Benelli 750 Sei: voleva essere un mito ma fu un flop a 6 cilindri
Sotto la guida di Alejandro De Tomaso, la Casa pesarese realizzò un progetto tanto audace tecnicamente quanto sfortunato sul mercato. Ecco la storia della 750 Sei
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Tra le moto d'epoca, la Benelli 750 Sei occupa un ruolo da "bella e dannata". Prodotta dalla Casa pesarese negli anni 70, è stata in un certo senso rivoluzionaria, in quanto prima moto al mondo a montare un sei cilindri. Nonostante ciò, la sua meritata fama è stata oscurata dall’insuccesso commerciale e dal successivo esordio della più affidabile rivale Honda CBX, che arrivò sul mercato anni ben 4 anni dopo. Ma partiamo dall’inizio…
Il contesto: gli anni 70 e la sfida giapponese
Gli anni 70 hanno rappresentato un periodo di profondo cambiamento nel mondo delle moto, con le case giapponesi, in particolare, impegnate a conquistare i mercati occidentali a “colpi” di modelli sempre più potenti e affidabili. Le case europee dovettero perciò correre ai ripari per far fronte a questa sfida, cercando di offrire prodotti innovativi e in grado di competere con la concorrenza asiatica. In questo contesto, Benelli, dall’estate del 1971 sotto la guida dell'imprenditore italo-argentino Alejandro de Tomaso, decise di osare realizzando una moto che avrebbe dovuto - almeno secondo i piani - costituire un elemento di rottura degli schemi allora in voga. Il progetto “750 Sei” era ambizioso: creare una moto spinta da un sei cilindri, soluzione tecnica mai vista prima su due ruote.
Tecnica e Design
Cuore della Benelli 750 Sei fu appunto il motore a sei cilindri in linea frontemarcia da 747 cm³, progettato da Piero Prampolini (già Mondial, MotoBi e Parilla) su specifica richiesta della dirigenza, la quale “suggerì” al tecnico di copiare proprio il 4 cilindri 500 cm3 della rivale Honda, aggiungendovi due cilindri. Il propulsore italiano d'ispirazione nipponica, a fine sviluppo, era quindi in grado di erogare circa 63 CV di potenza a 8.500 giri/min, spingendo la moto a una velocità massima di circa 205 Km/h dichiarati.
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Il motore era raffreddato ad aria e dotato di distribuzione a due valvole per cilindro
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L'ing. Piero Prampolini, scomparso nell'agosto del 2023 all'età di 98 anni
Per essere certi di far breccia già al primo colpo d’occhio, vennero coinvolti per lo studio del design anche due nomi pesanti del settore auto: Ghia e Vignale. A seguire, anche il restante contenuto tecnico appariva di assoluto rilievo, con il ricorso a Brembo per il comparto frenante a doppio disco anteriore da 280 mm, Marzocchi per le sospensioni, Veglia Borletti per la strumentazione e - infine - l’altrettanto italiana Pirelli, per lo sviluppo di pneumatici all’altezza delle aspettative.
Presentazione e debutto
La Benelli 750 Sei diventò (fin troppo) presto realtà, complice una certa fretta, dettata dalla necessità di rilanciarsi sul mercato. Il 27 ottobre 1972 venne così presentata alla stampa presso l'hotel Canal Grande di Modena, promettendo una produzione in serie a partire dall’anno successivo (primavera 1973). Proclami che tuttavia si rivelarono ben presto fini a sé stessi: se la fase di copiatura e prototipazione del nuovo blocco motore fu rapida, non fu altrettanto facile l’adattamento ai telai disponibili. Con un cospicuo ritardo la 750 Sei debuttò nei listini solo nel 1974 e, con lei, debuttarono anche i primi malcontenti...
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Alejandro De Tomaso in sella alla Benelli 750 Sei durante la presentazione modenese
L'insuccesso: un mix di fattori
Nonostante l'innovazione tecnica e il design azzeccato, la Benelli 750 Sei non ebbe il successo sperato. Un mix di ragioni contribuirono all’insuccesso:
problemi di affidabilità
prezzo non competitivo rispetto alla concorrenza
inefficacia sul pubblico americano, mercato fondamentale per le grosse cilindrata
Per rimediare ai ritardi in corso e contenere i costi, la Casa risparmiò su tutti i fronti, partorendo un prodotto dalle finiture discrete e assemblato alla bell’e meglio. A questi aspetti “visivi”, si aggiunsero presto le noie meccaniche: consumi d’olio da record, usura della camme e leveraggi del cambio difettosi. Una serie di drammi non rilevati in fase di progettazione e prova, per la semplice ragione che i prototipi realizzati a Pesaro sotto l’occhio di Prampolini si avvalsero di componenti all’altezza, commissionati alla filiera locale.
Al contrario però, la produzione venne poi internalizzata del tutto, sfruttando l’acquisizione recente di Moto Guzzi: a Mandello vennero così fabbricati i motori, in seguito solo assemblati in quel di Pesaro. La fretta e la rincorsa al risparmio tagliarono le gambe sul nascere a questa ambiziosa ammiraglia mancata, dalla quale si tennero alla larga molti potenziali clienti, anche a causa della scarsa nomea che si andò via-via "guadagnando".
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Tanto bello quanto delicato: croce del motore furono (anche) le cromature scadenti nelle superfici di contatto dei bilancieri che, una volta usurate, andavano ad intaccare anche gli alberi a camme
Valore storico e collezionistico
Nonostante l'insuccesso commerciale, la Benelli 750 Sei è oggi considerata una moto di grande valore storico e collezionistico. La sua originalità tecnica, così come la sua particolare storia, sono elementi indiscutibili. Scontando poi i suoi difetti congeniti, resta comunque una moto bella a vedersi, piacevole e insospettabilmente agile alla guida nonostante i suoi 232 Kg e, non di meno, “goduriosa” per il temperamento del suo propulsore, che è elastico e forte di un bel allungo, capace di appagare anche l’udito.
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Per portarsi a casa questo pezzo di storia, tenendo d’occhio i principali portali europei di vendita, occorre sborsare da un minimo di 4.000 a un massimo di 15.000 euro a seconda dello stato di conservazione. Un bel riscatto per il modello, anche se tardivo per la Casa…
Foto e immagini
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