MotoGP interviste - Cecchinello: ecco perché Nakagami va più forte
Quella appena conclusa è stata la migliore stagione del giapponese nella massima categoria: ha conquistato 116 punti e il 10º posto in campionato, ed ha ottenuto la prima pole position della sua carriera in MotoGP, ma per il suo team manager Cecchinello non è stata una sorpresa
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Da tre anni Takaaki Nakagami fa parte del Team LCR Honda, la squadra di Lucio Cecchinello, che lo ha schierato in MotoGP a fianco di Cal Crutchlow su una Honda RC213V. Quella appena conclusa è stata la migliore stagione del giapponese nella massima categoria: ha conquistato 116 punti e il 10º posto in campionato, ed ha ottenuto la prima pole position della sua carriera in MotoGP.
Per Cecchinello, team principal, non è stata una sorpresa.
«Mi aspettavo un miglioramento di Taka perché già nella stagione precedente aveva messo in evidenza un ottimo potenziale. Questo soprattutto in considerazione del fatto che nel 2019 aveva guidato una moto 2018, meno competitiva di quelle nuove. Lo avevamo visto chiaramente nei dati rilevati ed anche guardandolo in pista. C’erano alcuni punti importanti sui quali lavorare quest’anno e un progresso me lo aspettavo, ma non così significativo come invece è stato nella seconda parte della stagione, quando si è dimostrato uno dei piloti più forti della MotoGP».
In quali aspetti Nakagami è migliorato, e in quali deve ancora fare un passo avanti?
«Taka ha capito che c’è una nuova tecnica di guida che bisogna applicare se vuoi essere veloce su una MotoGP, e specialmente con la Honda. Fondamentalmente bisogna cominciare a inclinare la moto con maggiore anticipo mentre ci si inserisce in traiettoria e questo permette al pilota di sfruttare una maggiore superficie di contatto del pneumatico sull’asfalto, dunque di essere più efficace nella fase di decelerazione. Un altro importante progresso è stato nell’aumentare il massimo angolo di inclinazione, cosa che gli ha permesso di girare più stretto e guadagnare tempo.
Per quanto riguarda i miglioramenti che dobbiamo fare in vista dell’anno prossimo, guardando alle opportunità mancate della stagione 2020, credo debba imparare a gestire meglio la pressione. Lo ha già capito e ne ha anche già parlato in un paio di interviste. Sono fiducioso, avverrà con il tempo e con l’aumentare dell’esperienza».
Tu hai corso per molti anni insieme a Nobby Ueda, uno dei piloti giapponesi più competitivi di tutti i tempi. In che cosa i piloti nipponici sono differenti da quelli occidentali?
«Noboru è stato un fantastico compagno di squadra e un grande pilota. Lui, così come gli altri giapponesi della Honda tra la fine degli anni 90 e l’inizio della decade successiva, era un pilota molto aggressivo. Tutti loro lo erano, non avevano paura di niente. Avevano una mentalità simile a quella di un samurai o di un kamikaze. Credo che il punto di forza di un pilota giapponese, in confronto con uno occidentale, fosse che quando i piloti asiatici si focalizzavano su un obiettivo vi si dedicavano completamente. Lo perseguivano con determinazione e quasi sarebbero stati pronti ad uccidersi pur di raggiungerlo. È stata una bella lezione per me. Vedo che Taka è più tranquillo di loro, è più pragmatico ma comunque molto concentrato e determinato. La chiave è proprio la sua determinazione».
Come è il metodo di lavoro di Nakagami? Differente da quello degli altri piloti del paddock?
