Petrolio: cade il prezzo al barile
L’offerta cresce e il prezzo al barile cala del 10% in una sola settimana. A fare la differenza sono le 30 nuove piattaforme petrolifere avviate negli States e la nuova tecnica che permette l’estrazione direttamente dalle rocce. A questo ritmo, gli Stati Uniti potrebbero superare Russia e Arabia Saudita entro la fine dell’anno. La Cina rimane invece il principale importatore mondiale
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Prezzo al barile
Buone notizie al distributore: dopo i picchi di gennaio, s’assiste anche in Italia ad un calo dei prezzi, con un ribasso, nell’ultima settimana, pari a circa il 10%. Si è passati, nel dettaglio, da 64 a 59 dollari al barile per il Wti e da 68 a 62 per il Brent.
Il motivo dell’abbassamento dei prezzi è in gran parte riconducibile al meccanismo di domanda e offerta, con una maggior produzione in particolare negli Stati Uniti, dove si è raggiunto il massimo storico di 10,25 milioni di barili/giorno. Questo grazie anche alla nuova tecnica volta ad estrarre il greggio dalle rocce che, secondo gli esperti dell’Iea, potrebbe a questo ritmo trasformare entro fine anno gli Stati Uniti nel maggior produttore mondiale, superando così Russia e Arabia Saudita. A concorrere anche le 30 nuove piattaforme petrolifere avviate lo scorso mese negli States, che hanno portato il numero comlessivo al livello più altro dall’aprile del 2015. Questo per quanto riguarda l’offerta. Per ciò che concerne invece la domanda, il ruolo chiave è giocato dalla Cina, maggior importatore al mondo: a spingere i consumi è in questo caso il trend di vendita delle automobili e, in particolare, dei SUV, rappresentanti più del 40% delle vendite.
Benchè non ampi quanto quelli registrati sui mercati, i ribassi, dicevamo, si sono visti (minimi) anche nei distributori italiani: la prima compagnia mettere mano ai listini è stata Eni, seguita da Q8 ed Esso (circa -1 centesimo su diesel e verde) Italiana Petroli e Tamoil (-0,8 centesimi al litro).
Il motivo dell’abbassamento dei prezzi è in gran parte riconducibile al meccanismo di domanda e offerta, con una maggior produzione in particolare negli Stati Uniti, dove si è raggiunto il massimo storico di 10,25 milioni di barili/giorno. Questo grazie anche alla nuova tecnica volta ad estrarre il greggio dalle rocce che, secondo gli esperti dell’Iea, potrebbe a questo ritmo trasformare entro fine anno gli Stati Uniti nel maggior produttore mondiale, superando così Russia e Arabia Saudita. A concorrere anche le 30 nuove piattaforme petrolifere avviate lo scorso mese negli States, che hanno portato il numero comlessivo al livello più altro dall’aprile del 2015. Questo per quanto riguarda l’offerta. Per ciò che concerne invece la domanda, il ruolo chiave è giocato dalla Cina, maggior importatore al mondo: a spingere i consumi è in questo caso il trend di vendita delle automobili e, in particolare, dei SUV, rappresentanti più del 40% delle vendite.
Benchè non ampi quanto quelli registrati sui mercati, i ribassi, dicevamo, si sono visti (minimi) anche nei distributori italiani: la prima compagnia mettere mano ai listini è stata Eni, seguita da Q8 ed Esso (circa -1 centesimo su diesel e verde) Italiana Petroli e Tamoil (-0,8 centesimi al litro).
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