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La storia dimenticata del Dr. John: il dentista che rivoluzionò le Guzzi

Ingegnere e dentista, il “Dr. John”  con pochi mezzi e tanta genialità riuscì a riportare alla vittoria le Guzzi. Fu una breve primavera che vale la pena ricordare

Odontoiatra, ingegnere e guzzista, John Wittner, meglio conosciuto come “Dr. John”, fu una figura geniale e carismatica nel mondo delle corse alla fine degli anni 80. Con pochi mezzi e tanta passione riuscì a riportare alla vittoria le Guzzi e a conquistare la fiducia della casa di Mandello. Si è spento lo scorso anno all’età di 78 anni. Ecco la sua storia. 

Da odontoiatra a progettista

La Le Mans vincitrice di due campionati di Endurance USA

Dopo aver studiato ingegneria meccanica alla Lehigh University, Wittner conseguì il dottorato in medicina dentale presso l'Università della Pennsylvania. Tornato dal fronte vietnamita, intraprese la professione odontoiatrica, fondando insieme al Dr. Bill Deal il Deal-Wittner Dental Health Group. Parallelamente alla sua carriera di dentista, Wittner iniziò a preparare moto per le gare a livello amatoriale, partecipando a competizioni locali e mettendo in mostra un talento naturale per le corse. L’esperienza cominciò con Harley-Davidson ma nel giro di poco tempo rimase folgorato dalle Moto Guzzi. "Ho acquistato la Le Mans con l'unico intento di formare una squadra di amici per partecipare a gare di endurance su strada ", raccontava in una recente intervista "Avevo elaborato e guidato diverse Guzzi e sapevo che erano straordinariamente affidabili, l'arma perfetta per le gare di endurance".

Il TT mancato per un ritardo

Wittner nel 1984 conquistò così a mani basse il campionato nazionale di endurance dell'American Motorcyclist Association, nel 1985 decise di vendere l'attività di dentista per dedicarsi solo alle Guzzi e arrivò ancora un successo nell'endurance, sbaragliando la concorrenza giapponese. Nel 1986, la Le Mans a due valove non riuscì più a tenere il passo della rivali a 4 cilindri e il Dr John cercò nuove sfide, decidendo di partecipare al TT. Purtroppo, un imprevisto ritardo della nave che trasportava la moto gli fece perdere l’occasione tanto attesa. 

Il viaggio a Modena

Una sfortunata circostanza che se da una parte lo lasciò al verde, lo spinse dall’altra a cercare nuove opportunità. Visto che era in Europa decise di andare a Modena dove viveva Alejandro De Tomaso, allora proprietario di Guzzi (oltre che di Benelli e Innocenti). De Tomaso era un personaggio spigoloso, ma si innamorò subito di quell'americano in cui riconobbe genialità e pragmatismo tipicamente americani. L'uomo giusto per dare forza a un nuovo corso della casa di Mandello. Fu così che lo coinvolse nello sviluppo di nuova Guzzi. "Ci andai con l'intenzione di rimanere due settimane, ma mi lasciai coinvolgere così tanto che non tornai a casa per due mesi ", raccontò John. "Una mattina di dicembre, mi svegliai e mi ricordai di aver lasciato la mia auto nel parcheggio dell'aeroporto. Mi costò una fortuna recuperarla..."

Nasce un telaio rivoluzionario

Accettata la sfida, il Dr. John tornò in America con la qualifica di "Engineering Development Consultant, North America" ​​di Moto Guzzi, e abbastanza soldi per costruire la moto da corsa Guzzi Stage 3 che aveva in mente. Cuore di questo progetto era un nuovissimo telaio monotrave a sezione scatolata in grado di eliminare le reazioni del cardano in accelerazione. E così nel 1987, nelle mani del pilota Doug Brauneck, la nuova Dr. Johns Guzzi interruppe il dominio di sei anni di Ducati/Harley-Davidson nelle corse US ProTwins, vincendo il titolo del campionato AMA e diventando la Moto Guzzi di maggior successo nei tre decenni trascorsi da quando, era il 1957, la fabbrica aveva smesso di gareggiare nel Motomondiale.

Ecco la Guzzi che dominò il campionato USA riservato alle bicilindriche, sbaragliando Harley e Ducati grazie anche a una innovativa ciclistica 

Ecco la Daytona 1000

Il podio a Daytona 1988, a destra la Guzzi 4 valvole con Bauneck

Wittner fu richiamato in Italia a per lavorare al fianco del responsabile tecnico della casa lariana Umberto Todero. Il compito era chiaro: trasferire l’esperienza maturata nelle competizioni su una moto di serie ad alte prestazioni. Il progetto diede vita ad un modello che adottava molte delle soluzioni sperimentate nelle corse, tra cui, oltre al telaio monotrave, anche una testata a otto valvole su cui a Mandello si lavorava da qualche tempo. Nel 1988 Wittner e il suo team portarono il prototipo della 1000 4 valvole nuovamente nel campionato delle bicilindriche. La moto con Brauneck ottenne un incredibile terzo posto nella famosa gara di Daytona, preceduta dalla Quantel Cosworth di Roger Marshall e dalla NCR Ducati 851 di Stefano Caracchi, la stagione si chiuse con un ottimo quinto posto. Un'annata positiva, nonostante i problemi di sviluppo che comporta un motore nuovo, che portò in dote anche il nome del nuovo modello battezzato Daytona.

