Le dominatrici della MotoGP: Yamaha M1, la regina immortale
La moto che ha consacrato Valentino Rossi ai vertici della categoria è la più longeva del paddock: nata nel 2002 come una YZR con motore 4 tempi, è diventata vincente con la "cura" del Dottore. Gli ingegneri giapponesi l'hanno sempre evoluta, senza mai stravolgerla: ha vinto 7 titoli mondiali piloti, ma l'ultimo risale al 2015
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Scrivere della Yamaha M1 significa ripercorrere la storia di una moto che ha vent'anni di vita. Nata nel 2002, ancora oggi ricalca quello schema di partenza, mentre Honda nel frattempo ha costruito ben tre prototipi differenti. Ducati chiama tutte le proprie GP Desmosedici, ma della prima belva che debuttò nel 2003 è rimasto molto poco. Suzuki addirittura è passata da un motore a V al 4 in linea, con una pausa dalle corse di cinque anni tra i due periodi. Andiamo allora a conoscere meglio questa “vecchietta”, insieme al nostro Guido Sassi.
Un esordio difficile
Quando Yamaha arriva alla MotoGP, il successo iridato manca già da dieci anni, dall'ultima vittoria di Wayne Rainey. Per l'avventura nella nuova classe, come indicato nella scorsa puntata, i tecnici giapponesi pensano che la vecchia YZR possa fornire una buona base. Il suo telaio Deltabox è il punto di partenza e gli ingegneri decidono di farci stare dentro un motore, piuttosto che disegnarne uno intorno al nuovo propulsore. Così Masazako Shiohara inizialmente progetta un motore addirittura di soli 924cc, con albero motore controrotante, leggero e compatto. L'iniezione elettronica – patrimonio tecnico disponibile dalla superbike- viene lasciata nel cassetto per più tradizionali carburatori. La M1 viene collaudata da John Kocinski, Max Biaggi e Carlos Checa, piloti che hanno uno stile moderno e con un solido background nella 250. La M1 viene così giudicata una moto agile e facile da guidare, ma l'apertura della stagione si dimostra un incubo: a Suzuka, sotto il bagnato, Checa arriva terzo a 8 secondi da Rossi. In Sudafrica lo spagnolo si piazza solo quinto con la prima M1, a quasi mezzo minuto dal primo posto.
Nel corso della stagione si prova a fare il possibile senza successo, e anche l'inizio di quella dopo non promette bene, nonostante l'introduzione dell'iniezione e un telaio rivisto. Così, a dirigere il reparto corse viene promosso Masao Furusawa, che prepara diverse novità in vista dell'arrivo di Valentino Rossi.
Le cose cambiano in fretta
Quando Rossi prova la M1 ha a disposizione ben 4 motori diversi: due a cinque valvole e due a quattro e per ciascuna soluzione un esemplare con albero motore convenzionale e un altro a croce, in modo da avere una configurazione di scoppi irregolare. Rossi sceglie il 4 valvole cross-plane, e da questo momento in poi la moto prende una direzione tecnica che non abbandonerà più.
Anche sul telaio si interviene con decisione: la moto cresce complessivamente di 5 cm, sul fronte dell'elettronica il gas perde il comando meccanico per un ride-by-wire. La moto riceve nel corso della stagione degli aggiornamenti di telaio e di carena, questi ultimi aggiustamenti per riuscire a convogliare più aria al motore, cercando però di non avere troppo drag. Rossi nel 2004 sbaraglia la concorrenza, e nell'inverno che precede la stagione 2005 gli ingegneri completano l'opera di revisione del motore: la testa viene ridisegnata, il propulsore inclinato, la trasmissione a catena viene sostituita da ingranaggi. Yamaha cerca più potenza e la corsa viene diminuita, il numero di giri sale da 14.500 a 16.000, imponendo persino a Honda di inseguire i rivali nella ricerca di più potenza in alto. Anche il cambio viene compattato e si fa spazio davanti al motore per alloggiare un radiatore più grande. Il 2005 di Rossi si rivela persino migliore dell'anno precedente e rappresenta sicuramente il punto più alto raggiunto dalla M1 in versione 990.
