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Intervista a Guido Meda: “Valentino Rossi fondamentale nella mia carriera”

La voce narrante della stagione SBK 2014 è quella di Guido Meda. Dopo undici anni di MotoGP, quest'anno l'inventore di "Rossi c'è" è passato con tutta la sua squadra a occuparsi delle derivate di serie. Ci ha raccontato come ha vissuto questa separazione, come sono i suoi rapporti con i piloti e cosa vuol dire condividere con Max Biaggi la cabina di commento. Ma tra una domanda e l'altra veniva sempre fuori la sua passione per le moto e per Valentino Rossi...
Dalla MotoGP alla SBK
Milanese, classe 1966, Guido Meda è “la voce del Motomondiale” che ha raccontato dal 2002 al 2013 le imprese di tutti i piloti che hanno disputato il mondiale, uno su tutti il campione Valentino Rossi. Da quest'anno ha intrapreso una nuova sfida passando a raccontare la Superbike, un'esperienza che ha affrontato con la sua solita carica di passione.

Fai un bilancio di questo tuo primo anno in Superbike.
È stato un anno molto facile e molto rilassante, questo paddock è molto semplice e a misura d'uomo rispetto a quello della MotoGP. Secondo me per certi aspetti anche un po' disorganizzato per il lavoro del raccontatore. Sono arrivato qui con una squadra allenata a lavorare in un ambiente più complesso come quello della MotoGP con più regole e più restrizioni, più uffici stampa che fanno da filtro. Lo avrei sperato più appassionante dal punto di vista sportivo, con questo Sykes poderoso e l'alta probabilità che metta quasi sempre la sua firma sulle gare, però per fortuna che i casini dell'Aprilia a Magny Cours hanno riaperto il mondiale. Ho avvertito molto il problema soldi. In uno sport come quello dei motori, dove se ne spendono tanti, questa cosa si sente ed è un po' angosciante, soprattutto pensando ai giovani piloti delle categorie minori. Mi aspettavo onestamente un Melandri più pimpante nella prima parte della stagione, invece ci ha messo un po' di più per trovare un feeling con questa moto, per cui è arrivato ad essere competitivo nella seconda parte e questo è stato un po' un peccato, soprattutto a noi italiani ha tolto un po' di suspence.

Quali differenze hai trovato in generale tra SBK e MotoGP?
Dal punto di vista organizzativo si vede che la Dorna bada di più alla MotoGP che alla SBK che è un po' il lato B del suo disco, del suo quarantacinque giri. La hit del momento è la MotoGP e il pezzo meno conosciuto è la Superbike, per cui ti accorgi che dal punto di vista delle riprese televisive c'è una disparità, là si usano più telecamere qua meno, là c'è più dispendio di mezzi, cose che però diamo un po' per scontate. Capisco che se Dorna diventa proprietario di due campionati non può metterli in gara uno con l'altro come era prima, bisogna fare in modo che uno dei due, nella fattispecie il più povero o il meno munifico dal punto di vista dei soldi, diventi un po' di serie B e la MotoGP resti la serie A. Non soffro di complessi di inferiorità perché le cose quando mi piacciono, mi piacciono. Non trovo disdicevole commentare la SBK. Mancherebbe solo un po' di organizzazione in più sia da parte di Dorna che da parte dei team. Per esempio, penso all'addetto stampa: nella mia visione del mondo ideale, è uno che dovrebbe creare occasioni di incontro con i piloti, creare qualche evento, un interesse per cui la stampa parli del suo team e del suo pilota. Qua vedo le figure che fanno il comunicato e hanno finito il loro lavoro. Non è colpa loro, però in tutti i settori della Superbike ci sono tanti passi che si possono fare per far crescere un po' questo campionato, che è stato bellissimo, continua ad esserlo, ma in questo momento, complice la crisi economica, è un po' sottotono e ha l'obbligo di ripartire. Spero che le regole lo aiutino un po' a crescere. Per quanto mi riguarda mi sentivo più importante in MotoGP, dove la risonanza era maggiore, qua mi sento un po' più parte di una famiglia, un po' più coinvolto nell'avventura di provare a far crescere questo campionato e vedere fin dove può arrivare. C'è una sfida, ho fatto un passo indietro per provare anche io nel mio piccolo a far fare dei passi avanti a questo mondiale.

