HAT le vie marenche (pt2): sulle tracce dell'Hardalpitour e percorsi nuovi
L'evento di adventouring organizzato da Over2000riders dura tre giorni. Nella seconda tappa abbiamo percorso oltre 200 chilometri, con tratti tecnici alternati a sterratoni scorrevoli. Panorami da sogno
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Dopo la prima giornata della HAT le vie marenche, altre due tappe attendono il nostro Guido Sassi tra gli sterrati di Piemonte e Liguria. Andiamo allora a vedere quali percorsi e sorprese ha incontrato l'inviato di InSella in un fine settimana dedicato all'adventouring.
Una dipendenza sana
Stare in mezzo ai monti per un giorno intero è una droga: respirare la natura, riempirsi gli occhi di verde è qualcosa che risveglia la nostra vera essenza, ma secondo me i nostri avi - in un qualche periodo dei tempi antichi- devono anche avere avuto qualcosa di simile a una moto. Altrimenti non si spiega come mai di sera vai a letto ancora con le orecchie che risuonano del canto del motore dopo otto ore di moto, e ti svegli un po' stanco ma con quel solletico nel polso destro, la voglia di accendere il navigatore e seguire una traccia. Quando dalla camera d'albergo scendi nel piazzale la tua moto è lì, e si capisce distintamente che ti sta scodinzolando. “Dai cosa aspetti? Portami a fare un giro”. Saranno i vapori della benzina, ma io quelle parole le sento anche al mattino del secondo giorno, e Corrado Capra deve conoscerci bene, perché ha preparato una tappa bella "sostanziosa", da 200 chilometri. Se il primo giorno abbiamo seguito una direzione nord-ovest, oggi siamo diretti sempre a occidente, ma verso sud.
Un vero privilegio
Scendiamo per la valle del Tanaro, oltrepassiamo Ormea, poi ricominciamo a inerpicarci in un territorio noto per i suoi vini. Transitiamo infatti anche da Pornassio e poi Cosio d'Arroscia, verso ovest fino a Mendatica. È una zona che personalmente apprezzo particolarmente, per le sue belle pinete, ma anche i freschi torrenti, i sentieri di mezza montagna e le vette più importanti sullo sfondo. Superiamo Mendatica, un bel borgo medievale che val bene una visita. Noi non abbiamo tempo, ma fermarsi a prendere un po' di formaggio locale o anche solo un po' di fresco sarebbe sicuramente una buona idea. Risaliamo per asfalto fino alla colla di san Bernardo e da qua in poi i pascoli non mancano. Uno sterratone largo e facile, farcito di tornanti disegnati da una mano ispirata ci porta in un amen 700 metri di quota più in alto, fino ai duemila metri di quota del passo di Tanarello. Siamo ormai nel parco naturale del Marguareis, tra le montagne più belle delle alpi Marittime. Rocche e picchi si innalzano dai pratoni, noi giriamo sotto il Saccarello, che con i suoi 2mila200 metri è la cima più alta della Liguria.
Una dipendenza sana
Stare in mezzo ai monti per un giorno intero è una droga: respirare la natura, riempirsi gli occhi di verde è qualcosa che risveglia la nostra vera essenza, ma secondo me i nostri avi - in un qualche periodo dei tempi antichi- devono anche avere avuto qualcosa di simile a una moto. Altrimenti non si spiega come mai di sera vai a letto ancora con le orecchie che risuonano del canto del motore dopo otto ore di moto, e ti svegli un po' stanco ma con quel solletico nel polso destro, la voglia di accendere il navigatore e seguire una traccia. Quando dalla camera d'albergo scendi nel piazzale la tua moto è lì, e si capisce distintamente che ti sta scodinzolando. “Dai cosa aspetti? Portami a fare un giro”. Saranno i vapori della benzina, ma io quelle parole le sento anche al mattino del secondo giorno, e Corrado Capra deve conoscerci bene, perché ha preparato una tappa bella "sostanziosa", da 200 chilometri. Se il primo giorno abbiamo seguito una direzione nord-ovest, oggi siamo diretti sempre a occidente, ma verso sud.
Un vero privilegio
Scendiamo per la valle del Tanaro, oltrepassiamo Ormea, poi ricominciamo a inerpicarci in un territorio noto per i suoi vini. Transitiamo infatti anche da Pornassio e poi Cosio d'Arroscia, verso ovest fino a Mendatica. È una zona che personalmente apprezzo particolarmente, per le sue belle pinete, ma anche i freschi torrenti, i sentieri di mezza montagna e le vette più importanti sullo sfondo. Superiamo Mendatica, un bel borgo medievale che val bene una visita. Noi non abbiamo tempo, ma fermarsi a prendere un po' di formaggio locale o anche solo un po' di fresco sarebbe sicuramente una buona idea. Risaliamo per asfalto fino alla colla di san Bernardo e da qua in poi i pascoli non mancano. Uno sterratone largo e facile, farcito di tornanti disegnati da una mano ispirata ci porta in un amen 700 metri di quota più in alto, fino ai duemila metri di quota del passo di Tanarello. Siamo ormai nel parco naturale del Marguareis, tra le montagne più belle delle alpi Marittime. Rocche e picchi si innalzano dai pratoni, noi giriamo sotto il Saccarello, che con i suoi 2mila200 metri è la cima più alta della Liguria.
