Hazan BSA 500 - L’ennesimo capolavoro di Max
L’unica cosa che si può fare di fronte a certe moto è spalancare la bocca meravigliati. Forse perchè vanno anche oltre il concetto di special, avvicinandosi di più a quello di gioielli
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Fuoriserie
Che moto
Maxwell Hazan ha colpito ancora. Il customizer newyorkese ha nuovamente stupito tutti con l’ennesimo capolavoro di forme e linee su due ruote. Il suo Ironhead, la sua Royal Enfield o la sua prima BSA sono stati qualcosa che va oltre al concetto di moto, sono state cesellature preziosissime che hanno fatto trasparire non solo una strabiliante abilità tecnica ma anche delle citazioni di art decò e steampunk.
Come lui stesso dice: «Non costruisco bobber, choppers o cafè racer. Amo le creazioni belle ma che non necessariamente rispettino una categoria. Parto con un motore o un’idea e lascio che le linee dettino cosa costruirci attorno. Non credo ai compormessi nel processo creativo».
Probabilmente è stato così anche per l’ultima sua opera, un’altra BSA 500 abbandonata in fondo al garage finché a Max non s’è accesa la lampadina e da cadavere quella moto inglese è diventata un moderno streamliner con forme che ricordano le auto americane degli anni Trenta.
Il motore era quasi completo e per le parti mancanti non c’è stato molto da lavorare vista la sua semplicità.
Il tempo è stato speso per tutto quello che non era motore.
E’ clamoroso quel retrotreno, altre parole non ci sono, con il cerchio Excel da 19 pollici completamente affogato nelle lamiere, ovviamente modellate da Hazan stesso, e la trazione assicurata grazie ad un albero che fuoriesce lateralmente dal mozzo stesso. Tutto termina sotto alla sella, poi c’è solo quel grosso pezzo d’alluminio.
Tanto quanto al posteriore, anche all’avantreno si notano dettagli eccezionali. La forcella springer è stata ricavata da barre in acciaio lavorate alla smerigliatrice e sega a nastro. Tutti i particolari dell’avantreno sono stati costruiti da zero e lo stesso è stato accoppiato a un cerchio da 23 pollici di tipo clincher che calza una classicissima Firestone.
Come è solito fare, Hazan accoppia al solito metallo anche materiali poco utilizzati in una officina di moto, basti pensare alla sella in legno per la Royal Enfield che costruì qualche anno fa. Questa volta il riciclo arriva dal vetro Pyrex resistente alle alte temperature utilizzato come serbatoio dell’olio. Pericoloso? Fragile? Probabile. Scenografico? Certamente.
E le luci? Anche qui le scelte sono state agli antipodi ma deliziose: nel faro anteriore a forma di scudo sono state inserite delle lampadine vintage General Electric, mentre una striscia di tecnologici LED corre lungo il parafango posteriore.
Quando Max Hazan ha mostrato lo sketch al fortunato proprietario di questa moto, un fotografo di National Geographic, lo ha rassicurato con un trust me, fidati di me.
Ad occhi chiusi, ad occhi chiusi Max.
Maxwell Hazan ha colpito ancora. Il customizer newyorkese ha nuovamente stupito tutti con l’ennesimo capolavoro di forme e linee su due ruote. Il suo Ironhead, la sua Royal Enfield o la sua prima BSA sono stati qualcosa che va oltre al concetto di moto, sono state cesellature preziosissime che hanno fatto trasparire non solo una strabiliante abilità tecnica ma anche delle citazioni di art decò e steampunk.
Come lui stesso dice: «Non costruisco bobber, choppers o cafè racer. Amo le creazioni belle ma che non necessariamente rispettino una categoria. Parto con un motore o un’idea e lascio che le linee dettino cosa costruirci attorno. Non credo ai compormessi nel processo creativo».
Probabilmente è stato così anche per l’ultima sua opera, un’altra BSA 500 abbandonata in fondo al garage finché a Max non s’è accesa la lampadina e da cadavere quella moto inglese è diventata un moderno streamliner con forme che ricordano le auto americane degli anni Trenta.
Il motore era quasi completo e per le parti mancanti non c’è stato molto da lavorare vista la sua semplicità.
Il tempo è stato speso per tutto quello che non era motore.
E’ clamoroso quel retrotreno, altre parole non ci sono, con il cerchio Excel da 19 pollici completamente affogato nelle lamiere, ovviamente modellate da Hazan stesso, e la trazione assicurata grazie ad un albero che fuoriesce lateralmente dal mozzo stesso. Tutto termina sotto alla sella, poi c’è solo quel grosso pezzo d’alluminio.
Tanto quanto al posteriore, anche all’avantreno si notano dettagli eccezionali. La forcella springer è stata ricavata da barre in acciaio lavorate alla smerigliatrice e sega a nastro. Tutti i particolari dell’avantreno sono stati costruiti da zero e lo stesso è stato accoppiato a un cerchio da 23 pollici di tipo clincher che calza una classicissima Firestone.
Come è solito fare, Hazan accoppia al solito metallo anche materiali poco utilizzati in una officina di moto, basti pensare alla sella in legno per la Royal Enfield che costruì qualche anno fa. Questa volta il riciclo arriva dal vetro Pyrex resistente alle alte temperature utilizzato come serbatoio dell’olio. Pericoloso? Fragile? Probabile. Scenografico? Certamente.
E le luci? Anche qui le scelte sono state agli antipodi ma deliziose: nel faro anteriore a forma di scudo sono state inserite delle lampadine vintage General Electric, mentre una striscia di tecnologici LED corre lungo il parafango posteriore.
Quando Max Hazan ha mostrato lo sketch al fortunato proprietario di questa moto, un fotografo di National Geographic, lo ha rassicurato con un trust me, fidati di me.
Ad occhi chiusi, ad occhi chiusi Max.
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