Qual è il tuo rapporto con i piloti?
Eccellente dappertutto, lo è sempre stato. Il pilota è pilota, fondamentalmente un appassionato, l'importante è capire che si è sulla stessa lunghezza d'onda, che si ha la passione per le stesse cose. Credo di non aver mai avuto difficoltà a far capire ai piloti che quando parlano con me parlano prima di tutto con un appassionato di moto, prima di scoop e notizie che possono essere delle fregature per loro. Stavo facendo prima un lavoro per un servizio e facevo i conti dei piloti italiani che corrono ora in tutte le categorie della Superbike e pensavo “Ce n'è uno che mi sta antipatico o uno che mi sembra un'anima nera, uno stronzo, uno negativo?” No, non l'ho trovato, te lo giuro. Ne ho trovato magari di più fragili e di più forti, psicologicamente e in pista, ma uno che dici “quello non è un bravo ragazzo” no, e questo secondo me è una di quelle cose che rendono belle le trasferte della Superbike come quella della MotoGP, né più né meno.

Come ti trovi in cabina di commento con Max Biaggi?
Benissimo, è stata una sorpresa. Dal mio punto di vista c'era un po' di pregiudizio. Un po' perché sono stato il cantore di Valentino Rossi per 12 anni, anche durante i loro duelli, quando Valentino la spuntava, e non rinnego nulla di quel periodo, ho un ottimo rapporto con Rossi, lo stimo, gli voglio bene e continuerò ad averlo. Forse avevo perso un po' di vista Biaggi da quando aveva mollato il Motomondiale ed era venuto qua, e non condividevo tutti i suoi atteggiamenti del Motomondiale. Quando ho capito che me lo sarei trovato come compagno di cabina ho pensato “Cavolo, sarà facile o no andare d'accordo con questo che è sempre stato uno cocciuto, rompiscatole, un po' ombroso, chiuso?” Ero un po' preoccupato. Dal primo giorno in realtà si è rivelato un compagno di viaggio perfetto, con una competenza straordinaria, un occhio televisivo sulle moto impeccabile e tempestivo, affabile, generoso, gentile. Non posso che parlarne bene. Se avevo dei pregiudizi, ammetto che sbagliavo ad averli. Tanto di cappello a lui che se considerava questa come una sfida da vincere, secondo me l'ha vinta a tutti gli effetti. Lui l'ha voluta affrontare questa sfida, si è offerto lui alla nostra azienda due anni fa. C'era chi diceva "sarà una risorsa pazzesca" o chi pensava che potesse essere un problema, si è rivelato la prima cosa. Ha anche delle delicatezze nei confronti di noi suoi compagni di viaggio che sono carine. Tipo, lui arriva in cabina più tardi perché noi siamo a commentare i turni di prova: arriva con la Coca Cola per me, per l'assistente di cabina e il cameraman, o con i pasticcini, carinerie che lo rendono veramente gradevole oltre che come professionista del microfono anche come essere umano.

Quanto ti è mancata la MotoGP?
Tantissimo, mi sono mancato io tutte le volte che la guardavo, pensavo a come l'avrei commentata. Devo dire che non ho mai visto una gara in tutta serenità come farebbe uno spettatore avulso da quel contesto. No. Sono umano e non ce l'ho fatta, al punto da diventare anche iper critico nei confronti dei miei colleghi di Sky, bravissimi ragazzi che hanno raccolto la nostra eredità. Nel privato mi capita di metterli in discussione, credo insomma di aver vissuto un po' da uomo ferito il fatto di essere fuori per un mero motivo commerciale, perché quello dei diritti è un mercato. Sky offre di più e si aggiudica i diritti del Motomondiale, noi abbiamo perso la nostra partita. Rivendico però con orgoglio di essere stato corretto in tutte le situazioni pubbliche, perbene e rispettoso nei confronti del lavoro dei colleghi di Sky, anche se ero fuori dal giro, perché un anno fa pur essendo arrivati molto vicini io e Sky, alla fine non ci trovammo d'accordo. Ho tenuto lontano il rancore. Secondo me si fa così. È troppo facile criticare da casa. Non è colpa loro se io non faccio più il Motomondiale. Puoi vincere e puoi perdere, con la MotoGP quest'anno ho perso, non so con la Superbike se ho vinto, spero di si e se non ce l'ho fatta quest'anno, proverò a vincere l'anno prossimo. Secondo me bisogna viverle così le situazioni, anche quando ad un certo punto arrivano a prevedere che tu non ci sia più. Alla fine sì, ho sofferto.