A sinistra lo splendido passo del Tanarello a destra la vetta del Saccarello
Hard ma non troppo
La strada a scendere verso la colla di Melosa non risparmia le pietre, ma la sezione è larga, la traiettoria non è mai obbligata. Riprendiamo una carrabile che mi ricordo da una Sanremo-Sestriere di qualche anno fa, sotto di noi si vede l'abitato di Realdo e più in là Triora. Le streghe le vedo però nella galleria di Garezzo, buia come l'anima del diavolo. Se non altro ci si rinfresca, e poi si va via sempre in costa, e ci sarebbe da fermarsi a guardare il panorama a ogni curva. La guida è piacevole, il fondo è un po' scassa braccia, ma dipende anche dalle sospensioni a disposizione. Diciamo che la scelta “vintage” del mio mezzo in questo senso non è il massimo, ma dai, mi ripeto che è tutto allenamento (anche se non saprei per cosa).
Al bivio dopo una seconda galleria, dei fuoristradisti a quattro ruote ci spaventano: “Troverete molto fango, massima prudenza”. Mi domando come sia possibile, visto il meteo secco da giorni, ma tant'è, si procede con maggiore cautela. In realtà il fondo, che è diventato terroso, presenta solo qualche pozza melmosa qua e là, ma i canali non sono mai profondi e comunque sono tratti davvero brevi. Per trasformarci in ippototami che si rotolano nel fango ci vuole ben altro, e anche chi ha le moto più pesanti passa senza difficoltà.
La galleria di Garezzo
Finché ce n'è
Perdiamo quota dolcemente, quasi senza accorgerci, passiamo in una faggeta che è un autentico prodigio della natura: piante secolari dal caratteristico marrone chiaro che tende quasi all'argento, giochi di luce, aria fresca e un terreno che sembra moquette. Faccio finalmente pace con la forcella del Domi e respiro a pieni polmoni. Mi ricarico e ce n'è bisogno, perché sta per arrivare uno dei pezzi più impegnativi della tre giorni: tra Lavina e il ristoro di Rezzo c'è una discesa nel bosco di oltre dieci chilometri, stretta, sassosa e ripida. In un paio di punti metto addirittura la prima, ma non è un incubo, anzi ci si diverte, a patto di stare con gli occhi bene aperti. Il punto è che l'appetito inizia a farsi sentire e davanti alla mia 21” mi attraversano la strada visioni di panini al prosciutto e boccali di birra gelata. Mi dico che per una mezz'oretta posso provare a trasformarmi in un respiriano, mi faccio una bella scorpacciata d'aria pulita e vado avanti. Passo un altro ponte romano, risalgo e arrivo a Rezzo: qua raggruppiamo la comitiva e ci concediamo uno spuntino.
Finale da cartolina
Prima di ripiegare verso Garessio ce n'è ancora, perché 200 chilometri non si fanno in un amen. Le giornate a giugno però sono lunghe e allora via: risaliamo verso Pieve di Teco, poi prendiamo una stradina che ho il sospetto sia quasi un sentiero. Si va via bene, in seconda senza sforzo, quindi di nuovo si allarga e andiamo su al santuario santissimi Cosma e Damiano. E poi ancora su: sapevo che i monti possono crescere nel corso delle varie ere geologiche, ma mi domando se qua non sia successo qualcosa durante lo spuntino, perché io tutta questa salita non me la aspettavo proprio.
Arriva la cima infine e ne vale la pena: si vede giù fino ad Albenga, c'è una pace incredibile. C'è anche una minuscola chiesetta e ne approfitto per dire una preghiera a modo mio: da qua si scende tutto in picchiata e hai voglia a mettere la prima e frenare. Invoco san Corrado Capra e con il culo praticamente sopra la ruota posteriore scendo su un ghiaino bello morbido, almeno fino a quando non ci stendi sopra le natiche. Non succede niente, ma meno male che questo tratto di fuoristrada era l'ultimo, perché quando inizi a essere stanco tutto inizia a sembrare più difficile.
Non resta che rientrare a Garessio, a Ponte Rosa ci aspetta una degna cena. Per gli amanti della carne segnalo il sottopaletta di manzo: una vera delizia che non dimenticherò facilmente. (continua con la parte tre, qui la parte uno)
Foto e immagini
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