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Piaggio Ciao, il ciclomotore che si faceva beffe delle “sardomobili”

Venne presentato l’11 ottobre 1967 alla Fiera del Mare di Genova e nelle varie versioni è stato prodotto fino al 2006. Ecco la storia del ciclomotore più famoso d’Italia

 

Diciamo “ciao” mille volte al giorno ed è un colpo di genio: il Piaggio Ciao nacque già famoso perché il suo nome era nell’orecchio di tutti. Venne presentato l’11 ottobre 1967 alla Fiera del Mare di Genova e nelle varie versioni è stato prodotto fino al 2006. Ne sono stati venduti oltre 3,5 milioni di esemplari, ha messo in movimento diverse generazioni e oggi c’è un grande ritorno fra i collezionisti, perché il Ciao ha segnato un’epoca. Se ne possono trovare a partire da 500 € ma i prezzi superano facilmente i 1000 € a seconda delle condizioni.

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Ecco la prima serie del Ciao, presentata nel 1967

Semplice ed economico

Venne progettato da un’équipe guidata dall’ingegner Bruno Gaddi e fu una mezza rivoluzione sia tecnica che culturale. Incredibilmente semplice, proponeva un’idea di ciclomotore che non era più soltanto il mezzo di trasporto ma anche un simbolo, un segno di appartenenza, un veicolo giovane che profumava di libertà e permetteva di bypassare il traffico. "Le sardomobili hanno cieli di latta. Liberi chi Ciao" recitava uno slogan della campagna pubblicitaria, sbeffeggiando le quattro ruote che imprigionavano gli automobilisti nel traffico come sardine in scatola. Era pensato soprattutto per il pubblico femminile con la sua silhouette che ricalcava una bicicletta da donna e permetteva di guidarlo indossando una gonna, ma divenne subito un cult e si diffuse anche tra i conducenti maschi. Tanto più che, leggero com’era, era facilissimo da impennare e permetteva un po’ di show…

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Doveva essere un motorino per le ragazze, ma conquistò subito anche i "maschietti"

Costava poco

Fu una rivoluzione anche tecnica e commerciale: la sua semplicità permise di contenere il prezzo a livelli bassissimi. Quando uscì, la versione base con forcella rigida costava solo 54.000 lire, che salivano a 59.000 lire per quella con forcella elastica e a 61.000 lire per il modello con il variatore, mentre la Vespa 50 Special nel 1969, cioè due anni dopo, costava 132.000 lire: più del doppio del Ciao top di gamma.

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I pedali servivano per avviare il motore, ma anche come poggiapiedi

Era stato progettato pensando a contenere costi e peso: il telaio era costituito da pochi elementi in lamiera d’acciaio stampata e conteneva al suo interno il serbatoio del carburante della capacità di 2,8 litri. La primissima versione nella configurazione più semplice aveva la forcella rigida e in quelle più confortevoli la sospensione anteriore era a biscottini con molle, mentre al posteriore la sospensione non c’è mai stata: telaio rigido, il comfort era affidato alle molle sotto l’imbottitura della sella, e a partire dal 1971 il Ciao Lusso venne sostituito dal modello SC (Super Comfort) nel quale la sella era montata su un braccio molleggiato, soluzione poi allargata a tutta la produzione.

Motore da 1,4 CV

Per la prima volta su un ciclomotore il motore scompariva quasi completamente all’interno del telaio. Era semplicissimo anche questo, un monocilindrico orizzontale di 49, 77 cm³ (alesaggio x corsa 38,4 x 43 mm) a due tempi che erogava una potenza di 1,4 C V a 4500 giri/minuto. Veniva alimentato da miscela benzina/olio al 2%, una percentuale bassissima in un’epoca in cui normalmente si viaggiava tra il 4 e il 5%. Il carburatore, che inizialmente era un Dellorto SHA 12/12, era posizionato sopra il carter e la distribuzione era controllata da una apertura sulla spalla dell’albero motore, anche in questo caso una soluzione tecnica all’insegna di semplicità ed economicità. Il raffreddamento del cilindro era ad aria forzata per mezzo di una ventola ricavata con alette di fusione sul volano magnete, la testa invece era esposta all’aria della corsa. 

