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Monza, per una via a Vittorio Brambilla

Un gruppo di appassionati chiede che Monza intitoli un via "al Vittorio", è partita così una petizione per convincere il comune a ricordare degnamente questo grande personaggio, pilota e meccanico con una passione viscerale per i motori da corsa
Un pilota che ha lasciato il segno
La vita di Vittorio Brambilla è stato totalmente dedicata alle corse e alla pista della sua città: Monza. Per questo un gruppo di appassionati ha lamciato una petizione  'Una via per Vittorio' per intitolare al pilota biranzolo una via. I problemi non mancano, come racconta il promotore Walter Pozzi: “Il nostro sogno era intitolargli via della Birona, dove è cresciuto sportivamente. Ma tanti residenti avrebbero dovuto cambiare i documenti e si sono opposti”, per partecipare all'iniziativa basta inviare una mail a walterpozzi@alice.it, inserendo in oggettto "Una via per Vittorio" e nel nel testo nome, cognome e indirizzo, specificando che si autorizza l'inserimento nella petizione "Una via per Vittorio Brambilla". In molti appassionati si ricorderanno, di Vittorio, un pilota coriaceo, un antidivo, uno di quei pochi, però, che di motori se ne intendevano davvero. L'apice della sua carriera lo raggiunse domenica 17 agosto del 1975, all’Osterreichring, in Austria: in una nuvola d’acqua Vittorio Brambilla conquistava la sua prima ed unica vittoria in un GP di Formula 1, la sua March 751, motorizzata Ford-Cosworth, non era certo all’altezza delle Ferrari o delle McLaren, ma la pioggia e le sue doti di “re del bagnato” fecero il resto, da ricordare poi l’arrivo a braccia alzate, con la March che sbandao finendo contro il guard-rail. Il musetto danneggiato finì come "trofeo" nella sua officina di Monza. La vita di Vittorio è piena di momenti eroici,  come qiuando alla 1000 KM di Monza arriva al box con più di un giro di vantaggio, ma la parte posteriore della macchina è staccata, scende come un ossesso dall'abitacolo, prende una spranga e ripa alla buona la vettura, per poi ripartire e vincere insieme ad Arturo Merzario. O come quando Vittorio era capo meccanico del fratello Tino, ed erano in pista a Monza per un test con la Tecno. Ascoltando il motore di Tino, capì che l'auto era a secco di carburante, la localizzò alla curva di Lesmo e mandò l'aiuto meccanico Pino a piedi con un alatta di benzina. Dopo aver fatto rifornimento, Tino decise di dargli uno strappo fino al box, salvo poi dimenticarsi della sua presenza, fare il giro di lancio di una simulazione di gara e rientrare ai box come se nulla fosse. Pino fu ritrovato a faccia in giù nella via di fuga della Parabolica, solo un po' stordito. Come può accadere nella vita dei piloti, ha vissuto anche momenti drammatici, era il 1978, a Monza, Gran Premio più comunemente ricordato per il terribile incidente al via con il rogo della macchina di Peterson. I soccorsi si concentrarono sullo svedese, che al momento era cosciente. Brambilla, invece, era rimasto in macchina, colpito da una gomma impazzita. Lo stesero sul prato dopo qualche minuto, ma non riuscirono a sfilargli il casco. Era dato per morto. Poi in ospedale riuscì a riprendersi, si ristabilì e aiutò Chiti nella creazione del team Alfa Romeo come collaudatore. Corse anche qualche gara, ma ormai aveva 43 anni e nel 1980 si ritirò. Amava dire: “A Monza potrei girare a occhi chiusi, l' auto va da sola”. Così come il fratello Ernesto, detto “Tino”, anche lui pilota di moto, di kart e di Formula 3. La sua stagione d’oro fu quella del 1954 con la MV Agusta 125. Centrò 22 vittorie e il titolo italiano di terza categoria, al quale seguì l'offerta di un contratto da pilota ufficiale. Per la casa di Cascina Costa corse fino al 1959 portando a casa due titoli tricolori della 250 e il terzo posto nel Gran premio di Germania, all’esordio nel motomondiale. Erano rivali, ma fratelli, entrambi ribelli, spiriti liberi e genuini.
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