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Marquez-Rea, i cannibali hanno fatto 13

I due campioni hanno conquistato l'ottavo e il quinto titolo in MotoGP e Superbike: li accomuna la voglia costante di migliorarsi e la capacità di plasmare moto e team a propria immagine e somiglianza. Il futuro sarà ancora di Marc e Johnny per lungo tempo, ma il vento nel motociclismo sportivo può cambiare anche in fretta
Marquez e Rea sembrano destinati a regnare ancora a lungo: con Guido Sassi andiamo a vedere i loro numeri da capogiro e le prospettive di un domani che li vedrà sicuri protagonisti.

La razza dei cannibali nello sport conta un numero decisamente limitato di individui, ma la loro presenza negli annali riesce a segnare intere decadi: nel motociclismo sportivo di velocità per esempio stiamo vivendo l'era di Marquez e Rea, i due dominatori di MotoGP e Superbike. Domenica il campione di Cervera ha conquistato il proprio ottavo titolo nel motomondiale, Johnny una settimana prima aveva messo in cassaforte il quinto alloro tra le derivate di serie.

Cambia tutto tranne loro
Dal 2016 in poi sono cambiati gli avversari ma la coppia festeggia a fine anno con lo stesso rituale, la stessa moto, lo stesso team. Rea ha iniziato nel 2015 a infilare gli anelli al dito e ormai ha finito una mano, Marc in quella stagione registrò l'unico stop in MotoGP, ma prima aveva già messo in bacheca altri due titoli in classe regina più i mondiali di Moto2 e classe 125. Marquez è arrivato a 8 titoli in dieci anni e sembra destinato come il nord irlandese ad aumentare il conto. In queste stagioni i due hanno sbaragliato la concorrenza: Lorenzo, Pedrosa, Rossi, Dovizioso, Sykes, Davies, Melandri, Bautista sono caduti sotto i colpi senza tregua dei due campioni, che hanno ormai raggiunto 13 titoli in due ma non sembrano destinati a fermarsi. Oltre a un appetito insaziabile e alla capacità di migliorarsi continuamente, entrambi i piloti hanno una caratteristica in comune: corrono da diversi anni con la stessa moto e all'interno della stessa squadra. La continuità li ha aiutati non solo a prendere una confidenza fuori dal normale con il proprio mezzo, ma anche a indirizzare lo sviluppo nella direzione preferita.

Il matrimonio perfetto
Il discorso vale per Rea e ancora di più per Marquez, che ormai ha plasmato talmente la RC213V in base alle proprie esigenze da renderla inguidabile per ogni altro compagno di marca. Il caso di Lorenzo è emblematico: salito a novembre sulla Honda, il maiorchino non si era trovato male, ma le specifiche aggressive di motore richieste da Marc per il 2019 hanno completamente messo fuori causa il 99 ed esaltato la guida scomposta da cowboy dell'otto volte campione del mondo. Rea dal canto suo in questa stagione ha “domato” la Ducati pur senza correrci. Il pentacampione ha sofferto nelle prime dieci gare, ma ha mostrato un inedito profilo da incassatore di professione: in sella alla Ninja ha raccolto altrettanti secondi posti e dopo un terzo nella seconda gara di Assen è passato all'attacco. Dorna e la sua Kawasaki lo hanno aiutato con qualche giro motore in più, il resto lo hanno fatto il polso destro di Johnny e una capacità unica di non lasciare niente per strada. Bautista è crollato al tappeto in quattro mesi, così come in MotoGP la concorrenza di Marc ha saputo aggiudicarsi qualche sporadico round, senza però mostrare un singolo, solido opponente.

Soli contro tutti senza paura
Marquez ha vinto 9 gare da solo fino a oggi, Dovizioso, Rins, Vinales e Petrucci 6 sommando i propri sforzi. Anche sommando tutti i loro migliori risultati Marc sarebbe comunque davanti in campionato e il Frankenstein che verrebbe fuori dall'unione delle qualità degli avversari. Le cose non cambiano tra le derivate di serie: Rea ha vinto 10 manche ed è arrivato secondo in altre 14, Bautista ne ha portate a casa 14 ma con soli altri 5 podi. Gli altri avversari hanno giocato il ruolo dei comprimari: Davies, van der Mark, Razgatlioglu hanno raccolto le briciole di 4 vittorie.

Un futuro segnato?
Quanto potrà andare avanti questo dominio? L'anagrafica dei due campioni può dare una prima risposta. Marquez è classe 1993, Jonathan invece è un 1987. La carriera di Rea ha presumibilmente meno anni davanti a sé, ma la superbike permette di correre a lungo. L'ultimo esempio in tal senso lo ha portato Max Biaggi, capace di vincere un titolo tra le derivate di serie all'età di 41 anni.
Insomma, sulla carta si potrebbe anche immaginare un'altra decade di regno per tutti e due, anche se poi le cose nella carriera di un pilota possono cambiare rapidamente. Valentino procedeva a passo di marcia fino all'infortunio del 2010 e al biennio successivo in Ducati: da lì però non ha più saputo tornare ai livelli precedenti, per lo meno come numeri. Marquez ora sembra inarrestabile, ma in MotoGP tutto può cambiare da un anno all'altro: una specifica di gomma diversa, una moto che trova una via nuova di sviluppo, un avversario nuovo come può essere Fabio Quartararo. Le possibilità di detronizzare Marquez sono poche, ma non nulle e lo stesso Marc in futuro potrebbe – speriamo ovviamente di no- incorrere in un infortunio. In SBK il fattore moto può perfino essere più influente e il caso della Panigale V4R è sotto gli occhi di tutti. Se poi in MotoGP è ancora difficile scorgere l'erede di Marquez, tra le derivate di serie può sempre arrivare dal motomondiale un pilota deluso o in fase avanzata di carriera a scompaginare le carte.
Come sempre all'inizio della prossima stagione si sprecheranno i pronostici su chi potrà succedere ai due campioni, che intanto questo inverno potranno luccicarsi gli occhi guardando i propri 13 titoli mondiali. O più facilmente Marquez e Rea saranno a casa ad allenarsi come non mai, perché i cannibali hanno sempre fame.
 
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