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Il tragico flop della Ducati GTL, storia di un progetto "demoniaco"

La GTL è stata un incubo per Ducati, afflitta da infiniti problemi meccanici fu soprannominata negli uffici della casa bolognese "demonio" e "frantoio". Vediamo perché

Affidato all’ing. Tumidei, il progetto della GTL, bicilindrica proposta nelle cilindrate di 350 e 500 cm3, vede la luce durante la primavera del 1975. L’idea era quella di realizzare un bicilindrico parallelo adatto a sostituire la gamma delle monocilindriche monoalbero. Un propulsore, nella teoria, economico, bello da vedere, forte contro la concorrenza e, non meno importante, economico. Non andò esattamente così…

Perchè due cilindri paralleli?

Negli anni in cui IVA, costo della benzina e inflazione galoppante rendevano dura la vita di molti motociclisti, in Ducati  apparve chiara la necessità di realizzare nuovi motori capaci di “tenere il passo coi tempi” (o meglio, con la concorrenza giapponese). Le monocilindriche monoalbero nate sul finire degli anni 50 ormai avevano chiuso il loro ciclo, a metà degli anni Settanta si scelse quindi di affiancare alle grosse cilindrate ad L nuovi bicilindrici paralleli di media cubatura. Un azzardo considerando che, se si esclude il parallelo 500 disegnato da Tagliolini ancora nel ’65 (poi accantonato per favorire lo sviluppo del 750 a L), quel genere di motori risultava appannaggio degli inglesi. Una strada che, seppur rivelatasi sbagliata, portò Taglioni qualche anno dopo alla progettazione del ben più fortunato Pantah. Ma andiamo con ordine…

L’arrivo delle GTL

La 350 venne messa in vendita a 1.304.800 lire, mentre la sorellona da 500 cm3 a 1.450.000. Care se paragonate alla concorrenza italiana (una su tutte la 3 e mezzo di Moto Morini) e carissime se confrontate alle rivali nipponiche, superiori anche da punto di vista delle finiture e della qualità costruttiva generale. Intendiamoci: le GTL apparvero fin da subito buone sotto il profilo dinamico, prestazioni ciclistiche in primis, ma certamente non all’altezza, come d’altro canto erano la maggior parte delle italiane, per ciò che riguarda materiali e cura dei dettagli. Problemi che, come vedremo, rovinarono di fatto la bontà della progettazione stessa. In che senso? I sigillanti - scadenti -  usati per chiudere i carter si scioglievano, creando dighe e depositi che interrompevano il flusso di olio alla testa e non solo. 

L’una è la copia dell’altra

Se si escludono i carburatori più piccoli ed il singolo disco anteriore della sorellina minore, le due versioni, da 350 e da 500, erano fondamentalmente la copia l’una dell’altra. Cosa che, inevitabilmente, portava ad un surdimensionamento generale, specie degli organi meccanici e della ciclistica, a discapito, s’intende, di leggerezza e manovrabilità. Vediamole nel dettaglio. 

Motore, alimentazione, cambio e frizione: bicilindrico affiancato fronte marcia quattro tempi con raffreddamento ad aria. Distribuzione monoalbero a camme in testa comandato da una catena centrale. Due carburatori Dell’Orto PHF da 30mm (da 28 sulla 350), cambio a 5 marce e frizione a dischi multipli in bagno d’olio con comando a cavo. La potenza era di 45 CV a 8.000 giri sulla 500 e di 33 CV a 8.500 sulla 350 cm3, per una velocità massima, rispettivamente, di circa 175 e 160 km/h. 

Ciclistica: forcella teleidraulica Paioli e forcellone oscillante ed ammortizzatori Marzocchi regolabili su 5 posizioni di molla. Freni Brembo, due dischi all’anteriore da 260 mm (singolo sulla 350) e a tamburo centrale da 160mm al posteriore. 

Misure: La sorellona raggiungeva, a secco, i 181 kg, mentre la minore si fermava a 178. Comunque troppi. 

Quanti guai!

Come accennato, le GTL si dimostrarono alla prova dei fatti un vero disastro. I Problemi erano tanti e, purtroppo, le soluzioni arrivarono tardi quando ormai la moto si era fatta una fama terribile. Anche all'interno di Ducati, dove la chiamavano "demonio" per i continui guai che tirava fuori o frantoio per la capacità di distruggere i suoi organi meccanici. 

