Una special dalle ceneri di vecchie giapponesi
Questa bella naked nasce da un vecchio telaio di una Yamaha RD 350 R del 1992, e monta componenti provenienti da modelli di epoche differenti. Il risultato è un Frankenstein da 120 CV per 110 kg, quanto basta per suonarle a molte 4 tempi di oggi...
Image
Fuoriserie
Frankenstein da pista
Tutte le special partono da una base, arricchita poi da pezzi di diversa provenienza, oggi per lo più ci si arrangia affidandosi ai cataloghi degli specialisti, ma la special che vedete qui, realizzata da un nostro lettore, è stata fatta all'antica: riutilizzando parti provenienti da moto "donatrici" di diverse epoche e stili. Tutto è partito da una vecchia Yamaha RD 350 R del 1992, che ha "donato" innanzitutto il telaio, subito pesantemente rimaneggiato per rimpiazzare il telaietto posteriore con uno più corto, sotto cui trovano posto l’impianto elettrico e la batteria, che ha anche permesso di creare un codino leggero e affilato, come va di moda oggi.
Poi è stato adattato il monobraccio di una Honda VFR400, ricostruendo i supporti del monammortizzatore e inserendo un'unità presa da una CBR900RR, innesto che ha "costretto" a realizzare un nuovo attacco sul telaio. Il cerchio posteriore arriva poi da una Honda VFR 750 e monta uno pneumatico 160/60, l'anteriore invece è eredità di una VFR 800 e calza un 120/70. Insomma solo il serbatoio è rimasto quello originale della RD 350, mentre sono stati ricostruiti, ricavandoli in ergal dal pieno, tutti i supporti e i rinvii di cambio, pedali e freni. Anche il faro anteriore (a led) è stato ricavato artigianalmente dal pieno in lega leggera (è un disegno dell'autore) e nasconde la strumentazione firmata Koso. La lista delle "donazioni" si allunga con la forcella Showa a steli rovesciati proveniente da una Suzuki GSX-R600R, cui è stata sostituita la piastra superiore con una progettata ad hoc e sempre lavorata dal pieno: ciò ha consentito d'inclinare il cannotto di sterzo a 23.5°, raggiunti anche alzando il posteriore (la vecchia RD aveva circa 26°-27°). L'impianto frenante è composto poi da pinze Tokiko radiali e dischi da 310 mm di una Honda CBR1000RR.
Anche sul motore i lavori sono stati complessi: nuovo albero con corsa maggiorata di 4 mm e bielle più lunghe di 5 mm, mentre il carter superiore è stato rialesato per poter inserire una coppia di cilindri dell’americana CPI Industries: la cubatura è salita cosi a 472 cm3. Per alimentare a dovere l'assetato bicilindrico sono arrivati due carburatori Dell’orto Vhsb 39 Racing in magnesio, mentre lo scarico è affidato a espansioni completamente riprogettate e saldate al tig. A conti fatti la potenza, dopo i lavori, dovrebbe essere di circa 120-130 CV, che, con un peso a secco di circa 110 kg, sono più che sufficienti... Su strada, ci racconta l'autore, la RD è molto reattiva ma allo stesso stabile; mentre la risposta del motore è fluida fino a 7mila giri, superati i quali l'erogazione diventa brutale e in un attimo ci si trova a 11mila giri. Le emozioni insomma non mancano, come su tutte le 2T sportive di razza.
Tutte le special partono da una base, arricchita poi da pezzi di diversa provenienza, oggi per lo più ci si arrangia affidandosi ai cataloghi degli specialisti, ma la special che vedete qui, realizzata da un nostro lettore, è stata fatta all'antica: riutilizzando parti provenienti da moto "donatrici" di diverse epoche e stili. Tutto è partito da una vecchia Yamaha RD 350 R del 1992, che ha "donato" innanzitutto il telaio, subito pesantemente rimaneggiato per rimpiazzare il telaietto posteriore con uno più corto, sotto cui trovano posto l’impianto elettrico e la batteria, che ha anche permesso di creare un codino leggero e affilato, come va di moda oggi.
Poi è stato adattato il monobraccio di una Honda VFR400, ricostruendo i supporti del monammortizzatore e inserendo un'unità presa da una CBR900RR, innesto che ha "costretto" a realizzare un nuovo attacco sul telaio. Il cerchio posteriore arriva poi da una Honda VFR 750 e monta uno pneumatico 160/60, l'anteriore invece è eredità di una VFR 800 e calza un 120/70. Insomma solo il serbatoio è rimasto quello originale della RD 350, mentre sono stati ricostruiti, ricavandoli in ergal dal pieno, tutti i supporti e i rinvii di cambio, pedali e freni. Anche il faro anteriore (a led) è stato ricavato artigianalmente dal pieno in lega leggera (è un disegno dell'autore) e nasconde la strumentazione firmata Koso. La lista delle "donazioni" si allunga con la forcella Showa a steli rovesciati proveniente da una Suzuki GSX-R600R, cui è stata sostituita la piastra superiore con una progettata ad hoc e sempre lavorata dal pieno: ciò ha consentito d'inclinare il cannotto di sterzo a 23.5°, raggiunti anche alzando il posteriore (la vecchia RD aveva circa 26°-27°). L'impianto frenante è composto poi da pinze Tokiko radiali e dischi da 310 mm di una Honda CBR1000RR.
Anche sul motore i lavori sono stati complessi: nuovo albero con corsa maggiorata di 4 mm e bielle più lunghe di 5 mm, mentre il carter superiore è stato rialesato per poter inserire una coppia di cilindri dell’americana CPI Industries: la cubatura è salita cosi a 472 cm3. Per alimentare a dovere l'assetato bicilindrico sono arrivati due carburatori Dell’orto Vhsb 39 Racing in magnesio, mentre lo scarico è affidato a espansioni completamente riprogettate e saldate al tig. A conti fatti la potenza, dopo i lavori, dovrebbe essere di circa 120-130 CV, che, con un peso a secco di circa 110 kg, sono più che sufficienti... Su strada, ci racconta l'autore, la RD è molto reattiva ma allo stesso stabile; mentre la risposta del motore è fluida fino a 7mila giri, superati i quali l'erogazione diventa brutale e in un attimo ci si trova a 11mila giri. Le emozioni insomma non mancano, come su tutte le 2T sportive di razza.
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