Africa Eco Race 2019, il ritorno delle bicilindriche
Paolo Caprioni all'Africa Eco Race 2019 riporta in gara il mito di Fabrizio Meoni correndo con una 950 Adventure: «Siamo partiti dalla sua KTM per sviluppare questa moto»
Image
News
Ritorno alle origini
«Nel 1983 con i miei amici siamo andati in moto a seguire la Dakar fino a Tammanrasset. Poi abbiamo finito i soldi e siamo tornati indietro, ma la passione è rimasta. Quando mio fratello ha comprato un KTM 990 molti anni dopo è scattato qualcosa e ora sono qui». Paolo Caprioni da tre anni corre l'Africa Eco Race con una 950 Adventure e in questa edizione al momento occupa un'ottima decima posizione. Un risultato eccellente se si pensa che guida una moto non solo datata, ma sicuramente particolare: “È stata una sfida. Le grosse bicilindriche nelle gare africane hanno avuto una storia breve ma che non può lasciare indifferenti, soprattutto gli italiani. I ricordi ovviamente vanno a Fabrizio Meoni e alla sua vittoria, proprio con questo modello di moto”.
E proprio dall'esperienza maturata dal campione di Castiglion Fiorentino è partito Paolo, insieme al fratello e a Fabio Zanone: “Ho preso la moto dieci anni fa e avevo l'dea di fare l'Hellas Rally. Era completamente originale. Poi ci siamo fatti prendere la mano. Con i consigli di Romeo Feliciani, l'ex meccanico di Meoni, abbiamo portato la moto allo standard con cui correva Fabrizio. Da lì siamo andati avanti. Abbiamo lavorato tanto sulla distribuzione dei pesi, spostato tutto indietro. Ora ha delle sospensioni che fanno la differenza. Poi abbiamo provato l'iniezione 990 e il 950 carburatori. Abbiamo scartato l'iniezione: la moto è troppo potente, diventa uno spacca braccia e poi va protetta bene. A carburatori invece può entrare un bicchiere di sabbia e non si rompe”.
Paolo ci racconta che la moto nella configurazione attuale è scesa a poco più di 92 cavalli, dai 102 che faceva. Rimane comunque potentissima e veloce: “L'anno scorso qua all'Africa Eco Race ho rilevato 204 chilometri orari, l'altro giorno la strumentazione ha segnato 194. Il bello di una moto così è che il terreno che predilige ovviamente sono i pistoni dritti, dove si può scatenare. Ma ogni anno tagliano le piste. Anche in questa edizione nell'ultima tappa ci hanno fatto entrare per tre volte in uno oued per rallentare le macchine che ormai hanno raggiunto velocità mostruose”.
Se negli anni scorsi di bicilindrici ce n'erano sei o sette, quest'anno sono di meno: sono moto difficili da guidare, che richiedono tanto impegno fisico: “Se la moto è preparata bene si difende ancora, però ti devi allenare a modo perché richiede tantissimo impegno. Sono 220 chili in conformazione AER, con il pieno, la torretta e tutto il resto”. A secco la KTM di Caprioni pesa 166 chili, ma a detta del suo tecnico, Fabio Zanone, si tratta di una moto che ne dimostra di meno: “La buona distribuzione dei pesi la rende guidabile”. Zanone ha già tagliato sei volte il traguardo del Lago Rosa tra Dakar e Africa Eco Race, ha visto il bicilindrico in gara quando ancora era una moto da team ufficiale: “Il 950 vinse con Meoni ma si può dire che fu un'eccezione. Non passarono molti anni che iniziarono a correre i mono 450. KTM stessa, che ci arrivò più tardi degli altri perché gareggiavano con il 690, fece subito una moto vincente con un motore che in parte era derivato dal quad, in parte dal cross”. Quando le 450 diventarono le moto per regolamento alla Dakar, le bicilindriche – che erano già passate di moda da un po'– tramontarono definitivamente.
Fernando Prades, che iniziò come meccanico di Carlos Mas e Jordi Arcarons a fine anni 80, ha vissuto gli anni d'oro della corsa, quando davvero i bicilindrici la facevano da padrone: “All'inizio degli anni 90 arrivò il Super Ténéré per Yamaha, Honda aveva già vinto con l'Africa Twin. I motori più potenti erano i Ducati montati sulle Cagiva, ma la Honda era meglio come sospensioni, come telaio. Ad ogni modo a fine anni 90 ormai il destino dei bicilindrici era segnato”. Troppe dune, troppa navigazione, la gara era cambiata. Prades al tempo era il meccanico di Heinz Kinigadner, insieme diedero il via all'inarrestabile cavalcata che ha portato KTM a dominare la Dakar da fine anni 90 ad oggi. In questo 2019 “Pikolo” assiste Simone Agazzi, che guida una Honda 450 Rally: “Se sali su una moto come questa, su un 450 di oggi, non torneresti indietro mai al bicilindrico. È tutta un'altra cosa, sono moto da 160 chili. Non c'è terreno su cui le puoi battere».
Il bicilindrico insomma ormai è una scelta di nicchia: per regolamento tagliate fuori dalla Dakar, in difficoltà sui terreni tecnici nei confronti delle leggere 450, non sono moto da classifica. Paolo Ceci, che due anni fa era secondo con una (moderna) Africa Twin fino all'ottava tappa, fa eccezione. Ma in generale solo in Africa, solo in una gara come la Eco Race, le bicilindriche sembrano trovare ancora la libertà per esprimersi e gli spazi giusti per regalare nuovi sogni.
