Vespa PX, storia di un mito italiano
È la più longeva tra i modelli Vespa e l’ultima prodotta rispettando le caratteristiche ideate dal progettista Corradino d’Ascanio
A qualcuno sfugge ancora una lacrimuccia nel sentir parlare della Vespa PX, il più longevo tra i modelli dello scooter più famoso del mondo, e l’ultimo prodotto con le caratteristiche originali dell’idea di Corradino d’Ascanio: scocca in lamiera di acciaio, ruote piccole e sospensione anteriore a biellette ci sono anche sulle Vespa moderne ma quella aveva ancora il motore a due tempi, il cambio manuale con il comando a manopola e pure la ruota di scorta.
40 anni sul mercato
Quasi quarant’anni di onorato servizio, perché venne presentata al Salone di Milano il 10 ottobre 1977 e la produzione andò avanti fino al 2017, con due interruzioni negli anni dal 1988 al 1994 e dal 2007 al 2010. Ha portato a spasso almeno tre generazioni lasciando un segno nella memoria e nel cuore di nonni, padri e figli, più volte aggiornata ma sostanzialmente sempre uguale a se stessa.
Ma lo sapete che fu realizzata anche una Vespa da guerra? Qui la sua storia.
Cambiò le carte in tavola
Il suo arrivo fu un cambiamento forte perché a quei tempi imperavano le versioni 50 Special e Primavera 125 con il telaio “piccolo” mentre la PX riportava alle dimensioni generose delle serie precedenti e segnava un cambiamento forte anche nello styling: il parafango anteriore squadrato, la mascherina sporgente davanti allo scudo (in futuro sarebbe stata chiamata “cravatta”) e due voluminosi coperchi laterali asportabili; il motore era nascosto da quello di destra, sotto quello di sinistra ritornava la ruota di scorta.
Restava la soluzione della scocca in lamiera di acciaio da 1,5 mm che fungeva sia da telaio che da carrozzeria ma le sospensioni erano un’accelerazione rispetto al passato: all’anteriore l’irrinunciabile sistema a biellette oscillanti ma con uno schema diverso e soprattutto un migliore assorbimento dei colpi, al posteriore il motore basculante con un ammortizzatore ma l’escursione saliva dai 70 mm del passato a 91 mm. Il Vespone beccheggiava un po’ ma era molto più comodo, l'ampia carrozzeria insieme alla distribuzione "tutto dietro" della masse tipicamente Vespa, portava ad un alleggerimento dell'avantreno e per questo fu necessario anche un passaggio alla galleria del vento di Pninifarina per ridurre il problema. Classico l'impianto freni: a tamburo sia davanti che dietro, il posteriore comandato da un pedale che usciva dalla scocca.
Motore a due tempi
Il motore era monocilindrico a due tempi raffreddato ad aria forzata da una ventola, la distribuzione era controllata da una apertura sulla spalla dell’albero motore e la lubrificazione era a miscela, nella percentuale del 2%. Più avanti sarebbe arrivato il miscelatore automatico, così come l’avviamento elettrico; per il momento c’era solo il lungo pedale del kick starter sul lato destro.
Il motore era un monocilindrico 2 tempi come da tradizione Vespa
Venne lanciata in due versioni: la P125X con accensione a volano magnete e puntine, e la P 200 E dotata di accensione elettronica Ducati (Ducati Elettronica, ormai non più collegata a Ducati Meccanica); quest’ultima sarebbe stata estesa alle altre cilindrate solo nel 1981. Qualche mese più tardi, nel 1978, venne presentata anche la P 150 X.
La P 125 X prima versione aveva un prezzo di 808.630 lire, che oggi sarebbero 417,6 euro ma con un potere di acquisto molto diverso.
Qui invece la storia del Piaggio Ciao.
A Milano un gigante
La sua apparizione fece colpo anche perché al Salone di Milano venne esposta nello stand una versione gigante alta più di 3 metri e pesante più di 700 kg sulla quale sorridevano alcune ragazze in tuta da meccanico; oggi la potete vedere al Museo Piaggio di Pontedera. Ottenne subito un mucchio di consensi e un notevole successo commerciale che nell’arco di tutta la carriera l’ha portata a superare i 3.000.000 di esemplari venduti in tutto il mondo, sebbene il numero preciso non sia mai stato ufficializzato. La PX faceva furore e scatenava la fantasia: Piaggio France ne iscrisse quattro alla Parigi-Dakar – che per la verità non era così dura come sarebbe poi diventata – e quelle di Bernard Tcherniavsky e Marc Simonot riuscirono ad arrivare in fondo.
Debutto "alla grande" per la Vespa PX al salone di Milano del 1977
Arriva l’Arcobaleno
Nel 1981 venne lanciata anche la PX 80 E spinta da un motore di 79,77 cm³, realizzata esclusivamente per l’esportazione, ma è una versione che non ha lasciato il segno; ben di più la serie Arcobaleno nata nel gennaio 1982: la PX rimase uguale a se stessa ma dietro il marchio del piccolo arcobaleno si celavano diversi interventi meccanici ed estetici: sellone di diverso disegno e più imbottito, pedana centrale più ampia e con la copertura non più in gomma ma in plastica grigio/nera, strumentazione di diverso disegno e con l’indicatore del livello carburante quando prima ci si doveva affidare al rubinetto della riserva; e ancora bordature dello scudo in plastica invece che in alluminio, il paraschizzi posteriore di nuovo disegno, il cassetto del controscudo più grande, nuovo faro posteriore e nuova griglia copriclacson, il freno anteriore era a camma flottante autocentrante ed era stata modificata la sospensione anteriore. Nel 1983 la disponibilità della batteria servizi (come optional) e nel 1984, udite udite, addirittura l’avviamento elettrico per la nuova versione Elestart.