MotoGP Misano 2014, non oso immaginare la tua telecronaca come sarebbe stata...
È stata l'unica gara a cui sono andato. Sarebbe stata una telecronaca simile a tante altre che ho fatto in passato, con Rossi che andava a vincere, con la differenza che qui c'è un Rossi che tornava a vincere dopo tanto tempo, che andava ad inserirsi nel dominio di Marquez, un Rossi che ha guidato da Dio per tutta la gara. L'ho vissuta credo nella maniera migliore in cui un uomo possa vivere una gara di quel genere. Forse no, la maniera migliore era quella fino all'anno scorso, di essere in cabina di commento a raccontarla. Quella era la maniera ideale, ma non potendolo fare l'ho vissuta concretamente nell'hospitality della Yamaha insieme a Graziano Rossi e a mia figlia Ludovica, che è venuta con me in moto. Ho visto la partenza dalla terrazza per vederli andar via dal vivo, cosa che non mi succedeva mai perché da telecronista li ho sempre visti in cabina, non ho mai visto una gara dal vivo in MotoGP in vita mia, poi sono corso in hospitality Yamaha. Ritengo che le gare si vedano sempre meglio in televisione che a bordo pista. La dimensione era veramente bellissima: mia figlia da una parte, il papà del vincitore dall'altra con tutte le apprensioni del caso. È stata una cosa molto intensa e sono tornato a casa con mia figlia che mi diceva “Papà tu forse per Rossi sei un po' un amuleto, un porta fortuna. Non sei mai andato ad una gara quest'anno”...

Come mai sei andato a Misano e non al Mugello?
A Misano sono andato perché era arrivato il momento: era più vicino a casa, potevo andare con Ludovica in moto, se ci fossimo stufati di stare in autodromo avremmo potuto andare al mare, mi sembrava una bella maniera di fare un bel week end di settembre. Era il suo compleanno, a Ludovica piace molto Valentino Rossi quindi era un regalo portarla a vedere una gara. Tanto che dopo è andata da Valentino a dirgli: “Grazie mi hai fatto proprio un bel regalo di compleanno vincendo”. Non sono andato al Mugello per vari motivi: fa super caldo e io lo patisco abbastanza e non avrei avuto come gli altri anni un posto rinfrescato dove andare. Inoltre faccio un po' di fatica a muovermi nel paddock per la gente che è carina e ti chiede la foto, ma la fatica è anche quella di sentirsi dire “manchi, manchi, torna!” eh che palle, loro te lo dicono in modo carino ma tu questa cosa la soffri. La pagina l'hai voltata, è inutile andare indietro a leggerlo 'sto libro. Ho guardato il Gran Premio, ma non era il momento di andare secondo me.