Oltre al prezzo, sicuramente elevato rispetto alla concorrenza, le due sorelle soffrivano di vari e numerosi “disturbi”. Lo spiega molto bene Silvio Manicardi, all’epoca Responsabile dei reparti di montaggio: “fare l’elenco dei problemi che capitarono - dice - richiederebbe un articolo a se stante, ma i principali furono la rottura di diverse parti, vibrazioni e, soprattutto, un grosso problema alla circolazione dell’olio”. Garantire la tenuta dell’olio tra testa e cilindro parve fin da subito impossibile a causa del passaggio - proprio al centro dei cilindri - della catena di distribuzione. Fu interposta una guarnizione, ma con scarsissimi risultati. Discorso analogo per quanto riguarda i carter motore, che tendevano a muoversi con il caldo e il freddo, spostando gli assi degli alberi. Problema che si rifletteva sulle sedi per l’alloggiamento dei contralberi che creavano evidenti porosità e, ancora, ingenti perdite d’olio. Male anche il pignone catena, che, per usare le parole di  Manicardi - “aveva il brutto vezzo di rompersi in due metà”. Poi c’erano i cappellotti di biella collegati con bulloni da 6 mm che però si rompevano (successivamente ci provarono con bulloni da 8) e, ancora, l’impossibilità di garantire nel tempo una corretta fasatura dell’accensione (probabilmente per la precoce usura delle spazzole). Insomma, un disastro. 

Era anche un po’ “bruttina”…

Nessun accanimento, sia chiaro, ma oltre ai problemi meccanici, le due GTL, è evidente, mostravano parecchie magagne anche dal punto di vista prettamente estetico. Innanzitutto, va detto che se l’obiettivo era quello di realizzare un motore più bello del bicilindrico a “L”, certo non venne centrato: al contrario, i notevoli ingombri dei carter e la conformazione poco elegante dovuta alla protuberanza anteriore necessaria ad accogliere il motorino di avviamento valsero al propulsore il poco lusinghiero nomignolo di “Gobbo”. Ed è già un bel punto a sfavore. Secondariamente, ma non meno importante, il design generale che, seppur firmato dall’altissimo Giorgio Giugiaro, non brillava certo né per originalità né tanto meno per finezza ed eleganza. Altro punto a sfavore. L’accoglienza del pubblico, che ancora non conosceva i problemi tecnici di cui sopra, fu pertanto piuttosto “tiepida”…

Arrivano le Sport Desmo

Fino ad ora abbiamo parlato delle GTL in generale ma, volendo essere più precisi, è bene adesso distinguere tra le differenti versioni prodotte negli anni. A partire dal 1976, entrambe le GTL vennero infatti affiancate dalle versioni SD, cioè Sport Desmo. Sinonimo, almeno nel nome, di sportività, l’SD, “vestita” da Leopoldo Tartarini con risultati forse migliori di quelli ottenuti da Giugiaro, vantava un telaio a doppia culla aperta al posto del più tradizionale monotrave e, cosa più importante, una nuova testata desmodromica capace di accrescere la potenza di circa 5 CV. Se da una parte la Sport Desmo fu in grado di vantare prestazioni di tutto rispetto - pur con qualche inevitabile “perdita” ai bassi regimi (capita quando si “spreme” potenza  rispetto alla unità d’origine di pari cilindrata) - dall’altra continuò a pagare pegno per ciò che riguardava la qualità dei componenti e la cura costruttiva, identica a quella della GTL. Niente da dire, anzi, solo complimenti dal punto di vista della ciclistica, ulteriormente migliorata sia in stabilità che in agilità. Una vera sportiva insomma, con tiro in alto, sospensioni rigide ed un carattere decisamente scorbutico, manchevole però di tutte quelle “attenzioni” che il cliente si sarebbe aspettato da un prodotto “elitario” come le desmo bolognesi volevano apparire (i dischi dei frani arrugginivano in una settimana e, per fare un altro esempio in aggiunta a quelli sopra, l’obsoleto ed impreciso quadro strumenti firmato Veglia non era certo un granchè). Stesso discorso per la sorellina 350 DS, migliorata rispetto alla GTL, meglio “agghindata” e più piacevole nella linea, ma ancora assai carente per ciò che riguardava qualità costruttiva, cura dei dettagli e affidabilità. Difficile, insomma, tener botta alla concorrenza di Honda che, negli stessi anni, proponeva la CB500 Four ad un prezzo addirittura inferiore di 40.000 lire (1.842.000 contro il 1.885.000 richiesto da Ducati). 

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