Moto d'epoca, Ducati Scrambler: un successo anche 40 anni fa
La Ducati Scrambler è senza dubbio il fenomeno dell'anno, i dati di vendita dimostrano che il prodotto è stato perfettamente azzeccato, ma lo stesso successo ebbe anche la "prima" Scrambler, quella degli anni 70 a cui il modello attuale si ispira fortemente. Ecco la sua storia
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Un successo che viene da lontano
E' la moto del momento e a Borgo Panigale si fregano le mani per gli eccellenti dati di vendita... Ma quali sono i punti in comune tra la Scrambler di oggi e l'antenata? Quarant'anni non sono passati invano e alla Ducati è cambiato tutto, anche se il motore bicilindrico della 'nuova' e il mono della 'vecchia' sono accomunati dal nome del loro progettista: Fabio Taglioni. Non manca, in effetti, qualche reale richiamo al passato: il manubrio, il motivo cromatico del serbatoio, in parte la sella. Ma tutto si ferma lì. Julien Clement, alla Ducati dal 2011, è giovane. E' lui che ha disegnato la 'nuova' Scrambler, ma quando la 'vecchia' imperversava sulle nostre strade lui non era ancora nato... Vediamo allora un po' più da vicino quella moto che molti definirono 'il fenomeno degli anni '70'.
Innanzitutto bisogna riconoscere alla Ducati di avere avuto già allora una grande abilità nel comunicare. Ciò che è stato fatto oggi a proposito della nuova Scrambler è un esempio impeccabile di marketing, ma più di quarant'anni fa lo slogan 'Potere Ducati' con le coinvolgenti immagini statiche e dinamiche di motociclisti senza casco (allora si poteva) e con una semplice T-shirts che pubblicizzavano la Scrambler sulle riviste dell'epoca lasciò il segno. E poi c'era l'indubbio fascino del nome Ducati, la possibilità di scegliere tra tre moto cilindrate diverse (250, 350 e 450) e un prezzo di acquisto fortemente concorrenziale, fattori che contribuirono al successo di questa moto. La 450 poi, esteticamente identica alle altre, aveva una cilindrata importante (anche se il numero 500 le avrebbe dato ancor più prestigio) che la avvicinava alle maxi di moda, peraltro ben più costose e impegnative. Su una cosa, però, anche il grosso mono di Borgo Panigale era impegnativo: l'avviamento, rigorosamente a pedale. E se le 'piccole' 250 e 350 erano più malleabili, la 450 non perdonava. Chiedete a chiunque l'abbia avuta all'epoca, o se la goda oggi come moto d'epoca, se almeno una volta non ha imprecato dopo un contraccolpo alla pedivella... Ma il punto focale di quella moto era senza dubbio costituito dal motore, il monoalbero Ducati con distribuzione comandata da un albero verticale e coppie coniche opera di Fabio Taglioni e del suo staff. Un progetto sofisticato: solo per fare l'esempio più famoso, quel tipo di distribuzione era simile a quella del motore Norton Manx: una moto da gara capace di vincere la classe regina del motomondiale… E' vero, probabilmente un buon 'aste e bilancieri' avrebbe dato le stesse prestazioni, sarebbe costato meno e avrebbe dato meno grattacapi a livello di assemblaggio e manutenzione. Ma il legame tra Ducati, Taglioni, il monoalbero e la distribuzione desmodromica (peraltro non applicata, se non in rarissimi casi, ai propulsori della Scrambler) era ormai divenuto inscindibile. La storia ci dice che la prima Ducati con qualche timida velleità fuoristradistica risale alla fine degli anni '50. Si trattava di una 175 ampiamente derivata dalla versione stradale, solo con un vistoso manubrio a 'corna di bue' e il nome, Turismo Americano, che lasciava ben intendere a quale mercato si rivolgesse.
E' la moto del momento e a Borgo Panigale si fregano le mani per gli eccellenti dati di vendita... Ma quali sono i punti in comune tra la Scrambler di oggi e l'antenata? Quarant'anni non sono passati invano e alla Ducati è cambiato tutto, anche se il motore bicilindrico della 'nuova' e il mono della 'vecchia' sono accomunati dal nome del loro progettista: Fabio Taglioni. Non manca, in effetti, qualche reale richiamo al passato: il manubrio, il motivo cromatico del serbatoio, in parte la sella. Ma tutto si ferma lì. Julien Clement, alla Ducati dal 2011, è giovane. E' lui che ha disegnato la 'nuova' Scrambler, ma quando la 'vecchia' imperversava sulle nostre strade lui non era ancora nato... Vediamo allora un po' più da vicino quella moto che molti definirono 'il fenomeno degli anni '70'.
