Ducati 851 e V2 Desmoquattro: rivoluzione sull'orlo di una crisi di nervi
La Ducati 851 è passata alla storia per il suo motore bicilindrico a quattro valvole che, all'inizio, è stato oggetto di grandi discussioni all'interno dell'ufficio progetti di Borgo Panigale. Ecco come è nato il rivoluzionario Desmoquattro
Panigale V4 per le sportive stradali, Multistrada V4 per le turistiche e, prima tra tutte, la MotoGP Desmosedici nel racing. Oggi l'armata delle rosse di Borgo Panigale è rappresentata dal 4 cilindri a V di 90° ma, soprattutto gli appassionati del marchio, sanno benissimo quanto il V2 Desmoquattro (a 4 valvole per cilindro) abbia contribuito a scrivere la storia e i successi di Ducati. Tutto è iniziato con la mitica 851, dominatrice nei primi anni di Mondiale Superbike, ma quante difficoltà... ancor prima di esser disegnata su un foglio bianco.
Il primo desmoquattro aveva cilindrata 748, solo successivamente si passò alla 851
Questo Desmoquattro non s'ha da fare
La Ducati 851 viene presentata al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano del 1987, ma la sua travagliata storia è iniziata a più di un anno di distanza. All'epoca i bicilindrici Ducati erano rigorosamente a due valvole per cilindro, soluzione fortemente sostenuta dall'ingegner Taglioni, che però a fine anni '80 era vicino al pensionamento. I fratelli Castiglioni assegnarono quindi il progetto di un nuovo motore all’ingegner Massimo Bordi, supportato da Gianluigi Mengoli per la realizzazione dei disegni tecnici.
L'innovativo blocco V2 avrebbe avuto la distribuzione desmodromica, il raffreddamento a liquido e quattro valvole per cilindro, tre cose che a detta dell'ing. Taglioni insieme non potevano funzionare. Sosteneva che c'era troppo poco spazio nella testata per avere un sistema desmo efficace unito al raffreddamento a liquido. In pubblico continuava le sue critiche in maniera più velata, sostenendo comunque che ci fossero vari tipi di motore allo studio e che bisognava migliorare quello che già si aveva (il motore Pantah sviluppato da lui sul finire degli anni 70...) e se proprio fosse stato necessario avere un motore nuovo per lui ci voleva un quattro cilindri a V di grossa cilindrata... In questo non smentì le sue doti profetiche: 30 anni dopo Ducati si è effettivamente convertita al V4, prima però la storia è andata diversamente.
I contrasti continuarono e si narra che quando Taglioni scoprì che il primo motore Desmoquattro avrebbe debuttato in pista nell'estate del 1986 sulla 748 IE (prototipo basato sulla ciclistica della conosciuta 750 F1), preparò la lettera di licenziamento per i suoi due collaboratori. Per fortuna, nonostante la rottura di uno spinotto di biella mentre era in settima posizione, la 748 IE guidata da Lucchinelli al Bol d'Or dimostrò un grande potenziale.
Ecco il Desmoquattro nella sua bellezza meccanica
Storia di tecnica
Il nuovo blocco bicilindrico aveva una cilindrata di 748,1 cm3 (alesaggio x corsa 88 x 61,5 mm) e sfruttava il basamento del propulsore Pantah raffreddato ad aria. La testa disegnata da Bordi e Mengoli aveva una sola candela al centro, incorniciata da 4 valvole: due di aspirazione da 32 mm e due di scarico da 28 mm. Grazie all'inclinazione delle valvole di 40° c'era lo spazio sufficiente per adottare la distribuzione desmodromica, azionata da una cinghia dentata di tipo automobilistico. Molto interessante anche l'iniezione elettronica Weber Marelli a doppio iniettore che, già a quei tempi, sfruttava sei sensori per gestire i parametri di accensione e alimentazione del motore.
L'ottima esperienza al Paul Ricard spinse i due tecnici a evolvere il progetto tra il 1986 e il 1987: aumentò corsa (64 mm), alesaggio (92 mm) e di conseguenza cilindrata che arrivò a 851 cm3. Le nuove misure obbligarono anche a riprogettare i carter, che finalmente potevano supportare il cambio a sei rapporti. Pensate che, dai 93 CV del primo prototipo 748 IE, si passò subito a ben 115 CV del Desmoquattro 2.0, destinati poi a salire a ben 120 CV nel corso del 1987.
La prima stagione di gare con alti e molti bassi
In Florida, in occasione della Battle of the Twins del '87, la debuttante 851 si dimostrò subito velocissima e, nonostante qualche singhiozzo del motore a inizio gara, Lucchinelli trionfò davanti a Stefano Caracchi che correva con una vecchia 750 F1. La nuova moto venne messa sotto i riflettori e si iniziava già a sentir parlare di una versione di serie, d'altronde l'obiettivo era partecipare alla prima edizione del Mondiale Superbike (servivano almeno 500 moto di serie per poter partecipare). Nel corso del 1987, il prototipo della 851 e il pilota italiano corsero il Superbike Trophy ma, nonostante le ottime performance della moto, i risultati vennero compromessi da continui problemi di affidabilità. Il titolo finì quindi nella mani di Fabrizio Pirovano in sella alla Bimota, ma Ducati ne fece tesoro per prepararsi ad un nuovo formidabile capitolo della sua storia.
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Prima la 851, poi tutte le altre leggende
Dall'esperienza sui campi di gara, a fine anno nacque la versione stradale della 851. In Italia venne commercializzata a partire dal giugno 1988 ad un prezzo di 19.596.000 lire. Il bicilindrico a L a 4 valvole per cilindro arrivava a 102 CV a 9.000 giri/min, cifre che con il Kit Superbike si alzavano fino a 125 CV a 10.000 giri/min. Il blocco era inserito in un telaio a traliccio in tubi di acciaio che lavorava insieme ad un forcellone in alluminio con leveraggio progressivo della sospensione. Prima di passare alla 888, nel 1989 il progetto 851 venne evoluto: la potenza salì di 3 CV, c'era un solo iniettore per cilindro, i cerchi passarono da 16" a 17", vennero maggiorati i dischi freno anteriore e aggiornate le quote ciclistiche del telaio. Un nuovo capitolo della storia Ducati era ormai iniziato.