Cagiva C591, storia della rossa che vinse (anche) grazie agli aiuti dei giapponesi
Evoluzione della C589, la C590 regalò a Cagiva qualche meritata soddisfazione. Il bello arrivò però con la C591, un modello che, grazie alle preziose indicazioni fornite da Eddie Lawson, dimostrò al mondo che la Casa italiana poteva competere con le rivali giapponesi

Il contesto
Oggi ci riempiamo gli occhi delle splendide imprese di Ducati nella MotoGP, ma dopo il ritiro di MV Agusta el 1974 e prima dell'arrivo delle rosse bolognesi gli anni dal 1978 al 1994 videro in pista altre rosse: le Cagiva che per diciassette stagioni di intensi sacrifici nel Mondiale 500. I fratelli Castiglioni investivano senza limiti e non accettavano sponsorizzazioni a parte quelle dei partner tecnici. Le moto, rigorosamente rosse, erano affidate ai migliori piloti, tra cui ricordiamo Kenny Roberts, Randy Mamola – che regalò alla Casa italiana il suo primo podio, Eddie Lawson (vero protagonista della storia) , Doug Chandler e John Kocinski. Dopo l’annuncio del ritiro al termine della stagione 1990, la situazione sembrava però destinata a peggiorare, se non che, ne giro di pochi mesi, la Casa italiana si trasformò quasi magicamente dal brutto anatroccolo del Mondiale a scuderia competitiva con i mostri sacri giapponesi, capace di salire due volte sul podio e di chiudere il campionato l’anno seguente al sesto posto. Come accennato, il merito va in tal senso di Eddie Lawson, pilota tra i più talentosi del mondiale che seppe guidare il Reparto corse verso la realizzazione di una moto davvero competitiva: la C591. Prima però, ci fu la C590.
La C590: evoluzione senza rivoluzione

La C590 non rappresentò in realtà una vera “rivoluzione”, bensì un’evoluzione della precedente C589, che nel 1989 aveva deluso con le prestazioni di Mamola. Con l’imminente modifica al regolamento tecnico che, dal 1991, avrebbe aumentato di 15 kg il peso minimo delle 500, rifare completamente la moto non aveva senso. La C590 mantenne perciò il medesimo telaio e le sospensioni della versione precedente, ma veniva rivisitata sotto diversi aspetti. La distribuzione dei pesi, il posizionamento del motore, la geometria di sterzo e la lunghezza del forcellone venivano modificati per correggere i problemi di trazione lamentati nel 1989 e, al contempo, veniva anche abbandonata la carenatura integrale comparsa per la prima volta sulla C588 in favore di un design più essenziale. Il cuore della moto, il quattro cilindri a V, subì anch’esso una profonda revisione: in particolare, l’angolo tra i cilindri si ampliava dai 58° della C589 a 70° per ospitare pacchi lamellari maggiori. Una modifica che consentì anche di ottenere circa dieci cavalli in più, portando la potenza poco oltre i 160 CV.
La stagione 1990
Forte della nuova C590, quell’anno Cagiva cercò di riscattarsi nel Mondiale 500 schierando il veterano Randy Mamola, il britannico Ron Haslam e il giovane brasiliano Alexandre Barros. I primi GP si rivelavano difficili: a Suzuka tutti i piloti si ritirarono a causa di un guasto meccanico e, in generale, la stagione fu segnata da numerosi imprevisti, tra cui il grave infortunio al polso di Mamola, l’incidente di Haslam a Jerez e l’inesperienza di Barros che, seppur talentuoso, pagava pegno verso i colleghi più “anziani”. Diciamo che le cose non andarono esattamente come sperato: nonostante le modifiche mirate e il potenziale della C590, la squadra dovette confrontarsi con infortuni e problemi di competitività, mentre il panorama del Mondiale rimaneva dominato dalle giapponesi. Tuttavia, sul finale di stagione, un test a Rijeka condotto da Eddie Lawson, che allora faceva parte del team Roberts, ossia la squadra che rappresentava la Yamaha nella classe 500, portò una ventata di speranza: Lawson percorse 600 km in prova e, con alcune regolazioni, registrò tempi notevoli, facendo capire all’intero team che, sebbene la C590 fosse ancora lontana dall’assoluta perfezione, forse la svolta era davvero dietro l’angolo…
La svolta: arriva la C591

