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Quando KTM fallì per la prima volta e a salvarla fu Pierer

La casa austriaca fini a gambe all'aria 30 anni fa, allora fu salvata da Stefan Pierer che l'ha portata ad essere il maggior costruttore europeo e ora di nuovo al fallimento

KTM sta vivendo una fase di grave crisi, non è la prima tempesta che la casa austriaca attraversa nella sua storia quasi centenaria: già nel 1991 era stata dichiarata fallita.


Le origini

Anno 1934, Mattighofen, Austria: l’ingegnere Hans Trunkenpolz apre la sua officina di manutenzione e riparazione per auto e moto. Nel 1951, il tecnico austriaco si cimenta prima nella progettazione e realizzazione di una bicicletta sportiva, quindi di una moto leggera. Si chiama R100 e ha una cilindrata di 98 cm3. A questo punto la strada di Trunkepolz incrocia quella di Ernst Kronreif, che si offre di amministrare l’azienda: nasce a questo punto la KTM, acronimo di Kronreif (Und) Trunkenpolz Mattighofen. Il primo internazionale arriva alla Sei Giorni del 1956, con una 125 e nel giro di vent'anni la casa austriaca ha in catalogo più di 40 modelli. Nel 1974 il russo Guennady Moiseev si laurea campione del mondo motocross nella duemmezzo, è il primo alloro iridato della casa austriaca.


Diffusione in Italia e crisi

Nel nostro Paese le fortune di KTM si uniscono a quelle di Arnaldo Farioli, che nel 1969 vince il campionato italiano con la 125 e diventa importatore. Bergamo diventa la “capitale” italiana del marchio austriaco e nel primo anno di attività Farioli riesce a vendere più di 300 moto: le enduro austriache diventano l'oggetto dei desideri dei piloti nostrani e più in generale degli appassionati del tassello.

Nei primi anni ’80 le KTM sono tra le prime off-road ad adottare il raffreddamento a liquido e i freni a disco anteriori e posteriori, la casa si afferma come uno dei marchi più innovativi. Nel 1987 arriva un altro cambiamento epocale: l’introduzione dei motori a quattro tempi, mentre viene interrotta definitivamente la produzione di ciclomotori e scooter, in contemporanea alle prime difficoltà finanziare. La situazione sembra migliorare nel 1987 con la trasformazione di KTM in società per azioni e l’arrivo di nuovi capitali, nel 1989 la famiglia Trunkenpolz – dopo la morte del fondatore- cede la proprietà alla GIT Trust Holding, guidata dall'ex politico austriaco Josef Taus. Di nuovo le biciclette giocano un ruolo importante nella storia del marchio: si punta quasi tutto sul settore (unitamente ai radiatori), ma le perdite finanziarie sono ingenti e il fondo è costretto a chiedere la liquidazione della società nel dicembre del 1991 con per un buco equivalente a 70 milioni di euro.


La prima rinascita

Le banche decidono di dividere le quattro linee di business – moto, biciclette, utensili e radiatori – in quattro aziende separate. Per questo le bici KTM non hanno più niente a che vedere con KTM Sportmotorcycle GmbH se non, per l’appunto, il logo. La divisione motori viene acquisita nel 1992 da un giovane ingegnere – all'epoca 32enne- Stefan Pierer.

Il rilancio passa attraverso un motore che diventerà storico: la sigla è LC4, la moto che segna la rinascita è la Duke 620, nel 1994. Nel 1996 le KTM iniziano a essere “colorate” di arancione. La scelta spetta a Gerald Kisha, socio di Pierer, che vuole rinnovare profondamente il marchio anche nell'immagine. Si decide di puntare sulle corse, sull'aggressività, su linee moderne e scelte tecniche coraggiose. Come per i marchi giapponesi, fedeli nell'off-road a un determinato colore, anche in KTM si vuole puntare a una identità precisa, simobolizzata dal colore arancio. 

A fine anni '90, si affianca al motore LC4 il bicilindrico LC8, reso celebre dal trionfo alla Dakar di Fabrizio Meoni, con la neonata 950. KTM vincerà il più importante rally del pianeta dal 2001 al 2019, senza soluzione di continuità. Nel frattempo arrivano anche i titoli nel motocross: nel 1996 il primo mondiale della nuova gestione (Shayne King, 125), primo alloro dall'ultimo successo dell'americano Trampas Parker nel 1989, dal 2000 in poi Mattighofen diventa il marchio di riferimento. Nel 2010, ancora una volta, c'è un italiano di successo a incrociare la propria storia con quella di KTM: Antonio Cairoli vince il mondiale MX1 con la SX-F 350, ne conquisterà altri 5 con il marchio austriaco.


Shopping e gigantismo

Gli ultimi 15 anni di KTM sono segnati anche da numerose acquisizioni, quasi tutte di marchi “sovrapponibili” al brand austriaco. Dopo che nel 1995 Pierer aveva acquisito Husaberg, nel 2013 compra Husqvarna da BMW, nel 2019 Gas Gas. Nel 2022 infine entra in MV Agusta, primo marchio decisamente orientato alla strada. Nel frattempo KTM ha fatto il suo ingresso anche in MotoGP: tanti i soldi spesi, pochi i risultati. Al 2024 nessun mondiale vinto in 8 anni di attività, successi nei gp che si contano sulla punta delle dita di due mani. Va decisamente meglio nelle categorie minori, con oltre 15 titoli conquistati tra mondiali piloti, costruttori (anche con marchi associati) e team.


La crisi in atto

Nel 2023 sorgono nuovi problemi, ancora una volta legati al mercato bici: Pierer, che possiede già il brand Raymon, decide di acquisire Felt, un marchio statunitense. Inoltre, dal momento che non può usare il marchio KTM sulle bici, sviluppa e-bike a marchio Husqvarna e GASGAS. Viene costruita una fabbrica-magazzino in Bulgaria che costa da sola 40 milioni di euro e stabilimenti in Colombia, Brasile, Argentina, Filippine. L'attività sportiva come sempre supporta l'immagine del marchio con ingenti spese. Il venduto è incoraggiante: oltre 150mila bici, ma quando il mercato si satura i magazzini traboccano di invenduto. Pierer cede sia Raymon che Felt, restano soltanto le e-bike Husqvarna e GASGAS. Anche sul fronte moto le cose non vanno meglio perché l'invenduto nei magazzini della casa è di 265.000 pezzi. Ka procedura fallimentare porta a sacrificare MV Agusta e parte dell'attività sportiva, con sviluppi ancora tutti da seguire.

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