Più piccola ma simile
Nella versione 800cc la M1 non cambia moltissimo, almeno all'inizio. Il propulsore ha una corsa più corta, i giri motore arrivano quasi a 17.500. Ma le Ducati di Stoner e Capirossi hanno potenza da vendere e così, per inseguire i rivali nella ricerca della massima prestazione, Yamaha a metà stagione introduce per la prima volta le valvole pneumatiche, che riescono ad arrivare là dove le molle si arrendono. Stiamo parlando di 19.000 giri, valori impensabili solo un paio di stagioni prima. Nel 2010 arriva il limite di sei motori, che richiede di tornare parzialmente indietro, alla ricerca di più affidabilità e durabilità dei motori.
L'era moderna
Nel 2012 si arriva sostanzialmente al regolamento tecnico attuale: 1000cc con alesaggio massimo di 81mm, il che toglie spazio di manovra ai progettisti in campo motoristico. La competizione, almeno quella più evidente, si sposta in altre aree. Yamaha insegue Honda nella realizzazione di un seamless, ma nel 2014 il cambio della M1 è ancora convenzionale in scalata e nel passaggio prima-seconda e solo nel 2015 diventa full.
La nuova centralina unica, il limite di consumo carburante abbassato a 20 litri, il contingentamento dei motori, che oggi sono diventati cinque: anno dopo anno diventa sempre più complicato per i tecnici trovare nuove vie di sviluppo, e Yamaha sembra comunque sempre un poco in ritardo: sulle appendici alari, per esempio, ma anche sulle strategie elettroniche. La sfida più difficile degli ultimi anni per la cada dei tre diapason però, addirittura più della rincorsa nella ricerca di potenza, è determinata dalla capacità di far lavorare bene le gomme Michelin. Dal 2015 a oggi la M1 non ha vinto più un mondiale e nel biennio 2018-19 solo Vinales è salito sul gradino più alto del podio, in appena 3 occasioni.
È difficile dire se il progetto della M1 sia vecchio: nel 2020 sono arrivate ben sette vittorie e togliendo Marquez – non la Honda- dal conto, i risultati sarebbero stati forse diversi anche negli anni precedenti. Certo è che la M1 è una moto ancora velocissima sul giro secco, ma per affermarsi in gara ha bisogno di partire davanti a tutti. Dal recuperare qualche cavallo di potenza e da un miglior consumo degli pneumatici potrebbe dipendere gran parte del futuro di Iwata e della sua immortale M1.
Un esordio difficile
Quando Yamaha arriva alla MotoGP, il successo iridato manca già da dieci anni, dall'ultima vittoria di Wayne Rainey. Per l'avventura nella nuova classe, come indicato nella scorsa puntata, i tecnici giapponesi pensano che la vecchia YZR possa fornire una buona base. Il suo telaio Deltabox è il punto di partenza e gli ingegneri decidono di farci stare dentro un motore, piuttosto che disegnarne uno intorno al nuovo propulsore. Così Masazako Shiohara inizialmente progetta un motore addirittura di soli 924cc, con albero motore controrotante, leggero e compatto. L'iniezione elettronica – patrimonio tecnico disponibile dalla superbike- viene lasciata nel cassetto per più tradizionali carburatori. La M1 viene collaudata da John Kocinski, Max Biaggi e Carlos Checa, piloti che hanno uno stile moderno e con un solido background nella 250. La M1 viene così giudicata una moto agile e facile da guidare, ma l'apertura della stagione si dimostra un incubo: a Suzuka, sotto il bagnato, Checa arriva terzo a 8 secondi da Rossi. In Sudafrica lo spagnolo si piazza solo quinto con la prima M1, a quasi mezzo minuto dal primo posto.
Nel corso della stagione si prova a fare il possibile senza successo, e anche l'inizio di quella dopo non promette bene, nonostante l'introduzione dell'iniezione e un telaio rivisto. Così, a dirigere il reparto corse viene promosso Masao Furusawa, che prepara diverse novità in vista dell'arrivo di Valentino Rossi.
