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Da 1000 a 800 e ritorno, storia delle cilindrate in MotoGP

La MotoGP ha debuttato nel 2002 e dopo un quarto di secolo rivedrà per la terza volta la cilindrata dei motori. Ecco la storia delle sue evoluzioni

Dal 2027 la MotoGP adotterà un deciso cambio di regolamento, la cui caratteristica più importante riguarda la riduzione della cilindrata da 999 cm3 a 850cm3. Nella storia della classe regina a quattro tempi che non è la prima volta che viene rivista la cubatura. Andiamo allora a vedere come e quando ci sono state delle modifiche in tal senso.

Un cambio epocale

La classe MotoGP viene introdotta nel 2002 con lo scopo di avvicinare maggiormente il mondo dei prototipi alla produzione di serie. Non tanto per le moto in sé, che sono ben distanti fin dall'inizio a quanto viene immesso sul mercato, ma per rendere comunque più appetibile ai costruttori il travaso di alcune tecnologie e di immagine dalla corsa alla strada. 

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Ecco l'ultma evoluzione della Yamaha YZR 500 2 tempi

Quelli di fine millennio sono inoltre anni di grande popolarità per la superbike, che in alcuni frangenti arriva addirittura a rubare la scena al motomondiale. Le 500 a cavallo del millennio sono infatti moto assolutamente avanzate dal punto di vista prestazionale, ma con pochissimi margini di sviluppo: il regolamento impone un peso di 130 chili per le quattro cilindri, i motori arrivano a produrre circa 180-190 cavalli. Ma l'erogazione di potenza è brutale, compresa in un ristretto range – altissimo- di giri/minuto. Le due tempi inoltre sono quasi scomparse dalla produzione, dove ormai occupano i segmenti di cilindrata 125/250cc, che infatti saranno tenuti in vigore fino al 2012 per la ottavo di litro e fino al 2009 per la quarto di litro.

Il debutto della MotoGP

Nel primo anno di motomondiale in cui sono ammesse le MotoGP, il regolamento prevede la compresenza di quattro tempi di cilindrata fino a 990cc e due tempi di cilindrata fino a 500 cm3. Non tutte le case sono pronte o convinte della nuova formula: Ducati e Kawasaki rimandano il debutto al 2003, mentre Honda, Yamaha, Aprilia e Suzuki si cimentano con la progettazione di motori a quattro tempi. Le scelte sono piuttosto differenti: 3 cilindri in linea per Noale, 4 cilindri in linea per Yamaha, V4 per Suzuki e V5 per Honda. Fin dal principio il propulsore progettato dai tecnici della Casa Alata si dimostra di gran lunga il motore più performante.

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Il motore V5 Honda da subito dimostrò la sua superiorità

Nel 2002 continuano a correre anche le due tempi: non solo la Proton in veste ufficiale, ma anche diverse Honda NSR e Yamaha YZR500 private. Già dai test invernali però si capisce che i quattro tempi andranno troppo forte e il terzo posto di Loris Capirossi in Sudafrica – alla seconda gara del campionato- sulla NSR del team Pons è illusorio.

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La Ducati Desmosedici, fin dal debutto nel 2004, ha avuto un motore V4

Nel 2003 si aggiungono Ducati e Kawasaki: la prima con il mitico propulsore desmodromico a L che ancora oggi ha la stessa struttura di base originaria, i giapponesi con un 4 cilindri in linea. La classe MotoGP in versione 990 dura solamente cinque stagioni. L'aumento di prestazioni viene ritenuto eccessivo per gli standard di sicurezza garantiti dai circuiti e si decide di ridurre la cilindrata da 990 a 800 cm3 a partire dalla stagione 2007.

I motori 800

Con la diminuzione della cilindrata vengono ripensati anche i limiti di peso per le moto ammesse. In particolare sono penalizzati i 5 cilindri, per i quali c'è un aggravio di 7,5 chilogrammi. Vista la riduzione della cubatura e l'aumento di peso, Honda sceglie lo schema V4, che le permette sulla RC212V semplicemente di “eliminare” un cilindro rispetto alla RC211V. Yamaha rimane con il 4 in linea, Ducati con lo schema a L. Ed è proprio la Desmosedici a beneficiare maggiormente del cambio di regolamento: già a metà 2006, nei test di Brno, Capirossi riesce a girare a solo un secondo e mezzo dai tempi fatti con le 990, divario che viene ulteriormente ridotto prima del debutto mondiale nel 2007.

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Honda tolse un cilindro, ed ecco la RC212V un'altra moto vincente

Le nuove MotoGP sono più maneggevoli e nel caso di Ducati i cavalli non mancano: la GP7 ne eroga oltre 200, contro i 220 della sua progenitrice, ma è soprattutto più facile scaricarli a terra.

Il ritorno al 1000

Nemmeno la cilindrata 800 dura a lungo: complice la crisi economica mondiale, le case e gli sponsor sono disposti a investire meno in MotoGP e un propulsore così compatto richiede molto lavoro per essere portato a buoni livelli di performance. Si decide perciò di aumentare la cilindrata e imporre l'alesaggio massimo di 81mm, che di fatto riduce i margini di sperimentazione per scelte alternative ai motori 4 cilindri. 

I motori di serie per rimpinguare la griglia

Viene introdotta anche la classe CRT, che permette di fatto di correre con moto, sempre di cilindrata 1000cc, ma che montano motori di “derivazione stradale”, come il propulsore Aprilia, per esempio, piuttosto che Kawasaki e BMW. 

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Le CRT con motori derivati dalle moto stradali furono una soluzione dettata dalla crisi economica

Le CRT hanno più benzina disponibile (24 litri contro 21) e possono disporre di 12 propulsori a stagione. In questo modo si riesce a rimpinguare la griglia, che rischia altrimenti di non arrivare a 20 moto. Le CRT si rivelano poco più di un escamotage per tenere in vita il mondiale e nel giro di due anni vengono abolite. Già nel 2014 viene introdotta la sottoclasse Open – a cui aderisce Ducati- che oltre ai vantaggi precedenti permette di sviluppare il software liberamente. Anche la Open ha breve durata - anche per le proteste dei giapponesi che si oppongono alla scelta di Borgo Panigale- e nel 2016 si arriva alla standardizzazione del regolamento secondo la tipologia attuale.

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