Salta al contenuto principale

Danilo Petrucci ci racconta il sogno Dakar: "Ho visto Meoni e ho deciso di correrla"

Il pilota ternano spiega la decisione più in controtendenza della stagione motociclistica e confessa che non vede l'ora di iniziare: "La moto è impressionante, in squadra ti fanno sentire in famiglia". Un piccolo infortunio non lo ha demoralizzato: "Mi sono rotto l'astragalo atterrando da un salto, ho capito che nei rally devi avere l'attenzione sempre al massimo"
Arrivare alla MotoGP e confermarsi in un mondo ultra professionale e competitivo è difficilissimo, ed è raro vedere piloti che rinunciano a rimanere nell'ambiente. Spesso chi non ha un sellino da titolare accetta di fare il tester o rimane alla finestra nella speranza di una chiamata a stagione in corso. Ogni scelta insomma è ponderata e il lato economico influisce non poco. Anche per questo motivo, la decisione di correre la Dakar presa da Danilo Petrucci è assolutamente in controtendenza con la tendenza generale e decisamente passionale.
Tra due settimane Petrux sarà al via del più importante rally al mondo come pilota ufficiale KTM, anche se al momento la situazione non è idilliaca. Il pilota ternano ci parla della sua prossima avventura in questa intervista raccolta dal nostro Guido Sassi.
Come sono le tue condizioni fisiche in questo momento?
Stiamo correndo contro il tempo, perché nell'ultimo test nel deserto ho rimediato una frattura all'astragalo, con lesione del legamento. Sono atterrato male da un salto e ho preso un brutto colpo alle caviglie. Per fortuna la frattura è composta, sto facendo terapie per cercare di fare saldare l'osso il prima possibile. Comunque ho già ricominciato ad andare in bici, tanto per dire oggi ho fatto 70 chilometri.
Hai preso questo piccolo infortunio come un avvertimento?
Esatto. Ho capito che alla Dakar non basta stare con gli occhi bene aperti, ma il livello di attenzione deve essere sempre altissimo.
Non deve essere facile capire quando si può osare e quando bisogna essere conservativi, per lo meno senza l'esperienza necessaria.
Me lo hanno detto anche i miei compagni di squadra. Guardando il lato positivo, ho un'esperienza di dieci anni con il motocross, per ché ho iniziato proprio con il mini-cross prima di passare alla pista. Credo di avere la resistenza, e anche il passo, ma lì il gioco è un altro. Non bisogna sbagliare, non si possono fare errori di guida né di navigazione. È tutto molto diverso rispetto a quanto sono abituato a fare, devo riuscire a togliermi lo status da pistaiolo.
Anche l'occhio si dovrà abituare a leggere i terreni, le circostanze...
Sarà fantastico vedere lo scenario che cambierà di continuo, ma sarà molto impegnativo. Biosgna essere pronti a reagire agli ostacoli improvvisi, agli imprevisti. In pista, al termine di un weekend dove metti le ruote sempre nello stesso punto conosci la pista millimetro per millimetro, fai quasi tutto a occhi chiusi. Si tratta di eseguire alla perfezione un compito, mentre qua il compito cambia di continuo.
Quanto sei riuscito a prepararti?
Ho fatto due allenamenti, due settimane con una decina di giorni di navigazione, ma non sono arrivato a 2mila chilometri, erano road book da 350-400 chilometri al giorno per cinque gironi di seguito. Sono stati giorni molto utili e i compagni sono stati davvero tutti molto gentili nello spiegarmi moltissime cose. Devo dire che ho rotto le scatole a tutti con un sacco di domande, ma sono stati fantastici perché non si sono mai stancati di aiutarmi. Se penso al confronto con la MotoGP, è tutto un altro mondo.
Con chi ti sei allenato maggiormente?
Prima di Portimao sono stato a Dubai con i due Husqvarna, Benavides (Luciano, ndr) e Howes, con cui dividerò il camper. Poi con Sanders, Sunderland e Price. Ma con tutti ho avuto proprio la sensazione che ci stiamo preparando a condividere un'avventura, un'atmosfera molto bella. D'altronde credo che sia l'approccio migliore, perché quando sei là gli imprevisti sono tanti ed è importante contare sulla squadra.
Cosa ti ha fatto più impressione della tua prima presa di contatto con il deserto?
Sembra assurdo, ma non ero mai stato sulle dune. Sulla prima sono rimasto insabbiato, poi non mi è più successo. Ho visto andare Benavides su una duna altissima, sembrava una montagna, poi è scomparso dietro: sembrava di essere in piscina, quando uno si tuffa e va giù. Quando è toccato a me e sono arrivato in cima ho chiuso il gas, poi mi hanno spiegato di non farlo e di mettermi laterale in cima, prima di scendere.