Le cose cambiano in fretta
Quando Rossi prova la M1 ha a disposizione ben 4 motori diversi: due a cinque valvole e due a quattro e per ciascuna soluzione un esemplare con albero motore convenzionale e un altro a croce, in modo da avere una configurazione di scoppi irregolare. Rossi sceglie il 4 valvole cross-plane, e da questo momento in poi la moto prende una direzione tecnica che non abbandonerà più.
Anche sul telaio si interviene con decisione: la moto cresce complessivamente di 5 cm, sul fronte dell'elettronica il gas perde il comando meccanico per un ride-by-wire. La moto riceve nel corso della stagione degli aggiornamenti di telaio e di carena, questi ultimi aggiustamenti per riuscire a convogliare più aria al motore, cercando però di non avere troppo drag. Rossi nel 2004 sbaraglia la concorrenza, e nell'inverno che precede la stagione 2005 gli ingegneri completano l'opera di revisione del motore: la testa viene ridisegnata, il propulsore inclinato, la trasmissione a catena viene sostituita da ingranaggi. Yamaha cerca più potenza e la corsa viene diminuita, il numero di giri sale da 14.500 a 16.000, imponendo persino a Honda di inseguire i rivali nella ricerca di più potenza in alto. Anche il cambio viene compattato e si fa spazio davanti al motore per alloggiare un radiatore più grande. Il 2005 di Rossi si rivela persino migliore dell'anno precedente e rappresenta sicuramente il punto più alto raggiunto dalla M1 in versione 990.
Più piccola ma simile
Nella versione 800cc la M1 non cambia moltissimo, almeno all'inizio. Il propulsore ha una corsa più corta, i giri motore arrivano quasi a 17.500. Ma le Ducati di Stoner e Capirossi hanno potenza da vendere e così, per inseguire i rivali nella ricerca della massima prestazione, Yamaha a metà stagione introduce per la prima volta le valvole pneumatiche, che riescono ad arrivare là dove le molle si arrendono. Stiamo parlando di 19.000 giri, valori impensabili solo un paio di stagioni prima. Nel 2010 arriva il limite di sei motori, che richiede di tornare parzialmente indietro, alla ricerca di più affidabilità e durabilità dei motori.
L'era moderna
Nel 2012 si arriva sostanzialmente al regolamento tecnico attuale: 1000cc con alesaggio massimo di 81mm, il che toglie spazio di manovra ai progettisti in campo motoristico. La competizione, almeno quella più evidente, si sposta in altre aree. Yamaha insegue Honda nella realizzazione di un seamless, ma nel 2014 il cambio della M1 è ancora convenzionale in scalata e nel passaggio prima-seconda e solo nel 2015 diventa full.
La nuova centralina unica, il limite di consumo carburante abbassato a 20 litri, il contingentamento dei motori, che oggi sono diventati cinque: anno dopo anno diventa sempre più complicato per i tecnici trovare nuove vie di sviluppo, e Yamaha sembra comunque sempre un poco in ritardo: sulle appendici alari, per esempio, ma anche sulle strategie elettroniche. La sfida più difficile degli ultimi anni per la cada dei tre diapason però, addirittura più della rincorsa nella ricerca di potenza, è determinata dalla capacità di far lavorare bene le gomme Michelin. Dal 2015 a oggi la M1 non ha vinto più un mondiale e nel biennio 2018-19 solo Vinales è salito sul gradino più alto del podio, in appena 3 occasioni.
È difficile dire se il progetto della M1 sia vecchio: nel 2020 sono arrivate ben sette vittorie e togliendo Marquez – non la Honda- dal conto, i risultati sarebbero stati forse diversi anche negli anni precedenti. Certo è che la M1 è una moto ancora velocissima sul giro secco, ma per affermarsi in gara ha bisogno di partire davanti a tutti. Dal recuperare qualche cavallo di potenza e da un miglior consumo degli pneumatici potrebbe dipendere gran parte del futuro di Iwata e della sua immortale M1.
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