Nella tua carriera da giornalista sportivo quanto è stato importante Valentino Rossi?
Fondamentale, sarei un pazzo disonesto a non riconoscerlo. Ho avuto una grande fortuna perché prima di arrivare a Rossi sono stato per tanti anni il telecronista di Alberto Tomba, quando seguivo lo sci, sono poi passato per l'inizio straordinario di Pantani, quando Mediaset aveva il Giro d'Italia, ho sempre avuto da commentare atleti straordinari. Rossi un po' mi ha cambiato la vita, io ero nell'era Rossi, in Italia il giornalista con il ruolo più importante e cosa vuole un telecronista? Vuole avere un atleta suo connazionale che vince, Rossi ha fatto degli anni che vinceva solo lui e come vinceva, con che simpatia, con che disponibilità nei nostri confronti, è cresciuto lui e ha fatto enormemente crescere noi e me in popolarità, in competenza, in tutto. È stato una risorsa straordinaria. L'unico aspetto che non mi ha cambiato la vita, perché sono stato stupido io, perché non mi so vendere, è stato quello economico. Questo perché non ho fatto un libro dal titolo “Rossi c'è”, che forse avrebbe potuto vendere molte copie. Non mi sono prestato a delle pubblicità di aziende di mobili in cui avrei dovuto dire “Tutti in piedi sul divano”, ho avuto molte occasioni per sfruttare quella situazione e ho sempre cercato di considerarmi un puro e non l'ho mai fatto, continuando a prendere semplicemente lo stipendio che la mia azienda prevede per me a fine mese e che negli anni, per altro, è sempre rimasto lo stesso.

Cosa rappresentano per te le moto?
Dire la libertà è un concetto banale. Credo di avere una storia motoristica, faccio un po' di fatica a distinguere la passione che ho per le moto da quella che ho per le auto. Per me sono un po' la stessa cosa, adesso sono più competente in materia di corse di moto che non di auto, ma l'oggetto auto e moto per me quasi si equivalgono. Il cuore mi batte forte forte per entrambe. Trovo che ci siano delle situazioni belle ad andare in macchina ed altre belle ad andare in moto. Come ogni appassionato, anche la mia storia in sella ha subito un'evoluzione: sono passato dall'adolescenza imprudente alla fase della maggiore età super imprudente rischiando la vita in tutti i modi, per arrivare poi a farmi molto male nel 2003, a capire che la moto per la strada è uno strumento da usare con molta intelligenza e cautela, al punto che a volte forse è meglio prendere la macchina, che dà comunque delle belle sensazioni alla guida, ma ti protegge di più e finire ad essere un motociclista da pista. Ho paura di me stesso, della mia incapacità di controllarmi, di considerare che ho la responsabilità di una famiglia fatta di moglie e tre figli. So che con una moto che va, divento stupido in cinque minuti.

Cos'è successo nel 2003?
Ho fatto un incidente incredibile su viale Forlanini a Milano. Mi sono rotto diciassette ossa, tutte e due le gambe, tibia, fermori, le braccia, le costole, tutto in un colpo solo. Mi sono abbracciato ad una serie di pali dei cartelli stradali perché una macchina davanti a me aveva fatto un'inversione a u. Fortunatamente l'uniche cose che non ho toccato sono state la schiena e l'osso del collo. Ho avuto un angelo custode con le strapalle. Poi sono stato un tronco d'uomo per un anno e mezzo a letto, poi sedia rotelle, poi il girello e poi le stampelle. Però ci sono stati due aspetti da motociclista nel dopo incidente: il primo, la voglia di rimettersi in sesto alla svelta, che ha reso la mia guarigione perfino un periodo della vita bellissimo. Intanto mia moglie aspettava la nostra seconda figlia, che è arrivata in un momento doloroso come un lampo di gioia, tant'è che l'abbiamo chiamata Vittoria. Vedere i bambini crescere intorno a me ed ogni giorno muovermi un po' di più, conquistare un passettino dopo l'altro è stata un'avventura bella. Sembrerà strano, ma da essere totalmente infermo ad arrivare a camminare male è stata un'avventura bella, un Gran Premio, quello che i piloti fanno quando dicono “Quando posso tornare a correre?” E sei mesi dopo l'incidente, ancora tutto infermo e storto, mi sono messo in moto a Milano e sono andato al Mugello senza poter appoggiare i piedi per terra, per commentare il Gran Premio. Il secondo aspetto è che ho avuto la sensazione che il fatto di essermi fatto male con la moto mi abbia molto avvicinato ai piloti: ho avuto da loro, in quei giorni, tantissime testimonianze d'affetto dai piloti che conoscevo e frequentavo in quel periodo, hanno pensato molto a me e mi hanno fatto sentire uno di loro. Vuol dire che un po' sono entrato nel loro cuore e che il nostro lavoro è apprezzato anche da loro.

foto Luciano Bianchetto
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