Rivoluzioni fallite: le moto che volevano rompere gli schemi e non ci sono riuscite
Nate con lo scopo di allargare il mercato di un marchio o per innovare con linee audaci, hanno semplicemente fallito l'obiettivo. Andiamo a conoscere alcuni casi clamorosi

Le moto di successo le ricordiamo tutti: regine del mercato o sogni proibiti, riempiono le strade e popolano i sogni dei motociclisti. Nessuno o quasi si ricorda invece dei flop che hanno fatto dannare le case e che sono a loro volta – loro malgrado- diventati dei simboli nel mondo delle due ruote. Ecco le sei moto/scooter che non hanno certo fatto breccia nel cuore degli appassionati di ieri e di oggi.
Piaggio Cosa
La Cosa viene prodotta dalla Piaggio tra il 1988 e il 1995. Nata come erede della Vespa PX, sulla base di un progetto che costa ben 35 miliardi di lire, sconta aspettative alte. Si rivela un insuccesso commerciale clamoroso per la casa di Pontedera, che deve correre ai ripari mettendo in produzione nel 1993 la vecchia Vespa PX in una veste aggiornata.
Il progetto tecnico della Cosa in realtà è valido, diverse le principali novità rispetto al passato: componenti della carrozzeria realizzate in plastica (parafango anteriore, spoiler e copri manubrio), il vano sotto sella che è in grado di ospitare un casco. Nuova la trasmissione, molto più precisa negli innesti e l’impianto frenante a pedale, sempre composto da tamburi, ma con frenata idraulica integrale. Rinnovate anche le sospensioni, più confortevoli e con un braccio posteriore più robusto. La linea non si discosta troppo da quella del PX e a conti fatti, forse sarebbe bastato non cambiare il nome per avere una migliore risposta dal pubblico.
Aprilia Motò
Il nome completo è Aprilia Motò 6.5, in cui 6.5 ricorda la cilindrata del motore. Viene prodotta tra il 1995 e il 1996, sulla base dell'originale tratto del archistar Philippe Starck, che le attribuisce linee rotondeggianti e il caratteristico scarico avvolgente, sotto il motore. Dei pochi esemplari prodotti (circa 6mila) più della metà sono venduti all'estero, soprattutto nel nord Europa. Meccanicamente è dotata del collaudato propulsore monocilindrico a 4 tempi prodotto dall'austriaca Rotax, che già equipaggia la Pegaso, ma con un carburatore più piccolo per avere una potenza inferiore e una migliore fluidità di erogazione. Pensata per il mercato dei neo-patentati e per avvicinare i non-motociclisti alle due ruote, non farà mai breccia nel segmento delle naked e anche con gli anni non sembra avere guadagnati fascino. Risulta però un esperimenti di marketing ben riustito, grazie a lei (e al nome del suo designer) farà perlare di Aprilia per mesi su tutti i giornali.
KTM RC8
La tanto attesa versione superbike del grande bicilindrico a V di KTM utilizzato sulla Adventure 990 viene preceduta da una altrettanto grande attesa, ma sconta diversi ritardi di produzione, ed è finalmente lanciata sul mercato solo nel 2008. La RC8 si rivela però un vero e proprio fallimento e viene tolta dai listini nel 2015. Il progetto patisce innanzitutto una tempistica sbagliata: viene costruita con l'intenzione di competere nel mondiale superbike, ma il cambiamento dei regolamenti in fase di completamento della moto la rende poco competitiva ancora prima del mancato debutto (correrà solo nel mondiale Super Stock e nella sbk tedesca). Tecnicamente è equipaggiata con un bicilindrico prima da 1148 cm3 e poi da 1195 cm3 di cubatura, distribuzione a bialbero con 4 valvole per cilindro e disposizione a 75° dei due cilindri e potenza di 154 cavalli. Il telaio è un traliccio in tubi d'acciaio, su strada e in pista la moto è appagante, leggera e divertente. Perché non ha funzionato? Forse il marchio non è sufficiente “stradale” o forse i risultati non hanno aiutato.

Harley-Davidson XR1200
Anche in questo caso parliamo di un progetto audace, che vuole rompere gli schemi a cui il marchio è associato dalla clientela. La XR1200 per costruire una moto dalle prestazioni idonee a soddisfare i gusti dei motociclisti europei, prendendo ispirazione dalla leggendaria XR750 da pista. La XR1200, nel 2008, si rivela un fiasco. Il grosso bicilindrico ha potenza a sufficienza (91 cavalli), ma il peso è di ben 260 chili. Nel 2010 segue una generazione aggiornata, con sospensioni regolabili migliorate, ma il mercato non risponde e in un paio di anni finisce fuori produzione.
BMW C1
Lo scooter con il tetto e la cintura di sicurezza che si guida senza casco. Caratteristiche sensazionali per il BMW C1, nato come prototipo nei primi anni '90 e diventato poi realtà nel 1997. Questo commuter urbano fu una vera e propria rivoluzione, non solo per l'idea tecnica che c'era dietro, ma anche perché per omologarlo fu rivisto il codice della strada. La base è quella di un classico scooter, disponibile sia in versione 125 che 200 (quest'ultima con cilindrata di 176 cm3): la seduta del guidatore, però, non è una classica sella bensì un vero e proprio sedile automobilistico con schienale e cinture di sicurezza, il tutto riparato da un tetto rigido in alluminio per essere protetti da interperie e cadute. Infatti, come vi abbiamo anticipato, questa particolarità gli permetteva di essere guidato senza casco. La struttura supplementare, però, alzava notevolmente il peso che arrivava a circa 180 kg. La grande praticità andava quindi un po' in conflitto con le prestazioni e anche l'estetica, decisamente poco slanciata e per nulla accattivante. Inoltre, rimuovendo il bauletto si ricavava una seduta per il passeggero che, però, era seduto esternamente alla cellula in alluminio e quindi doveva mettere il casco. I proprietari di questo mezzo ne sono stati follemente innamorati, ma in generale il C1 ebbe poco successo, motivo per cui nel 2003 ne venne interrotta la produzione.

Aprilia Mana 850
Dopo particolari esperimenti del XX secolo, nel 2008 la casa di Noale ripropone il cambio automatico sulle moto. Venne montato sulla Mana 850, una naked elegante perfetta per muoversi tutti i giorni in città e per godersi il fine settimana tra le curve. A differenza delle più recenti tecnologie di trasmissione automatica, il bicilindrico da 76 CV di Aprilia era supportato da un cambio CVT. Niente leva della frizione perché c'era un vero e proprio variatore come sugli scooter, ma sì alla leva del cambio. Infatti, il pilota poteva scegliere tra due modalità, automatico e manuale: nella prima il principio di funzionamento è quello dello scooter: acceleri e vai; nella seconda, invece, l'elettronica bloccava il variatore in una determinata rapportatura per simulare un cambio tradizionale e dare così la possibilità al pilota di cambiare marcia (c'erano sette rapporti a disposizione). Il cambio automatico sulle moto inizia ad essere capito oggi, ma immaginatevi la reazione del pubblico quasi 20 anni fa: una moto con il variatore... e infatti, la Mana 850 automatica non venne così apprezzata (qui trovate la nostra prova).
- Accedi o registrati per commentare
- Accedi o registrati per commentare
- Accedi o registrati per commentare