Approvati i dazi alle e-bike cinesi
Sono operative le misure antidumping per le bici a pedalata assistita importate dalla Cina che introducono dazi con percentuali variabili tra il 18,8 e il 79,3%. Un provvedimento che dovrebbe tutelare i costruttori europei, consentendo di recuperare parte della quote di mercato perse per la concorrenza sleale dei produttori asiatici

Green Planet
Critiche dalla Leva-Eu
Sono confermate le previsioni sull’introduzione di dazi alle bici a pedalata assistita importate dalla Cina. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea del 17 gennaio, entrano ufficialmente in vigore dal 18 gennaio le misure antidumping stabilite dalla Commissione europea che prevedono dazi compresi tra il 18,8 e il 79,3% per le e-bike importate dal paese asiatico. Una decisione che arriva dopo un lungo iter iniziato con la denuncia inoltrata l’8 novembre 2017 dell’Ebma, l’associazione dei produttori europei di biciclette, per concorrenza sleale a causa dei sussidi e delle agevolazioni elargite dal Governo della Repubblica popolare ai propri costruttori. Una accusa ritenuta dalla Commissione europea concreta, dopo un'indagine che analizza il mercato e le politiche cinesi dal 1° gennaio del 2014 al 30 settembre del 2017. Un periodo durante il quale i responsabili europei hanno rilevato il sostegno improprio delle aziende asiatiche con un lungo elenco di modalità, come l’erogazione di servizi statali a condizioni vantaggiose, la fornitura di acciaio, alluminio, motori e batterie a prezzo inferiore del valore di mercato, agevolazioni sull’affitto dei terreni, assicurazioni e finanziamenti e sgravi alle imposte diretti e indiretti. Una serie di azioni che avrebbero consentito ai marchi made in Cina di avere prezzi inferiori rispetto alla concorrenza europea di percentuali variabili tra il 3,9% rilevato per la Giant (azienda di Taiwan con stabilimenti in Cina) e il 17,2% registrato per la Suzhou Rununion Motivity. Percentuali compensante con i dazi già citati attribuiti in proporzione alle agevolazioni ottenute. A conferma dello squilibrio del mercato generato dai sussidi concessi dalle autorità della Repubblica popolare arrivano anche dai dati di vendita di e-bike nell’Unione europea. In un mercato cresciuto da 1.139.000 unità del 2014 a 1.982.269 del 2017 (+74%), i modelli arrivati dall’oriente sono passati da 199.728 a 699.658 unità con un plus del 250%. Una "invasione" che ha consentito ai cicli cinesi di raddoppiare la propria quota di mercato in Europa da 18 al 35%. Un andamento divenuto più accentuato negli ultimi anni per il continuo ribasso dei prezzi medi delle e-bike importate, passate da 472 a 422 euro (-11%) nel periodo preso in esame. Valori, per altro, registrati con l’aumento delle importazioni di bici di qualità più alta, quindi più costose. Nel contempo, l’industria europea ha subito altri cali generati dall’incremento di importazioni da altri paesi, come Taiwan (+410%), Vietnam (+168%) e la vicina Svizzera (+3.121%). L’esito è che le consegne delle e-bike prodotte all’interno dell'Unione europea sono cresciute dalle 850.971 unità del 2014 alle 1.019.001 del 2017, ma la loro quota di mercato è scesa dal 75 al 51%. Una calo che la Commissione spera di arrestare con l’attuale provvedimento che ha visto gioire i responsabili di Ebma che l’hanno promosso, ma che è stato contestato dalla Leva-Eu, il collettivo di importatori europei di biciclette elettriche. Secondo il direttore Annick Roetynck “la decisione della Commissione è profondamente deplorevole e va contro tutti gli sforzi compiuti dalla stessa Commissione per raggiungere gli obiettivi climatici dell'UE. Inoltre, punisce i cittadini europei limitando l'offerta di biciclette elettriche e provocandone l’aumento di prezzo, nonché un gran numero di piccole e medie imprese continentali che operano con le e-bike assemblate in Cina”. La dura presa di posizione di Roetynck prosegue affermando che le soluzioni volute dalla Commissione sono “infondate, protezioniste, ingiuste e assurde” perché non supportate da prove concrete del dumping e sacrificano dozzine di piccole imprese per favorire la redditività dell’industria del ciclo di appena lo 0,9%.
