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KTM e Honda, per vincere in MotoGP i soldi non bastano

Il costruttore austriaco è sull'orlo di abbandonare la MotoGP. Non sono bastati investimenti faraonici per arrivare al successo: anche Honda ha pagato lo stesso prezzo dal 2020 in poi. Per vincere conta soprattutto il progetto

La crisi KTM è esplosa al termine di una stagione che per il costruttore austriaco non è stata particolarmente esaltante. Sono arrivati 6 podi, grazie soprattutto al talento di Pedro Acosta, ma nessuna vittoria e il bilancio si fa più amaro, ora che l'avventura in MotoGP è a rischio (se non nel 2025, sul medio-lungo periodo). Guardando indietro, gli investimenti del colosso di Mattighofen hanno fruttato pochino: 7 vittorie in 8 anni e un paio di piazzamenti al secondo posto in campionato, molto lontano però da Ducati. E se guardiamo al post-Covid, nemmeno Honda se l'è passata molto meglio: nonostante un contratto da 100 milioni di euro con cui ha bloccato Marquez per un quadriennio, oltre a investimenti nell'ordine di 80 milioni a stagione, la casa giapponese ha raccolto appena 4 vittorie dal 2020 in poi. Si tratta insomma di due casi nei quali le ingenti somme spese hanno pagato poco in rapporto ai risultati ottenuti.

 

Il prezzo dell'insuccesso

Nel 2020, quando Suzuki ha vinto il titolo MotoGP – anche se in un anno particolare, ma particolare per tutti- il budget della casa di Hamamatsu si aggirava intorno ai 40 milioni di euro e le moto in griglia erano solo due. Inoltre, le GSX-RR erano riuscite ad arrivare al successo già dalla seconda stagione dal rientro nel 2015, e pur con qualche passaggio a vuoto, il team di Davide Brivio è sempre riuscito a mantenere una certa competitività.

KTM è stato l'ultimo costruttore a unirsi alla MotoGP attuale e fin dal principio gli investimenti sono stati importanti. Le cifre indicate qualche anno fa erano di circa 50 milioni per la sola classe regina, a cui vanno aggiunte cifre decisamente importanti per Moto2 (fino al 2019 anche come costruttore), Moto3 e Red Bull Rookies Cup. È vero che nelle classi minori KTM ha vinto molto: in Moto3 gli ultimi 4 campionati – contando anche le moto re-branded-, 8 complessivamente; in Moto2 tre titoli con Remy Gardner, Augusto Fernandez e Pedro Acosta, anche se il successo è arrivato solo dopo avere lasciato come costruttore nel 2019.

Considerando che lo scopo di partecipare alle categorie minori per i grandi marchi sta anche e soprattutto nello sviluppare talenti da portare in MotoGP, la missione è stata quasi fallimentare: dell'enorme mole di piloti contrattualizzati negli anni e seguiti passo passo, KTM in scuderia oggi ha solo Brad Binder e Pedro Acosta. Certo, lo spagnolo è una stella, ma è arrivato in una situazione già critica per i conti, nello stesso anno in cui – tra l'altro- Jorge Martin ha vinto il titolo con Ducati, qualche anno dopo avere lasciato proprio Mattighofen.


Giganti fragili

Il discorso per Honda è parzialmente diverso: la casa dell'ala dorata rimane il costruttore più vincente in era MotoGP (10 titoli contro gli 8 di Yamaha, i 4 di Ducati e il solo campionato vinto da Suzuki), ma il peso di Marquez su questo conto è stato enorme, considerando che ha portato ben 6 titoli a Tokyo. Senza andare a tempi davvero remoti, da quando in HRC è sbarcato Marc nel 2013, Honda ha vinto solo 13 gare con piloti diversi (Pedrosa, Crutchlow, Miller e Rins), a fronte di un budget superiore a tutti. Dal 2020, con Marquez a mezzo servizio in termini di condizioni fisiche, anche solo andare a podio è stato difficilissimo: l'unico successo è arrivato grazie ad Alex Rins, l'anno scorso ad Austin.


I soldi non contano?

Sarebbe romantico e fuorviante raccontare la favola per cui i soldi in MotoGP non servono. Semplicemente non sono abbastanza: il progetto tecnico rimane la base del successo e non ci sono formule magiche. Suzuki ha vinto con un motore 4 in linea e lo stesso Max Bartolini - che in questo momento dirige le operazioni in Yamaha- ha spiegato che Luca Marmorini è convinto di riuscire a estrarre altrettanta potenza da un propulsore con quella configurazione, piuttosto che un V4. Il dominio di Ducati è il frutto di un mix di elementi diversi: tradizione (motore desmo), innovazione (aerodinamica) e realismo (costruire la moto sulle gomme e tanti dati a cui attingere). E se guardiamo alla storia di Aprilia, con le dovute differenze possiamo parlare di ottimi risultati: 4 vittorie negli ultimi 3 anni e tanti podi, con un budget che è il più compresso della classe regina. Anche per Noale, innovazione e tradizione si sono combinate in una moto che non copia la Desmosedici, ma sviluppa concetti propri con coraggio e costanza di applicazione.

KTM ha investito molto, forse anche troppo in termini di progetto, e avrebbe potuto probabilmente raccogliere risultati simili senza strafare. Honda deve invece trovare una direzione, senza fare e disfare da zero ogni volta che si approccia a un progetto, con l'ansia di tornare subito al top.

La lezione che si ricava da questi insuccessi in fondo è davvero un po' romantica: in MotoGP i soldi contano il giusto, il peso della fantasia – intesa come capacità di innovare- e del pilotaggio contano ancora moltissimo.

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