«Abbiamo lavorato con molti piloti nei 25 anni di storia del team e abbiamo capito che ognuno di loro ha la sua personalità e il suo stile. Nakagami è uno dei piloti più concentrati, spende molto tempo nel box lavorando a stretto contatto con gli ingegneri della squadra e discutendo ogni singolo aspetto che ritiene possa essere migliorato: la posizione di guida, l’aerodinamica, i rapporti del cambio e molti altri piccoli dettagli. Oltre a guidare la moto, passa molto tempo lavorando con la squadra e credo che questo sia molto positivo perché oggigiorno le differenze nei tempi sul giro delle MotoGP sono minime, e solo lavorando in maniera maniacale puoi fare la differenza».
Per Cecchinello, team principal, non è stata una sorpresa.
«Mi aspettavo un miglioramento di Taka perché già nella stagione precedente aveva messo in evidenza un ottimo potenziale. Questo soprattutto in considerazione del fatto che nel 2019 aveva guidato una moto 2018, meno competitiva di quelle nuove. Lo avevamo visto chiaramente nei dati rilevati ed anche guardandolo in pista. C’erano alcuni punti importanti sui quali lavorare quest’anno e un progresso me lo aspettavo, ma non così significativo come invece è stato nella seconda parte della stagione, quando si è dimostrato uno dei piloti più forti della MotoGP».
In quali aspetti Nakagami è migliorato, e in quali deve ancora fare un passo avanti?
«Taka ha capito che c’è una nuova tecnica di guida che bisogna applicare se vuoi essere veloce su una MotoGP, e specialmente con la Honda. Fondamentalmente bisogna cominciare a inclinare la moto con maggiore anticipo mentre ci si inserisce in traiettoria e questo permette al pilota di sfruttare una maggiore superficie di contatto del pneumatico sull’asfalto, dunque di essere più efficace nella fase di decelerazione. Un altro importante progresso è stato nell’aumentare il massimo angolo di inclinazione, cosa che gli ha permesso di girare più stretto e guadagnare tempo.
Per quanto riguarda i miglioramenti che dobbiamo fare in vista dell’anno prossimo, guardando alle opportunità mancate della stagione 2020, credo debba imparare a gestire meglio la pressione. Lo ha già capito e ne ha anche già parlato in un paio di interviste. Sono fiducioso, avverrà con il tempo e con l’aumentare dell’esperienza».
Tu hai corso per molti anni insieme a Nobby Ueda, uno dei piloti giapponesi più competitivi di tutti i tempi. In che cosa i piloti nipponici sono differenti da quelli occidentali?
«Noboru è stato un fantastico compagno di squadra e un grande pilota. Lui, così come gli altri giapponesi della Honda tra la fine degli anni 90 e l’inizio della decade successiva, era un pilota molto aggressivo. Tutti loro lo erano, non avevano paura di niente. Avevano una mentalità simile a quella di un samurai o di un kamikaze. Credo che il punto di forza di un pilota giapponese, in confronto con uno occidentale, fosse che quando i piloti asiatici si focalizzavano su un obiettivo vi si dedicavano completamente. Lo perseguivano con determinazione e quasi sarebbero stati pronti ad uccidersi pur di raggiungerlo. È stata una bella lezione per me. Vedo che Taka è più tranquillo di loro, è più pragmatico ma comunque molto concentrato e determinato. La chiave è proprio la sua determinazione».
Come è il metodo di lavoro di Nakagami? Differente da quello degli altri piloti del paddock?
«Abbiamo lavorato con molti piloti nei 25 anni di storia del team e abbiamo capito che ognuno di loro ha la sua personalità e il suo stile. Nakagami è uno dei piloti più concentrati, spende molto tempo nel box lavorando a stretto contatto con gli ingegneri della squadra e discutendo ogni singolo aspetto che ritiene possa essere migliorato: la posizione di guida, l’aerodinamica, i rapporti del cambio e molti altri piccoli dettagli. Oltre a guidare la moto, passa molto tempo lavorando con la squadra e credo che questo sia molto positivo perché oggigiorno le differenze nei tempi sul giro delle MotoGP sono minime, e solo lavorando in maniera maniacale puoi fare la differenza».
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