I concept dimenticati degli anni 80 e 90
Il lavoro dei designer è sempre intenso, ma di tutte le proposte che fanno sono poi poche quelle che arrivano davvero in produzione. Sono tante le buone idee rimaste nel cassetto o arrivate al massimo ad essere esposte ai saloni. Ecco una carrellata di prototipi molto interessanti che non hanno avuto un seguito
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Le moto che abbiamo dimenticato
I designer sono vulcanici, le idee fioccano copiose nelle loro menti ma i progetti, per quanto interessanti, non sempre prendono la strada della produzione di serie. Eppure, anche se dimenticati, alcuni concept hanno avuto il merito di anticipare il futuro presentando dettagli o soluzioni che poi hanno realmente trovato uno sbocco nella produzione di serie. Oggi vi raccontiamo alcune delle moto che all'epoca fecero scalpore ma che, per un motivo o per l'altro, non trovarono mai la strada della produzione di serie.
MV Agusta 750 S ED-1 - 1979
Target Studio è un famoso studio di design tedesco, tra i suoi lavori più importanti c’è senza dubbio la Suzuki Katana (qui il nostro primo contatto con la Katana 2019), disegnata dal leggendario Hans Muth. Eppure, poco prima del progetto proposto ai vertici di Hamamatsu, nel 1979, Muth diede vita a un altro progetto realizzato per un concorso della rivista tedesca Motorrad. L’obiettivo era quello di immaginare la moto del futuro e Muth realizzò la MV Agusta 750 S ED-1, basata sulla 750 S degli anni 70 e decisamente molto simile a quella che poi sarebbe diventata la leggendaria Katana (non a caso il nome del prototipo da cui nacque la moto giapponese era ED-2). Con questo prototipo Muth vinse a mani basse ma, purtroppo, la moto rimase solo un esercizio di stile.
BMW Futuro - 1980
Per realizzare la Futuro BMW si affidò alla società tedesca B+B specializzata al tempo nella preparazione di auto, specialmente Porsche, Mercedes e Volkswagen. Con la collaborazione del preparatore Martin Probst, l'obiettivo era quello di produrre una motocicletta in grado di battere i produttori giapponesi, che all’epoca sfornavano moto sempre più efficienti e potenti. L’unico paletto imposto da BMW fu che il motore doveva essere sia un classico boxer, più efficiente ed economico. Seguendo questa logica, sono stati scelti i 797 cm3 della BMW R 80, con l’aggiunta di un turbocompressore. Le modifiche permisero di “tirare fuori” una potenza di 75 cavalli a 7250 giri / min. Il telaio era in lega di alluminio rivestito in kevlar, per un peso complessivo della moto di 180 kg. Il nome “Futuro” venne coniato in onore di un cruscotto avveniristico (per i tempi) dotato di display digitale che segnava velocità, giri motore, marcia inserita, temperatura e pressione dell'olio e persino l’autonomia residua. Presentata nel settembre 1980 alla fiera di Colonia, la moto fu rapidamente abbandonata per via dei costi di produzione altissimi e per il rischio commerciale che un modello simile poteva generare. Otto anni dopo, però, la Futuro si prese la sua rivincita con l’arrivo della K1 che, per linee e design dovette molto al prototipo della B+B.
Suzuki Falco-Rustyco - 1985
Dopo aver stupito il mondo (e fatto storcere il naso ad alcuni puristi) con la Katana, Suzuki ci riprovò nel 1985 presentando al Tokyo Motor Show la FalcoRustyco, ispirata alla cultura pop cyberpunk. La moto, ai cinefili ricorderà senza dubbio le linee dei mezzi visti in Akira, film d’animazione giapponese tra i più celebri e interessanti degli ultimi 40 anni. La moto era dotata di un motore quadricilindrico da 500 cm3, le sospensioni erano a doppio braccio oscillante fissate al motore, eliminando così il telaio. La soluzione, venne poi resa “reale” da Bimota che nel 1990 presentò la Tesi 1D, moto che fece scuola e che rese il marchio italiano celebre in tutto il mondo. In verità il progetto della sospensione anteriore fu un “pallino” della casa Riminese che iniziò a lavorarci sul serio a partire dal 1983. La moto proposta da Suzuki, in ogni caso, aveva un sistema di frenata elettromagnetica, la trazione integrale ed era dotata di due joystick posizionati sullo sterzo che fungevano da manubrio. La Falco non venne neanche mai testata dai collaudatori, restando un semplice “modellino” da Salone. Di lei rimase solo il nome di un uccello, che Suzuki riprese alla fine degli anni 90 per presentare un altro missile, questa volta di serie, la Hayabusa (in giapponese, Falco Pellegrino).