«Nel 1983 con i miei amici siamo andati in moto a seguire la Dakar fino a Tammanrasset. Poi abbiamo finito i soldi e siamo tornati indietro, ma la passione è rimasta. Quando mio fratello ha comprato un KTM 990 molti anni dopo è scattato qualcosa e ora sono qui». Paolo Caprioni da tre anni corre l'Africa Eco Race con una 950 Adventure e in questa edizione al momento occupa un'ottima decima posizione. Un risultato eccellente se si pensa che guida una moto non solo datata, ma sicuramente particolare: “È stata una sfida. Le grosse bicilindriche nelle gare africane hanno avuto una storia breve ma che non può lasciare indifferenti, soprattutto gli italiani. I ricordi ovviamente vanno a Fabrizio Meoni e alla sua vittoria, proprio con questo modello di moto”.
E proprio dall'esperienza maturata dal campione di Castiglion Fiorentino è partito Paolo, insieme al fratello e a Fabio Zanone: “Ho preso la moto dieci anni fa e avevo l'dea di fare l'Hellas Rally. Era completamente originale. Poi ci siamo fatti prendere la mano. Con i consigli di Romeo Feliciani, l'ex meccanico di Meoni, abbiamo portato la moto allo standard con cui correva Fabrizio. Da lì siamo andati avanti. Abbiamo lavorato tanto sulla distribuzione dei pesi, spostato tutto indietro. Ora ha delle sospensioni che fanno la differenza. Poi abbiamo provato l'iniezione 990 e il 950 carburatori. Abbiamo scartato l'iniezione: la moto è troppo potente, diventa uno spacca braccia e poi va protetta bene. A carburatori invece può entrare un bicchiere di sabbia e non si rompe”.
Paolo ci racconta che la moto nella configurazione attuale è scesa a poco più di 92 cavalli, dai 102 che faceva. Rimane comunque potentissima e veloce: “L'anno scorso qua all'Africa Eco Race ho rilevato 204 chilometri orari, l'altro giorno la strumentazione ha segnato 194. Il bello di una moto così è che il terreno che predilige ovviamente sono i pistoni dritti, dove si può scatenare. Ma ogni anno tagliano le piste. Anche in questa edizione nell'ultima tappa ci hanno fatto entrare per tre volte in uno oued per rallentare le macchine che ormai hanno raggiunto velocità mostruose”.
Se negli anni scorsi di bicilindrici ce n'erano sei o sette, quest'anno sono di meno: sono moto difficili da guidare, che richiedono tanto impegno fisico: “Se la moto è preparata bene si difende ancora, però ti devi allenare a modo perché richiede tantissimo impegno. Sono 220 chili in conformazione AER, con il pieno, la torretta e tutto il resto”. A secco la KTM di Caprioni pesa 166 chili, ma a detta del suo tecnico, Fabio Zanone, si tratta di una moto che ne dimostra di meno: “La buona distribuzione dei pesi la rende guidabile”. Zanone ha già tagliato sei volte il traguardo del Lago Rosa tra Dakar e Africa Eco Race, ha visto il bicilindrico in gara quando ancora era una moto da team ufficiale: “Il 950 vinse con Meoni ma si può dire che fu un'eccezione. Non passarono molti anni che iniziarono a correre i mono 450. KTM stessa, che ci arrivò più tardi degli altri perché gareggiavano con il 690, fece subito una moto vincente con un motore che in parte era derivato dal quad, in parte dal cross”. Quando le 450 diventarono le moto per regolamento alla Dakar, le bicilindriche – che erano già passate di moda da un po'– tramontarono definitivamente.
Fernando Prades, che iniziò come meccanico di Carlos Mas e Jordi Arcarons a fine anni 80, ha vissuto gli anni d'oro della corsa, quando davvero i bicilindrici la facevano da padrone: “All'inizio degli anni 90 arrivò il Super Ténéré per Yamaha, Honda aveva già vinto con l'Africa Twin. I motori più potenti erano i Ducati montati sulle Cagiva, ma la Honda era meglio come sospensioni, come telaio. Ad ogni modo a fine anni 90 ormai il destino dei bicilindrici era segnato”. Troppe dune, troppa navigazione, la gara era cambiata. Prades al tempo era il meccanico di Heinz Kinigadner, insieme diedero il via all'inarrestabile cavalcata che ha portato KTM a dominare la Dakar da fine anni 90 ad oggi. In questo 2019 “Pikolo” assiste Simone Agazzi, che guida una Honda 450 Rally: “Se sali su una moto come questa, su un 450 di oggi, non torneresti indietro mai al bicilindrico. È tutta un'altra cosa, sono moto da 160 chili. Non c'è terreno su cui le puoi battere».
Il bicilindrico insomma ormai è una scelta di nicchia: per regolamento tagliate fuori dalla Dakar, in difficoltà sui terreni tecnici nei confronti delle leggere 450, non sono moto da classifica. Paolo Ceci, che due anni fa era secondo con una (moderna) Africa Twin fino all'ottava tappa, fa eccezione. Ma in generale solo in Africa, solo in una gara come la Eco Race, le bicilindriche sembrano trovare ancora la libertà per esprimersi e gli spazi giusti per regalare nuovi sogni.
Aggiungi un commento