Cagiva Elefant, la regina del deserto
Consacrata dai successi di Edi Orioli nelle Parigi-Dakar del 1990 e 1994, monta un motore Ducati potente e dal carattere inconfondibile. Prodotta per 14 anni, è una moto da collezione piuttoso ricercata
La Cagiva Elefant è stato uno dei modelli più celebri tra quelli che si rifacevano ai raid africani. Una moto versatile, che ha calcato la scena del mercato e delle gare per ben 14 anni nelle varie cilindrate e versioni realizzate. Ancora oggi è molto ricercata, con un valore sul mercato dell'usato che cresce di anno in anno.
Le Elefant 900 di serie davanti e quella da gara alle sue spalle
Le origini
La Elefant nasce come prototipo per la Fiera del ciclo e del motociclo di Milano del 1983. Monta un bicilindrico Ducati di 750 cm3, ruotato all'indietro di 180°, per potere alloggiare l'aspirazione tra i due cilindri e montare l'ammortizzatore posteriore in posizione verticale. L'anno successivo, a Colonia, la cilindrata è scesa a 650 cm3, vengono aggiunti il disco posteriore e una forcella Marzocchi. Grazie a un accordo con Ligier, la Elefant fa il suo debutto alla Parigi-Dakar del 1985, la realizzazione è affidata a Roberto Azzalin. A guidarla, oltre a Giampaolo Marinoni, c'è niente di meno che Hubert Auriol, in uscita da BMW – si dice- per dissapori con l'altro asso della casa bavarese, Gaston Rahier. Auriol rischia di andare a podio, alla fine si classifica ottavo e nel complesso l'esperienza è più che valida.
Ecco la Cagiva Elefant prima serie
La moto di serie viene commercializzata nelle cilindrate 350 e 650, che vanno ad affiancare la 200 e la 125 con motori a due tempi. A differenza della prima versione da gara, al posteriore della 650 è montato un mono ammortizzatore, la dotazione tecnica è ricca e prevede freni Brembo e forcella Marzocchi.
L'epopea Dakar
Dal 1986, Cagiva partecipa alla Parigi-Dakar con la livrea Lucky Explorer che la renderà famosa, sul piano tecnico vengono montati carburatori doppio corpo Weber. L'edizione di quell'anno è però funestata dalla morte di Gampaolo Marinoni nella tappa conclusiva e dalla scomparsa dell'ideatore della maratona Thierry Sabine.
Ecco la prima Elefant-Ligier preparata per la Parigi-Dakar
Bisognerà aspettare il 1987 per vedere una Cagiva al vertice. La moto viene rinnovata con una splendida carena integrale, un motore più potente e una diversa distribuzione dei pesi. La Elefant è un missile, ma Ciro De Petri e Franco Gualdi vengono squalificati (per un presunto scambio di moto), mentre Hubert Auriol cade nella penultima tappa, quando è in testa: si deve ritirare e la vittoria sfuma ancora.
Ecco la Elefant 900 vincitrice della Dakar con Edi Oroli
Dopo due anni deludenti, sarà il 1990 l'anno della consacrazione, con Edi Orioli vincitore e De Petri terzo, con ben 5 vittorie di tappa. Il successo sarà bissato, sempre da Orioli, nell'edizione 1994, con Jordi Arcarons secondo. La Elefant nel frattempo è cresciuta fino a 904 cm3 di cilindrata prima e 944 poi. Nel 1995 la Cagiva sfiora ancora il successo con Arcarons (secondo posto finale, Orioli terzo). L'ultimo podio nella onorata carriera della Elefant lo conquisterà Oscar Gallardo, nel 1997, anche se qualche esemplare correrà ancora.
Dalle corse alla strada
La Cagiva Elefant nella versione 650 viene commercializzata per 4 anni: dal 1985 al 1989, ma viene affiancata già a partire dal 1987 dalla versione 750, più performante. La corsa rimane di 61,5 mm, ma l'alesaggio passa da 82 a 88 millimetri, la potenza cresce da 52 a 60 cavalli, mentre il peso rimane sotto i 190 chili a secco dichiarati. La linea si contraddistingue per il parafango anteriore basso e la ruota da 19”.
