MotoGP, la scuola italiana si impone anche tra i tecnici
Dopo i successi di Ducati e Aprilia, anche KTM e Yamaha si sono affidate a ingegneri di casa nostra per colmare il gap dagli avversari. Fabiano Sterlacchini è stato ingaggiato dagli austriaci, Marmorini dai giapponesi che ora hanno una "antenna tecnologica" in Italia. Solo Honda continua a fare tutto in casa
L'Italia quest'anno è tornata a vincere il titolo della MotoGP con Pecco Bagnaia, un alloro che mancava dal 2009, e ha ottenuto il successo in ben 11 gare, grazie anche alle prodezze di Enea Bastianini. L'anno prossimo i nostri piloti si ripresenteranno in gran forza al via del mondiale, con 6 piloti su 22, ma non è solo in sella che il tricolore sventola più forte che mai.
Tecnici di valore
Sul fronte costruttori Ducati ha vinto il titolo e anche Aprilia è giunta al successo, anche se nel finale di campionato ha perso la seconda posizione in favore di Yamaha per soli 8 punti. Ma è soprattutto dal punto di vista del know-how che ormai il nostro Paese è un punto di riferimento assoluto. Gigi Dall'Igna è a capo del progetto di Borgo Panigale, un vanto assoluto riconosciuto da tutti, Romano Albesiano è il suo omologo in Aprilia, e ora che può concentrarsi solo sul lavoro di concetto i risultati si vedono. Ma i tecnici italiani sono anche “materia” d'esportazione, tanto che Fabiano Sterlacchini è finito a dirigere le operazioni in KTM, e Luca Marmorini è entrato a far parte della squadra Yamaha.
L'antenna tecnologica
Negli anni '80-'90, in Formula 1, la Ferrari aveva assunto il geniale John Barnard, autore di molte vittoriose McLaren, per risollevare le sorti del Cavallino, e il progettista inglese aveva nel secondo mandato lavorato direttamente dall'Inghilterra, dove aveva sede il suo studio. Dal punto di vista progettuale l'Oltremanica al tempo era il riferimento assoluto e in Ferrari avevano accettato – controvoglia- di lasciare a Barnard la libertà di lavorare nel suo ambiente. Oggi sembrerebbe ripetersi qualcosa di analogo con Marmorini, che insieme ai suoi collaboratori rimarrà in Italia per lavorare sul motore della M1. D'altronde anche il team ha base a Monza e la scelta dei giapponesi non sembra solo logistica, ma in qualche modo “filosofica”. Avere un'antenna tecnologica in Italia potrebbe rappresentare un vantaggio, sarà il tempo a dirlo.
Honda resta sola
In questo modo è la sola HRC a rimanere fedele al concetto “facciamo tutto da soli”, anche se persino la casa motociclistica più grande al mondo nel tempo ha ceduto “quote di sovranità”. Da tempo ormai i freni delle Honda non sono più Nissin ma Brembo, le sospensioni sono Ohlins come per tutto il resto della griglia (eccezion fatta per KTM). Persino per quanto riguarda il forcellone, ormai Honda si rivolge a Kalex, che lavora per diversi altri clienti nel paddock. Tuttavia, per quanto riguarda motore, cambio ed elettronica, in HRC insistono nel lavorare da Tokyo, con i propri ingegneri. Sarà l'anno della svolta per Honda, o in futuro vedremo infrangere anche questo tabù, magari per vedere affidata una parte del progetto della RC213V a un tecnico italiano? Difficile, ma ormai niente sembra impossibile.
Primi anche nel box
Il primato italiano non finisce “dietro la scrivania”. Anche nei box ci sono tecnici di grandissimo valore, e alcuni di loro in questi anni hanno accompagnato i più grandi campioni al titolo in qualità di crew chief. Quest'anno Christian Gabarrini si è laureato campione con Pecco Bagnaia (ma in passato ha lavorato anche con Stoner e Lorenzo), l'anno scorso a vincere il titolo è stato Diego Gubellini, con Fabio Quartararo. Ma per anni abbiamo visto Alberto Giribuola (fresco di passaggio in KTM) accompagnare al successo prima Dovizioso e poi Bastianini, mentre Matteo Flamigni ora è il capotecnico di Marco Bezzecchi, dopo essere stato per vent'anni l'ingegnere elettronico di un certo Valentino Rossi. E la lista non finisce qui: ci sono Giacomo Guidotti, Marco Rigamonti, Daniele Romagnoli, tutti professionisti di primissimo livello.