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Alessia Polita: “Jesi non ha strutture per i disabili”

Alessia Polita - La pilota jesina critica la sua città che pur essendo città europea dello sport è sprovvista di strutture per i disabili. L’unico sport praticabile è il tiro con l’arco e per poter fare altro è necessario arrivare fino a Porto San Giorgio. Ma Alessia non molla e a quasi 6 mesi dall’incidente che l’ha costretta su una sedia a rotelle ha mille idee e una speranza...
Lo sport è un diritto di tutti
Lo scorso 15 giugno la vita di Alessia Polita è cambiata radicalmente. Per un’atleta come lei, essere costretti su una sedia a rotelle significa molto di più che doversi abituare a una vita da disabile, significa infatti prima di tutto dover cambiare il proprio rapporto con lo sport, fino ad allora parte integrante e fondamentale della propria vita. Praticarlo diventa una conquista giornaliera e alcune zone d'Italia, con le sue arretratezze, non sono certo d'aiuto. Ecco il suo sfogo al Corriere Adriatico: “Facevo snowboard, vela, motocross, ciclismo e correvo in pista. Come faccio ad arrendermi a stare qui? A ventisette anni non è possibile... Mi mancano le moto, i quindici minuti dietro la griglia di partenza, l’adrenalina della gara, i sorpassi, la bandiera a scacchi. Ero una zingara del paddock e dei circuiti, ed era così bello... La pista era casa mia e a volte tornavo a Jesi in vacanza. Il mio obiettivo è quello di tornare in sella. Faccio fisioterapia due volte a settimana, mi impegno e non ho intenzione di rinunciare ai motori, mio padre sta preparando la moto da cross per farla diventare una motard. Appena possibile andrò a girare in pista a Camerata Picena per allenarmi. La mia prima sfida è proprio quella, se salgo in sella ritornerò a essere l’Alessia di prima. Finché la moto non sarà pronta però, dovrò tenermi in allenamento ma Jesi, sebbene sia città europea dello sport non ha impianti per disabili. Noi possiamo fare solo tiro con l’arco. È deludente, ogni sport dovrebbe essere per tutti, anche per chi, come me, è costretto su una sedia. Qui non c’è nulla e per fare sport devo arrivare fino a Porto San Giorgio (a circa 80 km di distanza ndr).” Alessia è concentrata sul suo presente ma non perde d’occhio quelli che potrebbero essere i miglioramenti garantiti dal progresso medico: “Non mi rassegno alla diagnosi di Imola, le proverò tutte e credo molto nelle cellule staminali. Lo choc spinale dura sei-sette mesi prima della stabilizzazione, quindi in uno o due anni tutto potrebbe accadere. Ho tanta forza di volontà, ho coraggio e non intendo starmene qui seduta a fare nulla. Dietro alla disabilità ci sono tanti altri problemi e se le cellule staminali riuscissero a risolvere anche solo il problema fisiologico per chi è nella mia condizione sarebbe già tantissimo.”
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