La PX Arcobaleno fu una bella evoluzione
Vespa da Pole Position
Fu necessario aspettare un solo anno ancora per vedere quella che probabilmente è stata la più spettacolare delle PX, e anche la più cattiva: la 125 T5 Pole Position aveva il cilindro a cinque travasi in alluminio cromato anziché in ghisa, addirittura erano diverse le misure di alesaggio e corsa (55 x 52 mm invece di 52 × 57 mm), l’alettatura era maggiorata, c’erano il carburatore da 24 mm Ø, la marmitta ad espansione, i freni potenziati e arrivava a 12 CV contro i 7,75 della versione standard, velocità massima 105 km/h invece di 97. Cattiva anche da vedere: faro rettangolare, cupolino, posteriore a “coda tronca”, spoiler anteriore e strumentazione dotata di contagiri digitale. Il nome era dovuto a un trofeo assegnato dalla Piaggio all’autore della pole position nei Gran Premi di Formula 1, che consisteva proprio in una Vespa. Nelson Piquet ne conquistò nove e firmò una linea di accessori per lo scooter di Pontedera.
Il campione di F1 Nelson Piquet a sinistra in sella a una PX a destra su una delle nove T5 Pole Position che vinse conquistando la partenza al palo dei GP.
Pensionamento anticipato e ritorno
Tre anni dopo, nel 1988, la PX venne tolta dai listini italiani per lasciare spazio alla Piaggio Cosa ma fu un buco nell’acqua: al pubblico la nuova arrivata non piacque e nel 1994 la PX, che aveva continuato ad essere commercializzata all’estero, ritornò anche sul mercato nazionale, ora con avviamento elettrico e miscelatore di serie ma con la stessa linea di sempre. Venne mantenuta anche per la serie Classic dell’anno successivo, che però si distingueva per la vistosa colorazione gialla con la sella color senape.
La Cosa doveva sostituire la Vespa, ma fu bocciata dal mercato che chiese a gran voce il ritorno della PX
Arriva il freno a disco
Diciamo la verità, fra i tanti pregi del “Vespone” non veniva annoverata l’efficacia del freno anteriore e così nel 1998 il vecchio tamburo di 125 mm Ø venne abbandonato per passare a un più efficace disco di 200 mm Ø, mentre il tamburo posteriore passò da 125 a 150 mm Ø; era il modello M09, che venne seguito l’anno successivo dal modello M18 con catalizzatore a due vie per adeguarsi alle normative antinquinamento. La versione di 200 cm³ però non riusciva a restare entro i limiti e uscì di produzione.
Nel 1998 il tamburo anteriore fu sostituito da un freno a disco, qui sopra la versione PX Touring del 2015
Ecco il nuovo millennio
Sempre aggiornata ma sempre uguale a se stessa, la PX varcò le soglie del nuovo millennio con un modello prodotto in serie limitata di 2000 pezzi chiamato PX Time 2000, caratterizzato dalla particolare livrea colore azzurro argento con stella azzurro, bauletto in cuoio con logo Piaggio e gli specchietti cromati. Nel 2001 un nuovo piccolo restyling che toccò fanali, strumentazione, frecce e sella, e vide sullo scudo il ritorno del marchio Piaggio a “scudetto” che non veniva più impiegato dal 1967.
Dopo tanti anni e con la concorrenza dei più moderni scooter con trasmissione automatica i numeri delle vendite si erano sensibilmente ridotti, così nel 2007 arrivò la Vespa P 125 X Ultima Serie. Il messaggio era chiaro ma tra il dire e il fare c’è di mezzo… il produttore indiano LML…
Il colpo a sorpresa di LML
La casa indiana sbarcò sul nostro mercato con una PX chiamata Star (qui la nostra prova) e motore due tempi, successivamente rimpiazzato da un 4 tempi e addirittura un’unità con cambio automatico. I dati di vendita furono convincenti e costrinsero Piaggio la Casa di Pontedera tornò sui suoi passi reintroducendo nel 2011 la gloriosa PX (qui la nostra prova). Nel frattempo iniziò anche una lunga disputa legale tra i due produttori.
Anche al Rally dei Faraoni
Da ricordare l'impresa di Marcello DiBrogni e Andrea Revel Nutini, due coraggiosi che nel 2011 in sella ad altrettante PX150 dell’edizione dedicata al 150º Anniversario dell’unità d’Italia preparate da loro stessi parteciparono al Rally dei Faraoni nonostante la difficoltà di guidare un tranquillo scooter in mezzo alle dune di sabbia; arrivarono in fondo e, non contenti, replicarono due anni dopo alla TransAnatolia. L’ultima medaglia al petto di uno scooter che pur non essendo nato per le avventure, di avventure ne ha vissute tante.
La PX al Rally dei Faraoni 2011
Nel 2017 lo stop definitivo: i costi per adeguarsi alla normativa Euro 4 non sarebbero stati giustificati dai numeri di vendita sempre più ridotti. In quello stesso anno chiuse anche la LML per bancarotta. Va detto che circolò anche la voce secondo cui Piaggio stava pensando a una rinascita della PX dotata di un motore 4 tempi, ma non se ne fece nulla. Era la fine di una carriera irripetibile.