Invalido dopo un incidente: dal risarcimento va detratta la pensione di accompagnamento
Quando in un incidente viene lesa, in modo permanente, la salute, nessuna somma potrà restituirla, ma negli ultimi tempi sembra sempre più difficile ottenere un risarcimento, quantomeno adeguato. Il giro di vite sui risarcimenti lo danno i giudici, sempre più restii a riconoscere soldi a chi resta ferito, o addirittura invalido, nei sinistri stradali.
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Cosa dice la giurisprudenza
Quindi, oltre al danno, anche la beffa. E quando all’incidente consegue un danno fisico permanente, se l’invalido percepisce l’indennità di accompagnamento (ma vale anche per altri indennizzi, come l’assistenza domiciliare a carico del servizio sanitario), le somme erogate dallo Stato, o altri enti (Inps, Inail …) devono essere scalate dal risarcimento dovuto dall’assicurazione. Il protagonista di una simile vicenda è un milanese che, alla guida della propria motocicletta, impattava con un furgone, riportando delle lesioni personali gravissime. I giudici dei primi due gradi di giudizio ripartiscono la responsabilità al 50%, tra due i mezzi coinvolti. La Cassazione, qualche giorno fa (III Sezione civile, Sentenza n. 7774, depositata il 20 aprile 2016), ha annullato il risarcimento riconosciuto al motociclista dalla Corte d’Appello di Milano, concordando con la tesi difensiva dell’assicurazione: dalla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno fisico, subito a causa dell’incidente col furgone, bisogna detrarre l’indennità di accompagnamento percepita dall’uomo, come pure i servizi di cui beneficia per l’assistenza domiciliare (sistema dei cd. voucher socio-sanitari, erogati da una Legge della Regione Lombardia). Si ricorda, infatti, che l’indennità di accompagnamento viene riconosciuta, dallo Stato, ai soggetti inabili che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, hanno bisogno di qualcuno che li assiste in modo continuativo. Per la Cassazione sia l’indennità di accompagnamento che l’assistenza domiciliare prestata dal servizio sanitario, compensano, in senso economico, l’eventuale retribuzione, che il motociclista invalido avrebbe dovuto pagare ad un collaboratore - badante per essere aiutato in quelle attività che non può più compiere, di fatto riducendo, in parte, il danno risarcibile. Si osserva che negli ultimi anni i giudici si sono orientati in tale direzione (si veda anche Cassazione, 13 giugno 2014, n. 13537) anche nei confronti dei familiari, quando il sinistro abbia avuto esito fatale: dall’ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal marito, o dalla moglie, superstite, in conseguenza della morte del congiunto, vittima di un sinistro. A ciò si aggiunga che la Corte d’Appello di Milano aveva calcolato il risarcimento sulla base del numero di anni di vita “residui”, cioè 38, risultato dalla differenza tra la durata media della vita (78 anni), e l’età anagrafica dell’uomo al momento dell’incidente (40 anni). Per la Cassazione tale criterio è errato, ed ha quindi dettato specifiche regole di calcolo: “Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita; oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base al coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie”.
Quindi, oltre al danno, anche la beffa. E quando all’incidente consegue un danno fisico permanente, se l’invalido percepisce l’indennità di accompagnamento (ma vale anche per altri indennizzi, come l’assistenza domiciliare a carico del servizio sanitario), le somme erogate dallo Stato, o altri enti (Inps, Inail …) devono essere scalate dal risarcimento dovuto dall’assicurazione. Il protagonista di una simile vicenda è un milanese che, alla guida della propria motocicletta, impattava con un furgone, riportando delle lesioni personali gravissime. I giudici dei primi due gradi di giudizio ripartiscono la responsabilità al 50%, tra due i mezzi coinvolti. La Cassazione, qualche giorno fa (III Sezione civile, Sentenza n. 7774, depositata il 20 aprile 2016), ha annullato il risarcimento riconosciuto al motociclista dalla Corte d’Appello di Milano, concordando con la tesi difensiva dell’assicurazione: dalla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno fisico, subito a causa dell’incidente col furgone, bisogna detrarre l’indennità di accompagnamento percepita dall’uomo, come pure i servizi di cui beneficia per l’assistenza domiciliare (sistema dei cd. voucher socio-sanitari, erogati da una Legge della Regione Lombardia). Si ricorda, infatti, che l’indennità di accompagnamento viene riconosciuta, dallo Stato, ai soggetti inabili che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, hanno bisogno di qualcuno che li assiste in modo continuativo. Per la Cassazione sia l’indennità di accompagnamento che l’assistenza domiciliare prestata dal servizio sanitario, compensano, in senso economico, l’eventuale retribuzione, che il motociclista invalido avrebbe dovuto pagare ad un collaboratore - badante per essere aiutato in quelle attività che non può più compiere, di fatto riducendo, in parte, il danno risarcibile. Si osserva che negli ultimi anni i giudici si sono orientati in tale direzione (si veda anche Cassazione, 13 giugno 2014, n. 13537) anche nei confronti dei familiari, quando il sinistro abbia avuto esito fatale: dall’ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal marito, o dalla moglie, superstite, in conseguenza della morte del congiunto, vittima di un sinistro. A ciò si aggiunga che la Corte d’Appello di Milano aveva calcolato il risarcimento sulla base del numero di anni di vita “residui”, cioè 38, risultato dalla differenza tra la durata media della vita (78 anni), e l’età anagrafica dell’uomo al momento dell’incidente (40 anni). Per la Cassazione tale criterio è errato, ed ha quindi dettato specifiche regole di calcolo: “Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita; oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base al coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie”.
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