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Lorenzo: “Ecco qual è il senso del pericolo di un campione di MotoGP”

Il motociclismo è, per definizione, uno sport pericoloso. Il cinque volte iridato ha raccontato quando se n’è davvero reso conto, ricordando il tragico momento della morte di Marco Simoncelli

"La sfortuna e il caso esistono nella vita"

Jorge Lorenzo si è ritirato dalle corse nel 2019, appendendo il casco al chiodo e ponendo fine ad una carriera ricca di soddisfazioni e duelli che sono rimasti nella storia. Oggi che è un pensionato di lusso ha raccontato quanto un pilota abbia paura della morte e del rischio che corre ogni volta che sale in sella. Nel podcast 'TheWildProject' ha raccontato come riporta Motosan.es: “Alla fine, la vita è una questione di giorni. Ci sono molte volte in cui ti sei trovato sul punto di perdere la vita stessa ma non è andata così. La sfortuna e il caso esistono nella vita, ma non dovremmo pensarci o dipendere da queste cose. Si deve pensare di avere tutto sotto controllo”.

La tragedia di Marco Simoncelli

Il primo ricordo che gli viene alla mente è datato 23 ottobre 2011, quando Marco Simoncelli morì durante il Gran Premio della Malesia: “Sai che può succedere, che puoi morire, ma non ci pensi. Per questo quando è morto Simoncelli mi sono messo a piangere, non capivo più niente. Ero convalescente dopo aver perso un pezzo di una falange, in un incidente avvenuto nel GP d’Australia. Ero a Barcellona con mia madre e davanti alla televisione ho visto morire Marco. Ho poi chiamato Carlos Checa, eravamo amici all’epoca, ne abbiamo parlato ed era anche lui sotto shock”.

C’è stato poi un preciso momento in cui si è reso conto razionalmente della pericolosità di questo sport: “Ero a Phillip Island, uno dei circuiti più veloci e pericolosi del Campionato, la moto si era rotta e i meccanici avevano bisogno di 4 o 5 ore per ripararla. Dato che non avevo niente da fare, ho mangiato un po' di pasta e sono andato al muretto dell'ultima curva, per vedere passare Pedrosa, Rossi, Stoner... Ero vicinissimo al muretto, le moto passavano a una decina di metri. Ho visto Pedrosa e Rossi e ho detto 'anche io vado così come loro?’ Ho pensato, 'se qualcosa va storto, se passiamo sopra una piccola pietra e la moto perde il controllo, cadiamo e kaput'".

Perché un pilota si sente invincibile

Per l’ex pilota maiorchino la mente non tiene presente il pericolo che il motociclismo rappresenta finché non si trova di fronte a una situazione grave. “Quel momento è stato come se ti venisse gettato addosso un secchio di acqua fredda. Pensi a vincere e ad andare il più veloce possibile nella curva successiva. Poi sei così protetto - con il casco, con la tuta, con i guanti e con gli stivali - che ti viene una sensazione di calore e ti senti capace di tutto quando sei in moto, senza accorgerti così del rischio. Solo quando ti succede qualcosa di forte, come mi era successo con il dito o con le due vertebre schiacciate, allora pensi 'cavolo, posso morire in ogni momento’”.

L'incidente pauroso di Marc Marquez raccontato da Lorenzo

Lorenzo si ricorda poi di un incidente che sarebbe potuto essere molto pericoloso per Marc Marquez: “Nel suo primo anno, il venerdì al Mugello, andava a 320 km/h e lì c'è un cambio di pendenza in salita. A quella velocità si alza l'anteriore dall’asfalto e e quando la sua ruota anteriore è sollevata e ha toccato di nuovo il suolo, modificò un po’ la direzione di svolta e la moto andò contro il muro invece di proseguire dritta. È andato contro il muro e per non impattare a 300 km/h ha lanciato la moto e l’ha trascinata per 150 metri. Lì, se non l’avesse mollata e avesse sbattuto contro il muro, non avremmo oggi Marc Márquez, otto volte campione del mondo. Tutto dipende dai millesimi di secondo e dalle decisioni”.

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