Sono confermate le previsioni sull’introduzione di dazi alle bici a pedalata assistita importate dalla Cina. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea del 17 gennaio, entrano ufficialmente in vigore dal 18 gennaio le misure antidumping stabilite dalla Commissione europea che prevedono dazi compresi tra il 18,8 e il 79,3% per le e-bike importate dal paese asiatico. Una decisione che arriva dopo un lungo iter iniziato con la denuncia inoltrata l’8 novembre 2017 dell’Ebma, l’associazione dei produttori europei di biciclette, per concorrenza sleale a causa dei sussidi e delle agevolazioni elargite dal Governo della Repubblica popolare ai propri costruttori. Una accusa ritenuta dalla Commissione europea concreta, dopo un'indagine che analizza il mercato e le politiche cinesi dal 1° gennaio del 2014 al 30 settembre del 2017. Un periodo durante il quale i responsabili europei hanno rilevato il sostegno improprio delle aziende asiatiche con un lungo elenco di modalità, come l’erogazione di servizi statali a condizioni vantaggiose, la fornitura di acciaio, alluminio, motori e batterie a prezzo inferiore del valore di mercato, agevolazioni sull’affitto dei terreni, assicurazioni e finanziamenti e sgravi alle imposte diretti e indiretti. Una serie di azioni che avrebbero consentito ai marchi made in Cina di avere prezzi inferiori rispetto alla concorrenza europea di percentuali variabili tra il 3,9% rilevato per la Giant (azienda di Taiwan con stabilimenti in Cina) e il 17,2% registrato per la Suzhou Rununion Motivity. Percentuali compensante con i dazi già citati attribuiti in proporzione alle agevolazioni ottenute. A conferma dello squilibrio del mercato generato dai sussidi concessi dalle autorità della Repubblica popolare arrivano anche dai dati di vendita di e-bike nell’Unione europea. In un mercato cresciuto da 1.139.000 unità del 2014 a 1.982.269 del 2017 (+74%), i modelli arrivati dall’oriente sono passati da 199.728 a 699.658 unità con un plus del 250%. Una "invasione" che ha consentito ai cicli cinesi di raddoppiare la propria quota di mercato in Europa da 18 al 35%. Un andamento divenuto più accentuato negli ultimi anni per il continuo ribasso dei prezzi medi delle e-bike importate, passate da 472 a 422 euro (-11%) nel periodo preso in esame. Valori, per altro, registrati con l’aumento delle importazioni di bici di qualità più alta, quindi più costose. Nel contempo, l’industria europea ha subito altri cali generati dall’incremento di importazioni da altri paesi, come Taiwan (+410%), Vietnam (+168%) e la vicina Svizzera (+3.121%). L’esito è che le consegne delle e-bike prodotte all’interno dell'Unione europea sono cresciute dalle 850.971 unità del 2014 alle 1.019.001 del 2017, ma la loro quota di mercato è scesa dal 75 al 51%. Una calo che la Commissione spera di arrestare con l’attuale provvedimento che ha visto gioire i responsabili di Ebma che l’hanno promosso, ma che è stato contestato dalla Leva-Eu, il collettivo di importatori europei di biciclette elettriche. Secondo il direttore Annick Roetynck “la decisione della Commissione è profondamente deplorevole e va contro tutti gli sforzi compiuti dalla stessa Commissione per raggiungere gli obiettivi climatici dell'UE. Inoltre, punisce i cittadini europei limitando l'offerta di biciclette elettriche e provocandone l’aumento di prezzo, nonché un gran numero di piccole e medie imprese continentali che operano con le e-bike assemblate in Cina”. La dura presa di posizione di Roetynck prosegue affermando che le soluzioni volute dalla Commissione sono “infondate, protezioniste, ingiuste e assurde” perché non supportate da prove concrete del dumping e sacrificano dozzine di piccole imprese per favorire la redditività dell’industria del ciclo di appena lo 0,9%.
Aggiungi un commento