Ecco la Elefant con motore Ducati 650
Il vero salto in avanti viene però fatto con l'introduzione della 900, prodotta come prima serie dal 1990 al 1992. Il motore è il 904 cm3 derivato dalla Ducati 900SS, con cambio a 5 marce e iniezione elettronica Weber-Marelli: la moto è equipaggiata con la miglior componentistica presente sul mercato, come il mono ammortizzatore Öhlins, i freni Nissin e forcella Marzocchi Magnum. Il propulsore eroga cavalli in abbondanza, la luce a terra passa a 260mm e l'altezza sella a 90 cm.
la Elefant 900 è la versione meglio riuscita e più ricercata
Grande, grossa, bella e impegnativa, la Elefant viene rivista nel 1993: l'iniezione viene sostituita da carburatori a depressione Mikuni da 38mm, la frizione con comando passante all'interno dell'albero primario del cambio e rapportatura a sei marce. Per cercare di rendere meno scorbutica la “belva”, si lavora su albero a camme e dimensionamento delle valvole, mentre sul fronte ciclistico vengono fatte scelte che vanno incontro al mercato e al contenimento dei costi. Il mono Öhlins con comando di precarico idraulico della molla viene sostituito da un Boge, la forcella Marzocchi da una Showa.
La “regina tra le regine” è sicuramente la versione Marathon, prodotta dal 1994 per consentire al team CH di Roberto Azzalin di disporre di un mezzo il più possibile vicino a un prototipo, ma prodotta in serie per rispettare i nuovi regolamenti della maratona africana: cilindrata 944 cm3 (82,9x61, potenza sui 75 cavalli), ruota anteriore da 21”, posteriore da 18”, ciclistica affidata nuovamente all'accoppiata Ohlins-Marzocchi e due carburatori a valvola piatta Keihin FCR. Il telaio è raffinatissimo e smontabile in due parti per favorire la manutenzione.
Fine della storia
La produzione della Elefant cessa nel 1998, con Cagiva che ormai non naviga in buone acque finanziarie. La grande bicilindrica da deserto viene sostituita dalla Grand Canyon, una dual sport molto orientata all'asfalto, sulla scia delle nuove moto che piacciono al mercato. Il motore è sempre il 904, ma dotato di iniezione elettronica. La moto non riscuote un gran successo e nel 2000 entra in produzione la Navigator, che monta il bicilindrico prodotto da Suzuki.
La Elefant oggi
Non è una moto con grossi problemi di affidabilità: è una maxienduro molto piacevole da guidare, grazie al peso ridotto e alle buone prestazioni del bicilindrico Ducati. Il rapporto peso/potenza non è infatti poi troppo dissimile da quello delle moderne adventure, con la differenza che le moto moderne hanno più peso per via dell'elettronica e qualche cavallo in più.
I punti deboli della 750 del 1994 sono la frenata, affidata a un solo disco, e il cambio a 5 marce: nei trasferimenti stradali, la rapportatura obbliga a mantenere il motore a regimi di rotazione elevati con ripercussioni sul manubrio e sulle pedane in termini di vibrazioni, oltre che di consumi.
Nel complesso, il motore due valvole Ducati è robusto, ma richiede frequenti interventi di registrazione delle valvole e soprattutto nelle versioni 650 e 750 ha un'erogazione poc regolare ai bassi regimi. È un motore sportivo che dà il meglio a gas aperto...
L’impianto elettrico può essere un po’ capriccioso. Lo scarico, dotato di catalizzatore, è pesante e scalda molto. Il mercato dell’after market non offre molte soluzioni alternative o abbondanza di ricambi per questa moto, che rimane sicuramente un piccolo-grande gioiello. È un tesoro anche per le quotazioni raggiunte, salite di molto negli ultimi anni, soprattutto per le versioni più recenti e di cilindrata maggiore.