Suzuki Nuda 01-1986
A dimostrare come Suzuki in quegli anni fosse estremamente orientata alla ricerca, un anno dopo la FalcoRustyco presentò la Nuda 01, un concept futuristico motorizzato con il quattro cilindri della GSX-R 750. La moto, pur essendo meno avveniristica della Rustyco, aveva la trazione integrale e i bracci oscillanti visti su quest’ultima. Anche in questo caso il telaio non c’era, per limitare al massimo il peso ed enfatizzare le prestazioni: la casa giapponese dichiarava una velocità massima di 320 km/h. Sulla carta ci rimasero non solo le prestazioni ma, purtroppo, anche la moto…
Yamaha Morpho I & II - 1989/1991
Presentata al Motor Show di Tokyo nel 1989, la Yamaha Morpho - il cui nome è ispirato al "Morpho Menelaus", una farfalla che cambia aspetto in base al suo ambiente - è il risultato di una collaborazione tra l'azienda giapponese e la società GK Dynamics. Anche questa moto era un’evidente interpretazione del futuro e il nome Morpho stava proprio a significare che la moto riusciva a cambiare in base al pilota. Si parla ovviamente di regolazioni di sella, manubrio e pedane, che potevano essere modificate in base alle misure e alle voglie del pilota. Anche la Morpho era dotata di un forcellone anteoriore con sterzo nel mozzo, il motore invece era il quattro cilindri in linea della FZR 1000, capace di 145 CV a 10.000 giri. Nel 1991 Yamaha aggiornò il suo prototipo dotandolo di ABS e sospensione anteriore gestita elettronicamente. La moto ovviamente non andò in produzione, ma in futuro la GTS 1000 (che aveva una sospensione anteriore simile) e la TDM 850 riprenderanno alcune delle proposte della Morpho.
I designer sono vulcanici, le idee fioccano copiose nelle loro menti ma i progetti, per quanto interessanti, non sempre prendono la strada della produzione di serie. Eppure, anche se dimenticati, alcuni concept hanno avuto il merito di anticipare il futuro presentando dettagli o soluzioni che poi hanno realmente trovato uno sbocco nella produzione di serie. Oggi vi raccontiamo alcune delle moto che all'epoca fecero scalpore ma che, per un motivo o per l'altro, non trovarono mai la strada della produzione di serie.
MV Agusta 750 S ED-1 - 1979
Target Studio è un famoso studio di design tedesco, tra i suoi lavori più importanti c’è senza dubbio la Suzuki Katana (qui il nostro primo contatto con la Katana 2019), disegnata dal leggendario Hans Muth. Eppure, poco prima del progetto proposto ai vertici di Hamamatsu, nel 1979, Muth diede vita a un altro progetto realizzato per un concorso della rivista tedesca Motorrad. L’obiettivo era quello di immaginare la moto del futuro e Muth realizzò la MV Agusta 750 S ED-1, basata sulla 750 S degli anni 70 e decisamente molto simile a quella che poi sarebbe diventata la leggendaria Katana (non a caso il nome del prototipo da cui nacque la moto giapponese era ED-2). Con questo prototipo Muth vinse a mani basse ma, purtroppo, la moto rimase solo un esercizio di stile.
BMW Futuro - 1980
Per realizzare la Futuro BMW si affidò alla società tedesca B+B specializzata al tempo nella preparazione di auto, specialmente Porsche, Mercedes e Volkswagen. Con la collaborazione del preparatore Martin Probst, l'obiettivo era quello di produrre una motocicletta in grado di battere i produttori giapponesi, che all’epoca sfornavano moto sempre più efficienti e potenti. L’unico paletto imposto da BMW fu che il motore doveva essere sia un classico boxer, più efficiente ed economico. Seguendo questa logica, sono stati scelti i 797 cm3 della BMW R 80, con l’aggiunta di un turbocompressore. Le modifiche permisero di “tirare fuori” una potenza di 75 cavalli a 7250 giri / min. Il telaio era in lega di alluminio rivestito in kevlar, per un peso complessivo della moto di 180 kg. Il nome “Futuro” venne coniato in onore di un cruscotto avveniristico (per i tempi) dotato di display digitale che segnava velocità, giri motore, marcia inserita, temperatura e pressione dell'olio e persino l’autonomia residua. Presentata nel settembre 1980 alla fiera di Colonia, la moto fu rapidamente abbandonata per via dei costi di produzione altissimi e per il rischio commerciale che un modello simile poteva generare. Otto anni dopo, però, la Futuro si prese la sua rivincita con l’arrivo della K1 che, per linee e design dovette molto al prototipo della B+B.
