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Le moto con motore rotativo più belle di sempre

Il motore rotativo è una soluzione tecnica affascinante, ma con problemi tecnici che ne hanno frenato la diffusione. alcuni costruttori però ci hanno provato, ecco le moto più belle col "rotativo"

Breve storia del motore rotativo

Ideato dal dott. Felix Wankel – da qui il nome con cui è generalmente più noto – il motore rotativo sembrò, fin dalla sua nascita negli anni ’60, un progetto tanto rivoluzionario quanto promettente. In moltissimi, da General Motors a Rolls Royce, che nel progetto investirono parecchio, dovettero però ricredersi a causa delle difficoltà emerse durante la realizzazione e l’utilizzo di simili motori. Altri invece “tennero” duro, incaponendosi sul progetto, ottenendo però tanti fallimenti e pochissimi risultati. Ma andiamo con ordine. 

Come funziona il motore rotativo

Il principio di funzionamento del motore Wankel è sostanzialmente diverso da quello dei motori a pistoni. Invece di avere cilindri con pistoni che si muovono su e giù, il motore Wankel utilizza un rotore triangolare che ruota all’interno di una camera di forma appositamente sagomata. Durante ogni rotazione, il motore compie le quattro fasi del ciclo termodinamico (aspirazione, compressione, combustione e scarico) in maniera continua e fluida. L’assenza di movimenti alternati consente di ottenere vibrazioni ridotte e un funzionamento estremamente regolare, mentre la struttura compatta e leggera permette al motore di raggiungere elevati regimi di rotazione. Inoltre, il design riduce il numero di componenti in movimento, semplificando in parte la costruzione.

Le criticità

Nonostante le promesse e le promettenti applicazioni sperimentali di successo a cui abbiamo accennato sopra, il motore Wankel incontrò fin da subito le problematiche che, di fatto, ne ostacolarono o quantomeno limitarono l’adozione. Semplificando, i problemi riguardavano: 

- Consumi elevati: a causa della sua geometria e del ciclo di combustione, il motore rotativo tende a consumare più carburante rispetto ai motori a pistoni di pari cilindrata.

- Usura delle fasce di tenuta: le fasce di tenuta di cui il Wankel necessita per mantenere la compressione nelle varie camere di combustione di dimostrarono fin da subito particolarmente soggette a usura e ad un rapido deterioramento, a discapito com’è chiaro di efficienza e affidabilità. Ciò fu uno dei principali ostacoli allo sviluppo su larga scala.

- Problemi termici ed emissioni: la concentrazione di eventi di combustione in uno spazio compatto porta a un’accumulo di calore difficile da gestire. Il raffreddamento, spesso affidato a sistemi ad aria o ad acqua, non sempre era sufficiente a mantenere temperature ottimali, con conseguenti perdite di potenza e usura accelerata dei componenti. Inoltre, la necessità di lubrificare le fasce (o i contatti del rotore) comportava un’elevata emissione di idrocarburi, rendendo il motore “sporco” e meno rispettoso dell’ambiente rispetto ai motori a pistoni (ancor più dei due tempi!). 

Qualcuno però continuò a crederci

Nonostante le criticità sopra ricordate, in molti - e non solo in ambito aeronautico - continuarono a crederci. Oltre a Mazda in comparto automobilistico, tra i principali “sostenitori” del motore Wankel ci furono Suzuki con la sua RE5 Rotary, l’Hercules con la W-2000 del 1974 e, ancor più ostinata, BSA/Norton che, seppur aiutata da un regolamento favorevole, col Wankel riuscì anche a vincere un TT. 

Suzuki RE5

Presentata al Tokyo Motor Show del 1973, l’RE5 fu il tentativo di Suzuki di proporre un’alternativa innovativa ai tradizionali motori a due tempi. Montava un motore Wankel monocilindrico da 497cm3, raffreddato ad acqua, in grado di erogare 62cv a 6500giri. Il peso elevato di quasi 240 kg ed il massiccio consumo di carburante, uniti all’impatto della crisi petrolifera del ’73, ne limitarono però tanto le prestazioni quanto le vendite: dopo sole 6.300 unità, la produzione fu fermata nel 1976.

Hercules DKW W-2000

Un anno dopo il prototipo Suzuki, nel 1974, utilizzando la licenza Fitchel and Sachs, Hercules presentò la W-2000, modello equipaggiato con un motore monocilindrico rotativo da 294 cm3 raffreddato ad aria capace di circa 20 CV di potenza (successivamente portati a 32) per una velocità massima che sfiorava i 150 km/h. Le prime versioni della W-2000 usavano una miscela a due tempi per la lubrificazione (poi sostituita da un iniettore d’olio), e furono prodotti complessivamente circa 1.800 esemplari sotto i marchi Hercules e DKW fino al 1976. Poi, a causa delle problematiche sopra ricordate, la produzione si arrestò ed il progetto fu dimenticato. 

BSA e Norton

Chi forse ci credette di più fu BSA, che iniziò ad esplorare le potenzialità del Wankel nel 1969. Le difficoltà economiche affrontate dal marchio inglese ostacolarono però progetto, che fu abbandonato e ripreso, in seguito, da Norton. Quest’ultima sviluppò un motore migliorato, passando da un singolo rotore da 294cm3 ad una versione a doppio rotore da 588cm3 e circa 85 CV. Il progetto portò alla creazione dell’Interpol II (modello prodotto in sole 350 unità destinata alla polizia tra il 1984 ed il 1989) e, successivamente, a versioni civili, come la Classic e la Commander e le sportive. Il “salto evolutivo” avvenne però con con le RC 588 nata nel 1987, e le RCW 588 e NRS 588: con queste moto, la Casa inglese tornò a farsi notare sulle piste, distinguendosi sia al Tourist Trophy e vincendo, grazie anche ad un regolamento favorevole, l’edizione del 1994 grazie al manico di Ian Simpson. Prestanti in gara e affascinanti dal punto di vista tecnico, le Norton a motore rotativo non si limitarono alle competizioni, trovando una declinazione stradale nella F1. Nonostante buone prestazioni, unitamente alle difficoltà finanziarie ed alle solite a a quanto pare insormontabili problematiche tecniche la diffusione commerciale del motore rotativo rimase però solo un’illusione…

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