Innanzitutto bisogna riconoscere alla Ducati di avere avuto già allora una grande abilità nel comunicare. Ciò che è stato fatto oggi a proposito della nuova Scrambler è un esempio impeccabile di marketing, ma più di quarant'anni fa lo slogan 'Potere Ducati' con le coinvolgenti immagini statiche e dinamiche di motociclisti senza casco (allora si poteva) e con una semplice T-shirts che pubblicizzavano la Scrambler sulle riviste dell'epoca lasciò il segno. E poi c'era l'indubbio fascino del nome Ducati, la possibilità di scegliere tra tre moto cilindrate diverse (250, 350 e 450) e un prezzo di acquisto fortemente concorrenziale, fattori che contribuirono al successo di questa moto. La 450 poi, esteticamente identica alle altre, aveva una cilindrata importante (anche se il numero 500 le avrebbe dato ancor più prestigio) che la avvicinava alle maxi di moda, peraltro ben più costose e impegnative. Su una cosa, però, anche il grosso mono di Borgo Panigale era impegnativo: l'avviamento, rigorosamente a pedale. E se le 'piccole' 250 e 350 erano più malleabili, la 450 non perdonava. Chiedete a chiunque l'abbia avuta all'epoca, o se la goda oggi come moto d'epoca, se almeno una volta non ha imprecato dopo un contraccolpo alla pedivella... Ma il punto focale di quella moto era senza dubbio costituito dal motore, il monoalbero Ducati con distribuzione comandata da un albero verticale e coppie coniche opera di Fabio Taglioni e del suo staff. Un progetto sofisticato: solo per fare l'esempio più famoso, quel tipo di distribuzione era simile a quella del motore Norton Manx: una moto da gara capace di vincere la classe regina del motomondiale… E' vero, probabilmente un buon 'aste e bilancieri' avrebbe dato le stesse prestazioni, sarebbe costato meno e avrebbe dato meno grattacapi a livello di assemblaggio e manutenzione. Ma il legame tra Ducati, Taglioni, il monoalbero e la distribuzione desmodromica (peraltro non applicata, se non in rarissimi casi, ai propulsori della Scrambler) era ormai divenuto inscindibile. La storia ci dice che la prima Ducati con qualche timida velleità fuoristradistica risale alla fine degli anni '50. Si trattava di una 175 ampiamente derivata dalla versione stradale, solo con un vistoso manubrio a 'corna di bue' e il nome, Turismo Americano, che lasciava ben intendere a quale mercato si rivolgesse.
La Scambler di oggi, evidente l'estetica ispirata alla antenata
La prima per l'America
La prima Ducati denominata Scrambler è una 250 che nasce tra il 1961 e il '62 ed è ancora destinata agli USA. Questa volta ci sono le ruote artigliate, lo scarico libero, un manubrio alto e uno scarno impianto elettrico. La Scrambler italiana arriverà solo qualche anno dopo, precisamente nel 1968, col nuovo motore denominato 'carter larghi', ovvero con gli attacchi al telaio più distanziati in senso trasversale, e un nuovo telaio più robusto e strutturato che furono alla base di una nuova serie di motociclette declinate in più versioni. Tra queste c'erano appunto anche le Scrambler, commercializzate nelle cilindrate di 250 (74 x 57,8 mm) e 350 (76 x 75 mm). Al Salone di Milano del 1969 si aggiunse a queste la versione di 450 cm3 (86 x 75 mm), in pratica una 'tre e mezzo' col pistone più grosso. Visivamente le si riconosceva per il colore del serbatoio: giallo per la 250, arancio per la 350 e giallo (diverso dal 250) per il 450. La Ducati Scrambler ebbe un eccezionale successo di vendita in Italia. Il motivo? Senza dubbio l'estetica anticonformista e unica nel suo genere, ma anche e soprattutto il contenuto prezzo di vendita. Basta scorrere i listini del 1971 per comprendere come avvicinarsi a queste motociclette fosse alla portata di molte più tasche di quanto lo fossero non solo le giapponesi di pari cilindrata, ma anche molte delle più evolute 125 da fuoristrada. Le tre Ducati costavano rispettivamente 400.000, 450.000 e 500.000 lire. Con la stessa cifra con cui si portava a casa la 450 si poteva comprare un Hercules K125 GS o una Zundapp GS125 (480.000 lire), ma si doveva chiedere uno sconto se si voleva una Puch 175 (545.000 lire). La Honda 450 bicilindrica era su un altro pianeta (812.000 lire). La Ducati si faceva così perdonare qualche difetto (il più grave la fragilità del cuscinetto della testa di biella del 450), un assemblaggio non sempre impeccabile e un bel po' di vibrazioni (specialmente il 450). Nel 1973 la Scrambler subì un restyling: i cerchi in acciaio furono sostituiti da un paio di Borrani in alluminio, la forcella restò Marzocchi ma ebbe gli steli scoperti e gli ammortizzatori persero i soffietti di gomma. Il freno anteriore divenne un più efficace tamburo Grimeca a 4 ganasce. Diverso anche il fanale, col guscio più schiacciato e cromato anziché nero, mentre la zona centrale del telaio, che sulla prima serie era aperta o poteva essere riempita con due borse sagomate in similpelle, si arricchì di due fianchetti di plastica. Tra il 1968 e il 1976, ultimo anno di produzione, la Ducati produsse circa 50.000 Scrambler, un numero che da solo giustifica la definizione di 'fenomeno' ricordata in apertura.
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