Suzuki Falco-Rustyco - 1985
Dopo aver stupito il mondo (e fatto storcere il naso ad alcuni puristi) con la Katana, Suzuki ci riprovò nel 1985 presentando al Tokyo Motor Show la FalcoRustyco, ispirata alla cultura pop cyberpunk. La moto, ai cinefili ricorderà senza dubbio le linee dei mezzi visti in Akira, film d’animazione giapponese tra i più celebri e interessanti degli ultimi 40 anni. La moto era dotata di un motore quadricilindrico da 500 cm3, le sospensioni erano a doppio braccio oscillante fissate al motore, eliminando così il telaio. La soluzione, venne poi resa “reale” da Bimota che nel 1990 presentò la Tesi 1D, moto che fece scuola e che rese il marchio italiano celebre in tutto il mondo. In verità il progetto della sospensione anteriore fu un “pallino” della casa Riminese che iniziò a lavorarci sul serio a partire dal 1983. La moto proposta da Suzuki, in ogni caso, aveva un sistema di frenata elettromagnetica, la trazione integrale ed era dotata di due joystick posizionati sullo sterzo che fungevano da manubrio. La Falco non venne neanche mai testata dai collaudatori, restando un semplice “modellino” da Salone. Di lei rimase solo il nome di un uccello, che Suzuki riprese alla fine degli anni 90 per presentare un altro missile, questa volta di serie, la Hayabusa (in giapponese, Falco Pellegrino).
Suzuki Nuda 01-1986
A dimostrare come Suzuki in quegli anni fosse estremamente orientata alla ricerca, un anno dopo la FalcoRustyco presentò la Nuda 01, un concept futuristico motorizzato con il quattro cilindri della GSX-R 750. La moto, pur essendo meno avveniristica della Rustyco, aveva la trazione integrale e i bracci oscillanti visti su quest’ultima. Anche in questo caso il telaio non c’era, per limitare al massimo il peso ed enfatizzare le prestazioni: la casa giapponese dichiarava una velocità massima di 320 km/h. Sulla carta ci rimasero non solo le prestazioni ma, purtroppo, anche la moto…
Yamaha Morpho I & II - 1989/1991
Presentata al Motor Show di Tokyo nel 1989, la Yamaha Morpho - il cui nome è ispirato al "Morpho Menelaus", una farfalla che cambia aspetto in base al suo ambiente - è il risultato di una collaborazione tra l'azienda giapponese e la società GK Dynamics. Anche questa moto era un’evidente interpretazione del futuro e il nome Morpho stava proprio a significare che la moto riusciva a cambiare in base al pilota. Si parla ovviamente di regolazioni di sella, manubrio e pedane, che potevano essere modificate in base alle misure e alle voglie del pilota. Anche la Morpho era dotata di un forcellone anteoriore con sterzo nel mozzo, il motore invece era il quattro cilindri in linea della FZR 1000, capace di 145 CV a 10.000 giri. Nel 1991 Yamaha aggiornò il suo prototipo dotandolo di ABS e sospensione anteriore gestita elettronicamente. La moto ovviamente non andò in produzione, ma in futuro la GTS 1000 (che aveva una sospensione anteriore simile) e la TDM 850 riprenderanno alcune delle proposte della Morpho.
Honda ES21 - 1993
L'ES21 è uno dei primi concept di motocicletta elettrica dell’epoca. Di lei non sappiamo nulla, Honda non divulgò infatti alcuna scheda tecnica, ma sappiamo che il motore della moto era basato su una batteria all’idrogeno. Anche lei era dotata di sospensione anteriore nel mozzo e le linee, filanti e sportive, facevano suggerire per il prototipo un indirizzo prettamente corsaiolo.
Honda Super Mono 644 - 1995
Nel 1995 Honda pensò di provare a “sfidare” la Ducati Supermono 550 (mezzo riservato solo alle competizioni) presentando al Tokyo Motor Show la Super Mono 644. La moto era dotata di un telaio in traliccio di tubi e una forcella a steli rovesciati, una primizia per l’epoca. Di lei non si sa che questo, dato che Honda non comunicò mai altri dettagli tecnici, eppure, per quanto sia stata messa in soffitta subito dopo la kermesse giapponese, la moto presenta degli elementi di design che in questo contesto storico, caratterizzato da molti richiami al passato, risulta essere fortemente attuale.
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