In famiglia cosa dicono? Ti hanno detto che sei matto o l'hanno metabolizzata bene?
Ma no, dai, l'hanno presa bene. Mia madre è un po' preoccupata, mio papà invece non si è pronunciato! Ma in famiglia ci hanno sempre aiutato a fare quello che più ci piaceva ed è stato così anche questa volta. E poi la passione per i rally viene da lontano, è una cosa che abbiamo sempre sentito e quindi non è stato poi così strano per i miei capire la mia scelta.
Però è stata una decisione molto coraggiosa. È stato difficile decidere, quando l'opportunità si è concretizzata davvero?
No, perché oltre alla passione c'erano le circostanze. La KTM in MotoGP quest'anno non è cresciuta, tutti i piloti hanno faticato. Io poi ho una taglia diversa da tutti: sulla Ducati riuscivo a starci comunque, ma la RC16 è troppo piccola. E poi c'era il discorso del peso, che tutti conosciamo.
A un certo punto sembrava però che avresti potuto trovare uno sbocco interessante in superbike. Anche lì è stato il peso a scoraggiarti?
Si era parlato con Ducati di un mio possibile impiego, ma loro quest'anno si sono ritrovati in una situazione strana, perché Redding e Rinaldi sono due piloti molto diversi come corporatura e non avevano una linea di sviluppo chiara. È vero che io sono abbastanza simile a Scott come taglia, ma Ducati ha preferito una coppia simile come quella composta da Bautista e Rinaldi, per evitare di avere una moto competitiva con un pilota e debole con l'altro. Avevamo entrambi dei dubbi e forse io ho bisogno di una pausa, di cambiare un po' musica. Diciamo che passo dal rock all'elettronica. In fondo dieci anni fa sono riuscito a partire da zero e arrivare alla MotoGP, ora voglio ripartire e capire dove posso arrivare.
E l'ipotesi MotoAmerica con Ducati? Sempre in piedi?
Assolutamente: è compatibile con quello che faccio e soprattutto mi dà la possibilità di andare a stare negli Stati Uniti per un anno. Per me, che ho 31 anni, andare a correre e vivere in un altro continente sarà bellissimo.
Vedi la Dakar come un'esperienza singola o come una gara da ripetersi? O pensi addirittura che fare più tappe del mondiale rally sarebbe compatibile con il MotoAmerica?
Per ora non mi sono iscritto a nient'altro, ne riparliamo con KTM dopo la Dakar. Anche perché prima vogliamo capire come va.
Anche l'Africa Eco Race potrebbe diventare un obiettivo?
Mi piacerebbe parecchio, così come il Marocco. Ma credo che in questo momento sia meglio fare un passo alla volta.
È cambiata tanto la preparazione?
Sì. Faccio più allenamenti a bassa intensità, ma più a lungo. Ci vuole tanta resistenza. Per contro posso guardare un po' meno il peso.
Sei tornato a mangiare come un essere umano?
Sì, e comunque sono quello con meno massa grassa di tutta la squadra KTM, quando abbiamo fatto i test sono rimasti tutti sorpresi e per me è stata una soddisfazione!
Come ti sei trovato sulla moto?
È impressionante, ho già chiesto a KTM se la posso comprare. È una enduro, ma molto più stabile. Mi ha fatto impressione perché passavo sui sassi e quasi non la sentivo. E poi è molto stabile, molto ben bilanciata: riesci ad andare tranquillamente a 160-165 km/h sul dritto. Io ho sempre provato il modello 2021 e anche alla Dakar avrò quella, per cui non so dire che differenza ci può essere con le altre, ma è davvero una gran moto.
Ma in definitiva, come è nata questa idea?
Jacopo Cerutti è stato il primo a insegnarmi a montare un road book e a portarmi a un rally, solo l'anno scorso, ma in realtà ho avuto la passione della Dakar fin da piccolo. Vedevo e rivedevo le video cassette di Mondo Corse, i servizi a Studio Aperto. Per me Fabrizio Meoni era un mito. Anche perché per noi di Terni, Castiglion Fiorentino rimane piuttosto vicina e capitava sempre di sentire i racconti delle sue imprese. Poi c'è stato quel brutto incidente, ma ormai me l'ero detto: un giorno voglio partecipare. Ed ora, finalmente, eccomi qua.
Aggiungi un commento