Dopo il test di Rijeka con Eddie Lawson in sella alla C590, in Cagiva si capì una cosa chiara: bisognava cambiare passo. I Castiglioni iniziarono a trattare l’ingaggio del californiano con il suo manager Gary Howard, mentre al Reparto Corse si metteva mano al progetto della nuova moto. Nicola Materazzi aveva lasciato il timone tecnico dopo una stagione difficile, e al suo posto arrivarono due ingegneri freschi dal reparto Ricerca e Sviluppo, con il compito di occuparsi esclusivamente di telemetria ed elettronica: ormai diventate fondamentali in una 500 da Gran Premio. Grazie ai suggerimenti di Lawson e a qualche dritta dal Giappone, il progetto prese forma rapidamente: già prima di Natale la nuova moto, la C591, era pronta. E a marzo 1991, nei test di Jerez, fu chiaro a tutti che stavolta Cagiva aveva fatto sul serio. La moto aveva soluzioni tecniche ispirate alla Yamaha e un’estetica che ricordava la Suzuki di Schwantz…
Com’era
Rispetto alla vecchia C590, sovrappeso e difficile da gestire, la nuova C591 era un altro mondo. Il cambio regolamentare aveva alzato il peso minimo delle 500 da 115 a 130 kg, e con i suoi 127 kg in ordine di marcia la moto fu persino zavorrata per rientrare nei limiti. Il V4 manteneva le misure del passato (56x50 mm, 492,6 cm3), ma con bancate inclinate di 85° e una termica tutta nuova: teste e cilindri in magnesio, nuovi scarichi, accensione Kokusan, e carburatori Mikuni a corpo rovesciato, gli stessi della YZR 500. Lawson aveva chiesto un motore da cross: esplosivo in uscita di curva, pronto sotto la mano destra. E così fu: niente allungo inutile, il nuovo propulsore si fermava a 12.900 giri ma erogava 162 CV già a 12.000, con una risposta feroce già dai 7.000.

Anche il telaio era inedito: niente fibra di carbonio, ma un solido doppio trave in alluminio irrigidito nei punti critici. Il forcellone era asimmetrico, sagomato per far passare gli scarichi, e per alleggerire il carico sull’avantreno il motore fu arretrato di 15 mm e ruotato in avanti. Sospensioni Öhlins, freni Brembo e gomme Michelin completavano il pacchetto. Per la prima volta, Cagiva aveva costruito una moto vera da Mondiale. Non più solo un’idea affascinante o un sogno tricolore: la C591 rappresentava finalmente una base solida, concreta, su cui costruire un futuro. E la stagione 1991 lo avrebbe dimostrato.
Grazie ai giapponesi…
Quando Cagiva annunciò il proprio ritiro, le Case giapponesi non tardarono a dichiararsi "rammaricate", mostrandosi subito disponibili a offrire supporto in caso di necessità. Il primo a rompere il silenzio fu Yoichi Oguma, allora a capo dell’HRC, che già dopo il GP di Cecoslovacchia parlò apertamente di una possibile "consulenza tecnica" e di uno scambio di informazioni. A Honda si aggiunsero anche Yamaha e Suzuki, pronte ad aprire un canale preferenziale per la fornitura di componenti provenienti dal Giappone. Tra questi, spiccava l’accensione Kokusan, che nel 1991 era stata impiegata in esclusiva proprio da Cagiva. Gli “aiuti” forniti dai colleghi dei nipponici furono numerosi…

Teste e cilindri sono in lega leggera. Le camere di scoppio sono centrali e con corona di squish periferica. I cilindri hanno trattamento superficiale anti attrito al nickelcarburo. Le valvole allo scarico sono cilindriche come sulle precedenti C589 e C590.

Il telaio della C591 era un doppio trave scatolato in alluminio ispirato allo schema Deltabox, evoluzione diretta di quello impiegato sulla moto del 1990. Il materiale resta lo stesso: lega d’alluminio 7020 Carpental, sottoposta a trattamento di bonifica post-stampaggio, con spessori delle lamiere compresi tra 1,5 e 2 mm. Rispetto alla versione precedente, il nuovo telaio è stato ulteriormente irrigidito in due aree strategiche: il cannotto di sterzo e il perno del forcellone. Cambiano anche gli attacchi superiori del motore, rivisti per migliorare la distribuzione delle sollecitazioni. Il forcellone manteneva il disegno asimmetrico e le dimensioni già viste nel modello precedente, così come resta invariata la posizione del monoammortizzatore.