Come funzionava

Come moltissimi ciclomotori contemporanei il Ciao aveva pedali simili a quelli di una bicicletta che servivano per avviarlo. Un giro di catena li collegava alla ruota posteriore e questa a sua volta trasmetteva il movimento al motore attraverso la cinghia di trasmissione

A quei tempi per i ciclomotori non si usava l’avviamento elettrico e nemmeno le pedane, i piedi restavano sui pedali. Un decompressore comandato da una corta leva sulla sinistra del manubrio rendeva più facile prendere un po’ di velocità per far partire il motore, e serviva anche per spegnerlo. Le frizioni automatiche erano due, una serviva per l’avviamento e l’altra per il movimento normale. A meno di non aver acquistato la versione con variatore che aveva un po' più di brio, i pedali servivano anche per aiutare il motorino nelle salite, ma pure per tornare a casa nel caso si fosse rimasti a secco. 

In ogni caso i consumi erano irrisori: la Casa dichiarava 70 km/litro, nell’uso pratico erano una cinquantina che comunque garantivano 140 km di autonomia. Quando il carburante cominciava a mancare bisognava ruotare la farfalla del rubinetto sulla posizione di riserva, se non si riusciva ad arrivare a un distributore non restava che sbloccare il mozzo posteriore premendo un perno per consentire la pedalata come in una bicicletta. Per fortuna il peso era sotto i 40 kg.

Addirittura con freni da bicicletta

La prima serie, prodotta dal 1967 al 1970, aveva il faro tondo e il manubrio ad U ed offriva la possibilità di scegliere tra ruote da 2-19” e 2-17”, ma successivamente sono rimaste solo quelle da 19”. Nella versione più economica (Modello 1) il freno anteriore era a pattino come nelle biciclette ma sparì presto, sostituito da un più efficiente freno a tamburo 90 mm Ø. A tamburo è sempre stato anche quello posteriore, di 136 mm Ø.

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Il telaio in lamiera stampata era un prodigio di semplicità

Poche le modifiche significative a un veicolo rimasto in produzione per quasi quarant’anni. Le principali l’adozione del carburatore Dellorto SHA 12/12 nel 1967, e nel 1996 il passaggio dall’accensione a volano magnete e puntine platinate, a quella elettronica; dello stesso anno anche l’introduzione della versione Mix con miscelatore automatico, che permetteva di scegliere quale olio lubrificante usare. Allora infatti i distributori facevano rifornimento con miscela già pronta. Nel 1991 l’adeguamento del motore alle caratteristiche imposte dalla Euro 1 e nel 2003 l’aggiornamento alla Euro 2.

Tanti accessori ed elaborazioni

Tra i punti qualificanti – per quell’epoca – il gancio portaborsa, il portapacchi posteriore di serie e il bloccasterzo.

Ovviamente un veicolo che furoreggiava tra i giovani è stato oggetto di tante produzioni aftermarket. Tra gli accessori più diffusi lo specchietto retrovisore e la sella lunga che permetteva di caricare un passeggero, anche se il Codice Stradale di allora lo vietava. Ma le trasformazioni più spinte hanno riguardato il motore: hanno prodotto kit di vario tipo i preparatori più noti come Malossi, Polini, Giannelli, Pinasco, Simonini addirittura costruì un 100 cm³ con otto luci di travaso e carburatore da 26 mm Ø che aveva 12 CV a 10.000 giri e raggiungeva 140 km/h; dal canto suo Aligi Deganello, poi divenuto capotecnico di Marco Simoncelli in MotoGP, produceva kit e marmitte, e per promuoverli espose al Motor Show di Bologna un esemplare di Ciao con due motori sovrapposti e sulla forcella a biscottini erano stati aggiunti due ammortizzatori per tenere in strada il mostro….

Qui invece il kit di Polini dedicato al Ciao e in vendita ancora oggi.

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Ecco il mostro a doppio motore ideato da Aligi Deganello

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