L'avventura a Monza

Nel 1989 un'altra impresa, il team del Dr John partecipa alla Due Giorni Internazionale di Monza, un evento molto seguito dagli appassionati nostrani che aveva come momento clou la gara riservata alle bicilindriche sportive. Era presente in forma ufficiale anche la Ducati con la 851 portata in pista da Marco Lucchinelli. Sin dalle prime prove si capisce che la vittoria sarà una questione tra Guzzi e Ducati, Lucchinelli e Brauneck sono gli unici a riuscire a fare in pieno, cioè senza chiudere l'acceleratore, la seconda di Lesmo, curva che all'epoca faceva selezione, identificando i piloti migliori. Marco Lucchinelli staccò la pole-position con un giro strepitoso sul piede dei due minuti, Braunek non fu da meno, staccato  di pochi centesimi, conquistando così il secondo posto in griglia. Sicuramente Lucchinelli non se l’aspettava: c’è una foto scattata sulla griglia di partenza in cui guarda incuriosito quel pilota e quella moto... La gara rispecchiò i pronostici: Lucchinelli subito in testa con un paio di secondi di vantaggio sugli inseguitori. Braunek non partì benissimo e si trovò bloccato da avversari più lenti di lui, ma dopo pochi giri cominciò a macinare gli avversari girando sui 2’01”, un passo incredibile per l’epoca!
Col proseguire della competizione anche Lucchinelli non poté resistere più di tanto e già a metà gara la Moto Guzzi era sola al comando, irraggiungibile da chiunque, anche perché nel frattempo la Ducati si era dovuta ritirare. La festa fu rovinata dalla banale rottura di un cavo candela, che costrinse al ritiro Braunek e la sua Moto Guzzi a gara praticamente vinta.

Un incredulo Lucchinelli scruta la Moto Guzzi Daytona di Brauneck. Accovacciato il Dr John

La Daytona arriva sul mercato, ma è un flop

Dopo Monza, Moto Guzzi perfezionò il progetto, e nel 1990 la Daytona 1000 venne presentata ufficialmente. Nonostante avesse tutte le carte in regola per essere una moto rivoluzionaria per il marchio, la Daytona si rivelò purtroppo un flop commerciale per una serie di motivi tecnici, economici e di posizionamento sul mercato. Potente, il bicilindrico a V di 90° con testata a otto valvole rappresentava un grande passo avanti per Moto Guzzi, ma non era particolarmente sfruttabile su strada. L’erogazione era poco fluida ai bassi regimi e la guida meno godibile rispetto a rivali. Con oltre 230 kg a secco, la Daytona era inoltre  decisamente più pesante rispetto alla concorrenza diretta, a discapito della maneggevolezza, specialmente nelle curve strette e nelle varianti veloci. Il nuovo forcellone con sistema a parallelogramma, che pur riduceva il tipico effetto di sollevamento del cardano in accelerazione, non lo eliminava del tutto, risultando meno efficace rispetto alla trasmissione a catena utilizzata dalle concorrenti sportive. Non da ultimo il prezzo, decisamente troppo elevato per le prestazioni offerte. Infine lo scorretto posizionamento sul mercato, considerando che il pubblico di Moto Guzzi era ancora legato a moto turistiche e sportive dal carattere più "stradale", mentre chi cercava prestazioni estreme preferiva Ducati o i modelli giapponesi.

Daytona 1000: scheda

Motore: Bicilindrico a V di 90°, raffreddato ad aria con testata a 8 valvole da 992 cm3, 95 CV d potenza a 7.500 giri/min e coppia massima di 80 Nm a 6.000 giri/min. Distribuzione a  monoalbero a camme in testa; due carburatori Dell'Orto VHB 29 mm. 

Ciclistica: telaio monotrave in acciaio con rinforzi, forcella telescopica a steli rovesciati da 40 mm con regolazione del precarico molla e del freno idraulico in estensione e compressione, monoammortizzatore oscillante con regolazione del precarico molla. Freni: 2 dischi da 320 mm con pinze a 4 piston, disco singolo da 260 mm con pinza a 2 pistoni. Ruote: cerchi in lega leggera da 17" e 18”, calzati da pneumatici nelle dimensioni 120/70 ZR17 anteriore e 160/60 ZR18 posteriore. Peso: 230 kg (a secco) + 20 litri di carburante. 

Erede delle idee del Dr John fu la MGS-01, qui la sua storia

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