L’impianto frenante, firmato Brembo, adottava una configurazione mista carbonio/acciaio: davanti due dischi in carbonio da 300 mm di diametro e 9 mm di spessore, accoppiati a pinze a quattro pistoncini. Dietro, invece, un più tradizionale disco fisso in acciaio da 190 mm abbinato a una pinza a due pistoncini. Sulla C591 c’era anche un nuovo radiatore acqua giapponese monoblocco, con profilo curvo che, rispetto al precedente modello a forma di cuneo montato sulla C590, garantiva un peso ridotto e una superficie di raffreddamento più ampia, il tutto senza ostacolare il movimento della ruota anteriore. La frizione multidisco a secco è identica all’unità già utilizzata sulla C590. Ha la campana in ergal, sette dischi conduttori in acciaio, otto dischi condotti con materiale d’attrito in carbonio e sei molle di spinta. Idee che diedero i loro frutti…
Finalmente coi primi

A Suzuka, teatro la stagione precedente di una vera Caporetto, la C591 sorprende. In prova Lawson è sesto e il giovane Barros ottavo, su quasi trenta piloti al via: è il GP più affollato dell’anno, con ben tredici wild card giapponesi a complicare la griglia. In gara Eddie conferma la sua posizione con un sesto posto consistente, mentre Barros chiude decimo dopo una lotta dura con Pons e Iwahashi. È il miglior esordio stagionale nella storia della Cagiva. In Australia si replica: sesto Lawson, ottavo Barros. A Laguna Seca, terza tappa del mondiale, la Cagiva migliora ancora: quinto Eddie, sesto Alex. Ma più dei risultati, colpiscono i distacchi: la C591 è passata dal rischio di doppiaggio – frequente solo un anno prima – a chiudere a una ventina di secondi dal vincitore. Tempi e piazzamenti che riportano finalmente la Cagiva nel gruppo dei “veri”. Anche a Jerez, nonostante qualche problema alle valvole di scarico, Lawson è ancora sesto. Ma il vero colpo lo piazza a Misano. Alla partenza, scatta perfettamente e quando il gruppo transita davanti alla tribuna esterna del Carro – dove i Castiglioni si sono mescolati al pubblico per godersi lo spettacolo – la Cagiva è in testa. La carenza di accelerazione emerge, e giro dopo giro Lawson si fa passare da Doohan, Rainey e Kocinski. Il suo destino pare essere un solido quarto posto. Ma al 16° giro, la posteriore di Rainey perde la carcassa, ed Eddie si ritrova terzo. Tiene duro, resiste, e taglia il traguardo sul podio, a soli 14 secondi dalla vetta. Anche Barros stupisce con un quarto posto. Dopo Misano, la Cagiva sorride: il podio di Lawson, unito al quarto posto in classifica iridata, dà forma a un sogno che fino all’anno prima sembrava pura utopia.
Nuove difficoltà

La stagione si complica subito per Alex Barros: dopo l’assenza a Jerez per una caduta e l’incidente con Gardner a Misano, cade di nuovo ad Hockenheim e si rompe lo scafoide. Sostituito da Marco Papa in Austria e al Jarama, torna ad Assen con un settimo posto, ma durante i test al Paul Ricard si frattura nuovamente lo scafoide, il polso e la clavicola: stagione finita. Lawson invece continua a crescere. A Hockenheim resta incollato a Doohan, chiudendo quarto. Al Jarama è costretto al ritiro per problemi tecnici mentre stava recuperando. Intanto, la Cagiva introduce novità: ad Assen debuttano i carburatori Power Jet elettronici e si parla dell’arrivo dell’iniezione elettronica. Dopo una pausa, Eddie torna e conquista il secondo podio stagionale al Paul Ricard. Ma da lì iniziano i guai. A Donington lotta con un avantreno ingestibile e rischia di tamponare Papa: chiude sesto. Al Mugello, nonostante test e ospiti illustri nei box, la moto è inguidabile. Con un telaio sperimentale e tre gomme provate, si ritira per evitare di essere doppiato. A Brno la situazione non migliora: solo ottavo, con una moto “inguidabile” a serbatoio pieno. Al GP del Mans, sostituto di quello brasiliano annullato, Lawson cade nelle libere e si frattura lo scafoide. Salta anche l’ultima gara in Malesia e scivola al sesto posto in classifica. Si parla di ritiro, ma Eddie smentisce: correrà anche nel 1992, ma quella è tutta un’altra storia…