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Galbusera V8 2T sovralimentata: storia di un mistero lungo 80 anni

Vista una sola volta al Salone di Milano del 1938, la Galbusera V8 progettata da Marama-Toyo e realizzata dal costruttore bresciano Galbusera è rimasta per decenni avvolta da un fitto mistero

Galbusera V8 2T sovralimentata. Il Sacro Graal dei collezionisti italiani, una moto mitica quanto misteriosa, inafferrabile. Di lei si sa pochissimo, ma un nuovo libro, eloquentemente titolato “Misteri svelati e il sogno della Galbusera V8, la moto scomparsa” ne chiarisce per la prima volta la storia. Firmato da Franco Damiani di Vergada insieme a Giancarlo Cavallini, Alessandra Mattei Galbusera e Mirco Snaidero, il volume, che in questi giorni verrà presentato in numerose città italiane, non sarà distribuito dalla rete commerciale ma inviato a richiesta a fronte di una donazione di 30 euro al Moto Club di Trieste. Per informazioni a riguardo potete scrivere a info@motoclubtrieste.com.

Il libro ed il V8 “artigianale”

Il racconto - frutto di una lunga e laboriosa ricerca storica ed iconografica - , si apre con la presentazione del poliedrico Marama-Toyo, progettista, insieme a Galbusera, di ciò che fin da subito fu come il più sensazionale motore motociclistico visto fino ad allora: un V8 da 500 cm3 con compressore. Presentato al Salone di Milano del 1938, il prototipo, anzi, i due prototipi visto che c’era anche in più “modesto” V4 da 250 cm3, furono però abbandonati a causa della Seconda Guerra Mondiale e dei pesanti bombardamenti alleati che, tra il ’44 ed il ’45, distrussero a Brescia l’officina di Galbusera. Da allora, non se ne seppe più nulla: furono cercati in tutto il mondo, per anni, da collezionisti, Musei pubblici e privati. Niente. 

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Ma c’è dell’altro.  Parallelamente all’indagine dell’Ufficio Storico del Moto Club Trieste e degli autori, che ha portato alla luce una storia particolare, svelando numerose verità rimaste a lungo nascoste da una leggenda circolante tra gli appassionati, al “completamento” del lavoro iniziato quasi 100 anni fa da Galbusera e Marama contribuisce anche l’artigiano friulano Mirco Snaidero che, col benestare delle figlie di Galbusera, sta realizzando la copia fedele del “leggendario manufatto”. 

Un’analisi “storica” tra tra verità e falsi miti

Una rara immagine del motore V4 da 250 cm3 presentato nel 1938

In attesa di avere il libro tra le mani e di vedere finalmente coi nostri occhi le forme del mitico V8 riprodotto da Snaidero, cerchiamo, per quanto possibile, di fare chiarezza tra le tante “leggende” che, nel corso degli anni, si sono “aggrovigliate” intorno a questa storia. Per farlo, ci avvarremo della preziosa analisi offertaci anni fa da dal compianto storico del motociclismo Augusto Farneti. 

Un po’ di storia

Prima di affrontare il capitolo “tecnico”, vediamo di ripercorrere la pur breve ma affascinate storia a noi nota. La V8 500 - e con lei la V4 250 - furono presentate al Salone di Milano del 1938. Negli anni in cui il massimo frazionamento per una moto stradale era costituito dai quattro cilindri in quadrato della Ariel 1000, un modesto e poco conosciuto costruttore di Brescia portava alla Permanente un otto cilindri, per di più sovralimentato. Un’idea folle, nata dall’incontro tra Plinio Galbusera e Adolfo Marama Toyo, italiano di Fiume. 

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Ecco il motore V8 ideato da Marama-Toyo, il santo Graal dei collezionisti


I due s’intesero subito e, nel giro di pochi anni, i progetti di Toyo furono “concretizzati” nell’officina di Galbusera. A Milano come nell’intero settore motociclistico, il V8 fece scalpore, ma la guerra costrinse i più a concentrarsi su ben altro, e poi nel 1946 Toyo morì durante una gara. 

Nel dopoguerra l’esigenza di modelli tradizionali spinse Galbusera, scampato ai bombardamenti che distrussero la sua officina di Brescia (e con essa, si presumeva, i due prototipi), a concentrarsi su modelli economici, abbandonando- o magari solo accantonando -  l’idea del V8 ma quando,  poco più tardi, nel 1955, la sua officina chiuse i battenti, insieme alla serranda s’abbassò anche il sipario sulle sovralimentate “immaginate” da Toyo. 

