Caporalato sui rider: Uber Italia commissariata dal tribunale di Milano
Utilizzatissimi durante queste settimane di lockdown, i rider di Uber Eats erano, oltre che mal pagati, migranti provenienti da contesti di guerra e in evidente stato di bisogno. Per questo il tribunale di Milano ha accusato la società americana di caporalato e ne ha disposto il commissariamento
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Uber accusata di caporalato
Protagonista con le sue consegne di cibo a domicilio in queste settimane di lockdown, Uber Italia è finita nel mirino del Tribunale di Milano, che ne ha disposto l’amministrazione giudiziaria. La filiale italiana del gruppo americano è stata accusata di caporalato: secondo i giudici, attraverso società di intermediazione di manodopera, Uber si sarebbe servita per le consegne del cibo a domicilio di migranti "provenienti" da contesti di guerra, "richiedenti asilo" e persone che dimoravano in "centri di accoglienza temporanei" e in "stato di bisogno". Non solo, le paghe erano da miseria, nell’ordine dei 3 euro alla consegna, come rivelato da un rider di Uber Eats.
Secondo il tribunale, gli indici di sfruttamento da valutare sarebbero quindi due: lo sfruttamento lavorativo e l'approfittamento dello stato di bisogno. La società che lavorava per conto di Uber Italy, infatti, procacciava lavoratori quasi tutti provenienti da "zone conflittuali del pianeta (Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh e altri) e la cui vulnerabilità "è segnata da anni di guerre e povertà alimentare", si legge nell'ordinanza del tribunale. Il giudice ha considerato anche il "forte isolamento sociale in cui vivono questi lavoratori", che offre "l'opportunità di reperire lavoro a bassissimo costo, poiché si tratta di persone disposte a tutto per sopravvivere, sfruttate e discriminate da datori di lavoro senza scrupoli”. L’indagine, avviata da oltre sei mesi e che coinvolge più di un migliaio di fattorini, è ancora in corso.
In Italia il servizio di Uber Eats è attivo nelle città di Milano, Roma, Torino, Bari, Genova, Trieste, Bologna, Rimini, Catania, Napoli, Firenze e Palermo.
Secondo il tribunale, gli indici di sfruttamento da valutare sarebbero quindi due: lo sfruttamento lavorativo e l'approfittamento dello stato di bisogno. La società che lavorava per conto di Uber Italy, infatti, procacciava lavoratori quasi tutti provenienti da "zone conflittuali del pianeta (Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh e altri) e la cui vulnerabilità "è segnata da anni di guerre e povertà alimentare", si legge nell'ordinanza del tribunale. Il giudice ha considerato anche il "forte isolamento sociale in cui vivono questi lavoratori", che offre "l'opportunità di reperire lavoro a bassissimo costo, poiché si tratta di persone disposte a tutto per sopravvivere, sfruttate e discriminate da datori di lavoro senza scrupoli”. L’indagine, avviata da oltre sei mesi e che coinvolge più di un migliaio di fattorini, è ancora in corso.
In Italia il servizio di Uber Eats è attivo nelle città di Milano, Roma, Torino, Bari, Genova, Trieste, Bologna, Rimini, Catania, Napoli, Firenze e Palermo.
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