team manager Ernesto Marinelli. Il modenese ha alle spalle una carriera professionale impegnativa, sempre sviluppata in casa Ducati, con tanto di esperienza americana nel campionato AMA, ecco cosa ci ha raccontato.

Hai fatto una tesi di laurea sugli scarichi Ducati negli anni 90, ti saresti aspettato 25 anni dopo di ricoprire un ruolo simile?
Sono sempre stato fin da piccolino appassionato dei motori. Ho smontato il mio primo 48 che avevo 11 anni e giravo in campagna dietro casa mia, sono nato un po' con la benzina nel sangue. Quando ho fatto l'università ho avuto la fortuna di avere come professore Cantore, adesso rettore della facoltà di ingegneria di Modena, che mi ha fatto entrare nel mondo Ducati, proponendomi una tesi sui condotti di aspirazione e scarico. Da lì ho cominciato a collaborare con Ducati e ho cominciato a conoscere quel mondo che fin dall'inizio era unico nel suo genere per me. Poi la Ducati di allora rispetto a quella di adesso è completamente diversa. Il primo mondiale l'ho fatto nel 1997, alla fine di quell'anno ero l'ingegnere di pista più anziano perché era l'era in cui si era iniziato ad impostare il lavoro con l'ingegnere di pista. Poi sono mi hanno "spedito" in America dal 1998 al 2000 come responsabile del programma americano AMA Superbike.

Quanto è stata importante nella tua carriera questa esperienza americana?
Molto, secondo me è stata fondamentale. È stata molto dura all'inizio, ero l'unico italiano in una struttura tutta americana, con metodi completamente diversi, mi ha formato a 360 gradi perché oltre a fare il tecnico c'era una struttura molto basica. Alla fine del primo anno avevo finito gestendo la posizione dati di tutti e due i piloti, facendo il giro pista di tutti e due i piloti e dovevo anche in parte insegnare ai meccanici alcune cose strutturali della moto. Poi mi ha consentito di approfondire molto bene la lingua inglese, quei tre anni lì sono stati proprio oro in questo campo. Sono tornato a fine 2000, nel 2001 e 2002 avevo la responsabilità tecnica del team dove correva Ben Bostrom, da fine 2002 quando abbiamo iniziato a lavorare sui due progetti paralleli MotoGP e SBK, mi è stato chiesto di occuparmi di tutta la parte tecnica della Superbike. Da lì ho ricoperto questo ruolo fino al 2009, nel 2010 mi hanno chiesto di diventare direttore del progetto che ho mantenuto fino ad adesso. Non mi hanno tolto la parte tecnica, quindi sono stato con il piede in due staffe ma sono molto contento. L'impegno che ha richiesto in questi anni è stato assoluto, uno sforzo anche di vita privata notevole, sei sempre in giro. Però chi è appassionato e fa questo mestiere, sa che ti chiede talmente tanto e lo fai solo se lo ami profondamente. Se lo consideri solo un lavoro ti stanchi presto.

Comè il rapporto con il direttore responsabile Ducati Corse Gigi Dall'Igna?
Gigi è il pilastro di tutta Ducati Corse come è stato Filippo Preziosi fino a qualche anno fa e Gobmeier per un anno. L'arrivo di Gigi è stato molto importante, io mi sono trovato molto bene fin da subito. Senza stravolgere Ducati corse si è inserito con fermezza e comunque ha dato delle dritte che sono servite alla struttura, sia in MotoGP che in Superbike. Il direttore generale è quello che decide tutto. Gigi è arrivato, si è fidato in parte delle persone che c'erano dentro, secondo me ha saputo ascoltare bene quali erano i problemi, ha usato la sua competenza per aiutare tutti i programmi. Adesso abbiamo una struttura e un gruppo sicuramente monodirezionale che ci consente ogni volta che andiamo in pista di affrontare i problemi e migliorarli pezzettino per pezzettino.

In questi 25 anni di attività, quali sono stati i piloti che ti hanno dato indicazioni preziose per migliorare la moto?
I piloti sono fondamentali per lo sviluppo, poi bisogna sempre stare attenti tra un pilota e l'altro perché ognuno ha il suo stile di guida. Per la mia esperienza in questi anni ho visto che il set up ideale o magico non esiste, esiste solo quello che ti fa andare forte ed è il set up che da più confidenza al pilota e gli permette di spingere come lui vuole. Tra tutti quelli con cui ho lavorato i più talentuosi che ricordo sono Carl Fogarty, che è stato uno dei primi nel 1997, Neil Hodgson e lo stesso Anthony Gobert in America, che è uno dei piloti con più talento che io abbia mai conosciuto. Ben Bostrom è stato un altro pilota con cui ho lavorato per tanto tempo e con cui abbiamo avuto tante soddisfazioni. Uno dei piloti che tecnicamente mi ha insegnato più di tutti è stato John Kocinski, un pilota che ha la sua stessa sensibilità ancora non l'ho conosciuto. Era veramente di una precisione pazzesca, mi ha insegnato quello che i libri non hanno fatto, e cioè associare la sensazione che sente un pilota alle  variazioni di assetto che fai. Tu sai geometricamente cosa cambia, ma quello che il pilota percepisce lo capisci solo se la guidi. Dal 2006 ho lavorato di nuovo con Troy Bayliss,, con lui era un lavoro diverso perché ha la qualità di dare sempre il 120% e tarare tutto sul tempo sul giro, è un pilota che non ti frega, è onesto. Fai una variazioni va dentro, torna e ti dice non mi piace però ho girato due decimi più forte, Ci sono altri piloti tipo Haga che pur essendo un grande pilota di grande talento, devi stare molto più attento a quello che dice perché con lui si rischia di andare più fuoristrada. Non tira mai fino alla Superpole o alla gara e quindi si basa tutto sulle sensazioni. Solo che quando sei mezzo secondo lontano dal limite, alcune variazioni possono fare la differenza o meno.

Com'è stato lavorare con Troy Bayliss?
Troy era uno dei più amati, lavorando con lui era impossibile non amarlo. Dava talmente tanto. Poi nel mondo delle corse nessuno si risparmia mai, nessuno si da mai per vinto e quindi c'è sempre un atteggiamento in cui spingi fino alla morte. Sicuramente avere un pilota che vedi che, nonostante qualsiasi tipo di problema, dà sempre l'anima, ti coinvolge in tutti gli aspetti. Lui è un personaggio unico, ha veramente una naturalezza nell'andare forte in moto che non conta quanto tempo sta senza andarci, non conta che moto gli dai. Vedi per esempio quello che ha fatto sulla MotoGP. Come regalo dopo la vittoria del titolo in Superbike la Ducati gli ha regalato la partecipazione alla gara di Valencia. Ha voluto il suo team e quindi siamo andati con lui. Sicuramente è stata la gara più bella della mia vita, il week end che più mi ha stremato, ma è stata una delle imprese più spettacolari che ancora ricordo.

Quali benefici porta alla produzione di serie la continua ricerca tecnologica di Ducati?
Sicuramente è una componente fondamentale, nel senso che le tecnologie e il livello di prestazione che riesci a sviluppare durante le corse, in una normale attività su strada è difficile portare avanti. Ovviamente si provano tutte le cose nel mondo più estremo possibile e dopo le riporti sulle moto di serie, è fondamentale nel senso che l'azienda che produce moto, non produce moto per correre ma corre per vendere moto. Specialmente in un periodo di crisi come questo, avere un prodotto che è all'avanguardia a livello tecnologico è fondamentale per sopravvivere. Le corse sono una piattaforma molto importante per fare sviluppo tecnologico. 
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