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MotoGP oggi comandano gli ingegneri? Ancora no, per fortuna

Il rapporto tra Dovizioso e Dall'Igna, le rimostranze di Vinales e Quartararo a Yamaha: non sempre i piloti vengono ascoltati dai tecnici, ma non è colpa della telemetria. Il livellamento tecnico e la dipendenza dalle gomme pesano molto sulla mancanza di feeling e di progresso nelle prestazioni di alcune moto
La storia del motomondiale è ricca di discussioni tra tecnici e piloti sulla direzione da prendere nello sviluppo della moto. Dai primi anni ’90 in poi ricordiamo Wayne Rainey chiedere a Yamaha di tornare al vecchio telaio che era meglio del nuovo, Max Biaggi scontento tanto sulla YZR-M1 che sulla RC211-V, o l’odissea di Valentino Rossi in Ducati. Perfino Marc Marquez, nel 2015, ha dovuto insistere parecchio prima di ottenere dai tecnici Hrc che venisse abbandonato il nuovo telaio in favore della precedente versione.

Dovi, Fabio e i malumori
Nelle ultime due stagioni non sono passati sotto silenzio i mugugni di Dovizioso, che chiedeva a Dall’Igna una Desmosedici che girasse meglio, e in questa stagione le telecamere di Sky hanno inquadrato in più di un’occasione i cazzotti di Quartararo e Vinales al serbatoio delle loro povere M1. I due giovani di Yamaha si sono lamentati parecchio, ma non hanno saputo nemmeno indicare con coerenza una direzione da seguire. El Diablo nel 2021 entrerà nel team factory e sostiene di avere le idee chiare su cosa serve, ma teme che i tecnici non lo ascoltino.

Il computer: un alleato degli ingegneri?
Come visto sopra, il matrimonio tra i campioni e il reparto tecnico non sempre è stato idilliaco, ma se una volta lo scontro era tra idee diverse, oggi come oggi i piloti oppongono la propria esperienza in pista ai numeri, sempre più padroni della verità e invasivi nella definizione del progetto. La telemetria non mente, e per di più ogni Casa al giorno d’oggi non ha solo uno o due piloti dotati di mezzi ufficiali, ma spesso tre o quattro. Anche Suzuki, che non ha una squadra clienti, ha però un test team molto efficiente, con Sylvain Guintoli che porta avanti lo sviluppo. Il francese è pur sempre il campione del mondo 2014 superbike e gode di ottima considerazione da parte degli ingegneri. La squadra di Brivio comunque non ha avuto problemi di sorte in questa stagione, gli avversari invece sì.

In ordine sparso
A guardare bene i singoli casi, non si possono tuttavia trovare molti elementi comuni. Partiamo da Ducati: nel caso del costruttore italiano, il capo progetto ha un’idea ben precisa della direzione da tenere e vuole sperimentare le proprie idee fino in fondo. In questi anni Dall’Igna non ha avuto molto tempo per lavorare con rider diversi da Dovizioso, ma non si tratta tanto di dati contro uomini, quanto di uno scontro di personalità. A Borgo Panigale si è aggiunta poi la non molto gratificante esperienza con la gomma posteriore Michelin 2020, che ha ingarbugliato ulteriormente la matassa.
In Yamaha la situazione è diversa: in anni recenti prima Lorenzo, poi Valentino, infine Vinales hanno influenzato più o meno le decisioni dei progettisti, ma il rapporto del team con il quartier generale giapponese si traduce sostanzialmente nel deliberare su nuovi telai e motori. L’interazione è forse meno stretta che in Ducati, ma ci sono anche meno novità sul piatto, e la M1 paga una cronica deficienza in termini di cavalleria.
Situazione ancora più statica in Honda, dove Marquez viene probabilmente ascoltato di più, ma è da quasi un anno ormai che l’otto volte campione del mondo non è in grado di fornire il necessario feedback ai tecnici. In HRC non mancano certo dei mezzi per sviluppare una moto, ma quando per sette anni segui un pilota e questo ti viene improvvisamente a mancare, diventa difficile muoversi in autonomia. Portare avanti un progetto affidandosi a Bradl o Nakagami – con rispetto parlando di entrambi- sarebbe utopico.

Il futuro ha ancora un volto umano
Insomma, come dimostra il caso dei progressi di KTM con Pedrosa, quando si ragiona a due ruote è ancora il pilota l’elemento che può indicare la direzione da prendere, soprattutto quando c’è molto terreno da recuperare. Inseguire solo l’incremento prestazionale non paga, e nella ultratecnologica MotoGP di oggi tutto sommato si tratta di una notizia consolante.
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