Intervista esclusiva a Xavier Mir, il dottore della MotoGP
MotoGP news – Il dottor Xavier Mir da anni si prende cura dei piloti al Dexeus University Hospital di Barcellona. Abbiamo potuto fare una chiacchierata con lui e ci ha parlato dei piloti, del rapporto che ha con loro, con i medici della Clinica Mobile e della sua passione per le due ruote
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Un'istituzione
Da quando la scuola spagnola si è imposta in pista, c'è stata anche una rivoluzione medica: se prima il "guru" dei piloti era il dottor Costa, ora, con l'italiano andato in pensione, uno degli specialisti più apprezzati è il dottor Xavier Mir spagnolo di Barcellona. La nostra Serena Zunino l'ha intervistato in esclusiva per "scoprire" come è arrivato a essere il dottore dei piloti.
Nell’ambiente della MotoGP è conosciuto come il dottore dei piloti, com’è arrivato a questo?
Ho iniziato a specializzarmi nella chirurgia del braccio, quindi dalla clavicola alla mano, e quando il dottor José Maria Vilarubia (medico della Federazione Spagnola) che aveva curato i piloti negli ultimi 25 anni, ha avuto bisogno di uno specialista in quel settore mi ha chiamato. Non tutti sanno infatti che il 75% degli infortuni dei piloti sono agli arti superiori (clavicola, polso, scafoide, mano). Inoltre, dopo la morte di Marco Simoncelli, Dorna, FIM e IRTA ci hanno proposto di creare un team medico che fosse presente su tutti i circuiti e così è stato. Lavoro in questo team con il dottor Angel Charter, oltre che a operare in sede a Barcellona al Dexeus University Hospital.
Come mai è così elevato il numero di infortuni alle braccia?
Quando i piloti cadono provano a proteggere la testa e il petto di forma istintiva, da qualunque ostacolo, e per questo motivo la mano, il polso, il gomito e la clavicola sono le prime parti del corpo a essere colpite.
Cosa pensa dei piloti e delle loro straordinarie capacità di recupero?
Io dico sempre che i piloti sono i pazienti ideali. Sono giovani, sono sani, hanno una muscolatura importante e soprattutto hanno tanta voglia di curarsi e di conseguenza in questo sono veloci. La gente di solito paragona la loro guarigione così rapida a quella di una persona normale, ma è impossibile, lo spirito dello sportivo professionale fa la differenza. Inoltre adesso ci sono nuove tecniche di chirurgia meno aggressive e più precise, che velocizzano il processo. Per esempio pensiamo all’operazione alla clavicola che ha una forma curva, oggi abbiamo a disposizione 28 diversi tipi di placche che possono adattarsi ai diversi tipi di ossa. Questo permette alla ferita di guarire più velocemente.
La medicina poi fa passi da gigante e le novità non mancano.
Una tecnica moderna è per esempio quella dell’artroscopia, con cui, attraverso una piccola telecamera, si vede e si cura la ferita dall’interno ed è minimamente invasiva. L’abbiamo usata, ad esempio, per curare la spalla di Marquez, che ha avuto bisogno di due tipi di interventi diversi. Uno di chirurgia aperta, durante il quale abbiamo posizionato un frammento osseo per impedire che in futuro la spalla esca e un altro in artroscopia per riparare i legamenti.
Quali sono ad oggi le sue condizioni?
Ha davanti a sé un processo di riabilitazione di sei settimane, ma l’ho visitato ieri e sta lavorando molto bene. È già passato ad una riabilitazione più intensa di quello che mi aspettavo e lo sta facendo con l’attenzione necessaria. Sicuramente sarà presente ai test di Sepang, a febbraio, anche se non si può dire che sarà al 100%.
Il suo nome ormai viene legato a quello dei piloti della MotoGP.
Secondo le statistiche, finora ho curato 22 dei 25 piloti in griglia. Sono passati da me tutti gli spagnoli e anche alcuni italiani, come Iannone, Petrucci e Dovizioso. Quest’ultimo l’ho operato per la sindrome compartimentale al braccio e l’avevo anche visitato per una lussazione della spalla.
Quale aspetto dei piloti l’ha colpito principalmente?
Lo spirito che hanno nel curarsi. Il coraggio. Hanno un alto livello di sofferenza e spesso arrivano al limite. A volte vederli tornare in pista a distanza di poco tempo da un infortunio sembra una cosa quasi impossibile.
Cosa pensa del lavoro svolto dalla Clinica Mobile?