Come Farneti NON trovò il V8

Impossibile, per uno storico come Farneti, accettare l’idea che di quei due prototipi non se ne sapesse più nulla. Lo racconta lui stesso: “cominciai per tempo le ricerche della V8, fin dagli anni Sessanta, ma purtroppo partii col piede sbagliato. Infatti - ricorda Farneti - cercai Plinio Galbusera a Trieste anziché a Brescia, dove forse, all’epoca, viveva ancora. Una ricerca laboriosa ed inconcludente, che mi fece perdere molto tempo. Così persi per sempre l’occasione di conoscere la verità e di sapere qual era stato il destino della V8. A Trieste mi informai presso meccanici, garagisti e sportivi ma solo in qualche caso affiorarono deboli ricordi e ancor più deboli informazioni. I pochi collezionisti dell’epoca e del luogo ovviamente si mostravano reticenti e sospetti. Con ogni probabilità erano alla ricerca delle stesse informazioni e della stessa moto. I più loquaci davano per certa la storia (divenuta comune a tante moto appetibili) del passaggio della V8 in Jugoslavia, dove le tracce si perdevano e le ricerche diventavano perfino pericolose. Dopo tanto tempo e non senza rammarico, abbandonai l’impossibile impresa”. La storia raccontata da Farneti sulle pagine di Motociclismo d’epoca riprende 10 anni più tardi, quando lo stesso storico viene a conoscenza grazie ad Angelo Codato, all’epoca tra i titolari dei Magazzini Milano Motociclo, di nuove ed interessanti informazioni:mi raccontò di aver lavorato alle fusioni dei motori pluicilindrici Galbusera proprio alla vigilia del salone del ’38, in gran fretta e in gran segreto, nell’officina specializzata nella costruzione di ogni tipo di ricambio motoristico. Aggiunse che, a distanza di tanti anni, aveva conservato il fondato sospetto che le moto esposte fossero vuote e che, dopo l’exploit del salone, fossero state abbandonate per le difficoltà tecniche legate all’alimentazione di simili due tempi pluricilindrici sovralimentati, nonché per ristrettezze finanziarie”. Pur ammettendo l’amarezza e la delusione derivanti dall’interruzione delle ricerche, Farneti chiude augurandosi che, grazie al sempre crescente numero di appassionati, queste possano un giorno essere riprese e portare finalmente luce su di una questione ancora avvolta nel mistero. Un augurio - o un invito - che gli autori del libro di cui sopra si direbbero aver colto al volo…

La tecnica

Perso, rubato, distrutto (o solo nascosto) che sia, com’era questo fantomatico V8? Non illudetevi: purtroppo, almeno per ora (il libro, ne siamo sicuri, aiuterà anche in tal senso), di informazioni - e di immagini - ne abbiamo ben poche. Ma di nuovo, proviamoci basandoci su quanto descritto dal buon Farneti. 


I disegni scematici dell’epoca mostrano un V8 con alberi motore accoppiati centralmente mediante tre ingranaggi conici. Soluzione che a sua volta determinava due fattori positivi: gli alberi contro-rotanti e la sistemazione classica del gruppo frizione-cambio-pignone. In pratica: gli alberi che girano l’uno in senso opposto all’altro annullano gli effetti della coppia di rovesciamento, sgraditissima turbativa dei motori a rotazione trasversale, mentre la sistemazione del gruppo frizione-cambio-pignone, oltre a favorire essa stessa la guida, evitava complicazioni costruttive al telaio. Infine gli ingranaggi conici che, solidali agli alberi motore, azionavano i due spinterogeni per l’accensione. Altro “avanguardia” era il motore superquadro (alesaggio e corsa erano infatti di 44x41) con un’incredibile - ed allora sconosciuta - miniaturizzazione. I particolari però scarseggiano: sabbiamo solo che aveva 28 CV a 8.000 giri ed un plafond velocistico di 150 km/h. Nient’altro e, per il V4 (che era sostanzialmente il V8 a metà), silenzio su tutta la linea…

Un accenno a Toyo

Un accenno e nulla più poiché, come a questo punto avrete intuito, anche di Toyo si sa ben poco… Nato a Fiume, sembra da genitori egiziani, portava il codino. Dettaglio forse ininfluente ma che senza dubbio ha contribuito all’aurea di “curiosità” che agli inizi del 900 già avvolgeva il personaggio, uno dei pionieri italiani dello speedway. Come già accennato sopra, pare sia stato proprio Toyo ad importare in terra istriana la disciplina dello speedway, avendo avuto occasione di vedere alcune gare in Australia, durante i viaggi svolti in gioventù come capitano di naviglio mercantile. Non per nulla, Massimo Pasolini, padre del campione Renzo, raccontava di averlo conosciuto alla vigilia della seconda guerra mondiale, nonché di averlo avuto come rivale in diverse gare. Pasolini insiste sulle abilità di guida ma anche tecniche di Toyo, come a confermare l’autenticità dell’incredibile progetto messo in pratica grazie all'incontro con Galbusera. Poi, dopo la presentazione a Milano del '38, complice il conflitto, sparisce per qualche anno. L’ultima informazione a disposizione riguarda la morte, sopraggiunta il 30 maggio del 1946 quando, durante una gara su terra battuta all’Ippodromo Montebello di Trieste, tagliato il traguardo in seconda posizione con una 500 di sua costruzione, Toyo perdeva il controllo della moto andando a sbattere contro un muretto di cemento. E così, con la sua morte e la chiusura di Galbusera nel 1955, tutto andò perso. 

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