Lavorano molto bene, hanno molta esperienza e siamo in ottime relazioni con il Dottor Zasa e con tutti i ragazzi che lavorano. A volte ci confrontiamo sulle decisioni da prendere, si lavora bene e in amicizia.
Che rapporto ha con i piloti?
Molto buono. Sono orgoglioso del fatto che si fidino di me.
Secondo Lei come mai si fidano così tanto del suo operato?
Credo che sia perché provo a fare le cose al meglio. Sanno che io conosco bene questo mondo, li capisco e lavorando da tanti anni nell’ambito li conosco da quando sono bambini.
Ha qualche aneddoto da raccontarmi?
Ricordo che nel 1998 Alex Crivillé aveva rimediato un infortunio molto grave ad Assen e aveva perso tutta la pelle della mano. Era stata un’operazione molto delicata, avevamo preso pelle da altre zone e mi disse che voleva assistere all’operazione. Gli provai a dire che si trattava di un’operazione piuttosto forte, ma era convinto. Così gli feci un’anestesia locale e rimase sveglio a guardare. Era molto preoccupato per il recupero post operatorio e mi disse: “Forse non potrò mai essere campione del mondo”, invece vinse l’anno successivo il titolo in 500.
Recentemente invece, ricordo che il problema alla spalla di Marquez, culminato poi nell’operazione, era nato un paio di anni fa e doveva fare molta riabilitazione tutti i giorni perché la muscolatura restasse buona. Ogni volta che mi incrociava nel paddock mi rassicurava dicendo: “Dottore la sto facendo!!”
Qual è stata l’operazione più difficile che ha mai fatto ad un pilota e in generale ad uno sportivo?
La più complicata ad un pilota è stata quella fatta a Marc Marquez. Poi ci sono quelle in cui per esempio non si riescono a salvare le dita e allora si deve fare qualche amputazione. In generale, invece, il più difficile è stato l’intervento che ho fatto a Bruno Hortelano, un velocista spagnolo, che ha avuto un incidente in macchina nel quale ha rimediato un infortunio molto grave alla mano.
Lei è un appassionato di moto?
Sì, mi piacciono molto. Ne avevo anche una, poi ho avuto un incidente stradale qui a Barcellona e all’epoca era appena nato mio figlio. Mi ero rotto tre costole e mia moglie giustamente mi convinse a non usarla più, anche perché io con le mani ci lavoro.
In generale però mi piace stare nel paddock, sono un appassionato dei temi meccanici e tecnici e i miei circuiti preferiti sono quelli di Assen e Phillip Island.
Da quando la scuola spagnola si è imposta in pista, c'è stata anche una rivoluzione medica: se prima il "guru" dei piloti era il dottor Costa, ora, con l'italiano andato in pensione, uno degli specialisti più apprezzati è il dottor Xavier Mir spagnolo di Barcellona. La nostra Serena Zunino l'ha intervistato in esclusiva per "scoprire" come è arrivato a essere il dottore dei piloti.
Nell’ambiente della MotoGP è conosciuto come il dottore dei piloti, com’è arrivato a questo?
Ho iniziato a specializzarmi nella chirurgia del braccio, quindi dalla clavicola alla mano, e quando il dottor José Maria Vilarubia (medico della Federazione Spagnola) che aveva curato i piloti negli ultimi 25 anni, ha avuto bisogno di uno specialista in quel settore mi ha chiamato. Non tutti sanno infatti che il 75% degli infortuni dei piloti sono agli arti superiori (clavicola, polso, scafoide, mano). Inoltre, dopo la morte di Marco Simoncelli, Dorna, FIM e IRTA ci hanno proposto di creare un team medico che fosse presente su tutti i circuiti e così è stato. Lavoro in questo team con il dottor Angel Charter, oltre che a operare in sede a Barcellona al Dexeus University Hospital.
Come mai è così elevato il numero di infortuni alle braccia?
Quando i piloti cadono provano a proteggere la testa e il petto di forma istintiva, da qualunque ostacolo, e per questo motivo la mano, il polso, il gomito e la clavicola sono le prime parti del corpo a essere colpite.
Cosa pensa dei piloti e delle loro straordinarie capacità di recupero?
Io dico sempre che i piloti sono i pazienti ideali. Sono giovani, sono sani, hanno una muscolatura importante e soprattutto hanno tanta voglia di curarsi e di conseguenza in questo sono veloci. La gente di solito paragona la loro guarigione così rapida a quella di una persona normale, ma è impossibile, lo spirito dello sportivo professionale fa la differenza. Inoltre adesso ci sono nuove tecniche di chirurgia meno aggressive e più precise, che velocizzano il processo. Per esempio pensiamo all’operazione alla clavicola che ha una forma curva, oggi abbiamo a disposizione 28 diversi tipi di placche che possono adattarsi ai diversi tipi di ossa. Questo permette alla ferita di guarire più velocemente.
La medicina poi fa passi da gigante e le novità non mancano.
Una tecnica moderna è per esempio quella dell’artroscopia, con cui, attraverso una piccola telecamera, si vede e si cura la ferita dall’interno ed è minimamente invasiva. L’abbiamo usata, ad esempio, per curare la spalla di Marquez, che ha avuto bisogno di due tipi di interventi diversi. Uno di chirurgia aperta, durante il quale abbiamo posizionato un frammento osseo per impedire che in futuro la spalla esca e un altro in artroscopia per riparare i legamenti.
Quali sono ad oggi le sue condizioni?
Ha davanti a sé un processo di riabilitazione di sei settimane, ma l’ho visitato ieri e sta lavorando molto bene. È già passato ad una riabilitazione più intensa di quello che mi aspettavo e lo sta facendo con l’attenzione necessaria. Sicuramente sarà presente ai test di Sepang, a febbraio, anche se non si può dire che sarà al 100%.
Il suo nome ormai viene legato a quello dei piloti della MotoGP.
Secondo le statistiche, finora ho curato 22 dei 25 piloti in griglia. Sono passati da me tutti gli spagnoli e anche alcuni italiani, come Iannone, Petrucci e Dovizioso. Quest’ultimo l’ho operato per la sindrome compartimentale al braccio e l’avevo anche visitato per una lussazione della spalla.
Quale aspetto dei piloti l’ha colpito principalmente?
Lo spirito che hanno nel curarsi. Il coraggio. Hanno un alto livello di sofferenza e spesso arrivano al limite. A volte vederli tornare in pista a distanza di poco tempo da un infortunio sembra una cosa quasi impossibile.
Cosa pensa del lavoro svolto dalla Clinica Mobile?
Lavorano molto bene, hanno molta esperienza e siamo in ottime relazioni con il Dottor Zasa e con tutti i ragazzi che lavorano. A volte ci confrontiamo sulle decisioni da prendere, si lavora bene e in amicizia.
Che rapporto ha con i piloti?
Molto buono. Sono orgoglioso del fatto che si fidino di me.
Secondo Lei come mai si fidano così tanto del suo operato?
Credo che sia perché provo a fare le cose al meglio. Sanno che io conosco bene questo mondo, li capisco e lavorando da tanti anni nell’ambito li conosco da quando sono bambini.
Ha qualche aneddoto da raccontarmi?
Ricordo che nel 1998 Alex Crivillé aveva rimediato un infortunio molto grave ad Assen e aveva perso tutta la pelle della mano. Era stata un’operazione molto delicata, avevamo preso pelle da altre zone e mi disse che voleva assistere all’operazione. Gli provai a dire che si trattava di un’operazione piuttosto forte, ma era convinto. Così gli feci un’anestesia locale e rimase sveglio a guardare. Era molto preoccupato per il recupero post operatorio e mi disse: “Forse non potrò mai essere campione del mondo”, invece vinse l’anno successivo il titolo in 500.
Recentemente invece, ricordo che il problema alla spalla di Marquez, culminato poi nell’operazione, era nato un paio di anni fa e doveva fare molta riabilitazione tutti i giorni perché la muscolatura restasse buona. Ogni volta che mi incrociava nel paddock mi rassicurava dicendo: “Dottore la sto facendo!!”
Qual è stata l’operazione più difficile che ha mai fatto ad un pilota e in generale ad uno sportivo?
La più complicata ad un pilota è stata quella fatta a Marc Marquez. Poi ci sono quelle in cui per esempio non si riescono a salvare le dita e allora si deve fare qualche amputazione. In generale, invece, il più difficile è stato l’intervento che ho fatto a Bruno Hortelano, un velocista spagnolo, che ha avuto un incidente in macchina nel quale ha rimediato un infortunio molto grave alla mano.
Lei è un appassionato di moto?
Sì, mi piacciono molto. Ne avevo anche una, poi ho avuto un incidente stradale qui a Barcellona e all’epoca era appena nato mio figlio. Mi ero rotto tre costole e mia moglie giustamente mi convinse a non usarla più, anche perché io con le mani ci lavoro.
In generale però mi piace stare nel paddock, sono un appassionato dei temi meccanici e tecnici e i miei circuiti preferiti sono quelli di Assen e Phillip Island.
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