Moto Morini 3½, geniale semplicità
La 3½ fu un modello all’avanguardia, capace di prestazioni brillanti, consumi contenuti e ottima guidabilità. Frutto del genio di Franco Lambertini rimase praticamente immutata per oltre un decennio
Il modello 3½ è forse quello che più ha segnato la storia non solo della Moto Morini ma anche di molti motociclisti ad inizio carriera tra la metà degli anni ‘70 e quella degli ‘80. Per tanti la prima moto “vera”, leggera e maneggevole ma con prestazioni di rilievo, tanto che per diversi anni fu la migliore della sua categoria. Diversi i motivi del suo successo, non ultimo il fatto che a quei tempi da 18 fino a 21 anni era consentito guidare moto di cilindrata non superiore a 350 cm³, e quello era anche il limite oltre il quale scattava un sensibile aumento dell’Iva e quindi del prezzo: nel 1973 per una cilindrata compresa fra 351 e 500 era del 12% anziché del 18%, e nel 1977 sarebbe salita al 14% per moto entro i 350 cm³ e al 35% per quelle fra 351 e 500 cm³.
Ecco l'ing Franco Lambertini con il suo progetto "originale"
Fu un grande successo
L’eccellente qualità e costi di acquisto e di gestione contenuti, insieme a una linea piacevole e prestazioni brillanti, furono alla base del successo di una moto che nei tempi migliori venne prodotta in 6000 esemplari l’anno.
L’intuizione fu alla fine degli anni ‘60 in un periodo di grandi cambiamenti: per la Moto Morini con la scomparsa nel 1969 del suo fondatore Alfonso Morini, e per il mondo motociclistico in generale a seguito dell’arrivo delle Case giapponesi con modelli pluricilindrici di grossa (per i tempi) cubatura. Arrivavano le Honda CB 750, 350 e 500, la Kawasaki Z 900, andavano nella stessa direzione le altre Case italiane; la Moto Morini non poteva imbarcarsi in progetti economicamente così impegnativi e si lanciò in quella che allora era una media cilindrata.
A fare la differenza con le concorrenti c'era il geniale bicilindrico a V. Semplice ma con tante soluzioni innovative per il mondo delle moto
Lambertini, un motore in due giorni
L’uomo della Provvidenza fu Franco Lambertini, che aveva lavorato in Ferrari e alla MWM: rispose all’annuncio pubblicato sul quotidiano “Il Resto del Carlino” nel quale l’azienda bolognese cercava un tecnico motorista e dopo il primo colloquio gli venne richiesto di mostrare le sue qualità progettando in due giorni un propulsore con determinate caratteristiche stabilite dall’Ufficio Tecnico. Venne scelto tra gli altri candidati e il primo lavoro affidatogli, nel 1970, fu il potenziamento della Corsano Regolarità, moto da fuoristrada con un palmarès glorioso ma oramai in debito di potenza rispetto alle due tempi della concorrenza. Lambertini progettò una nuova parte termica con criteri automobilistici, impiegando una testa piatta con la camera di combustione ricavata nel pistone, la cosiddetta testa Heron, e condotti ad alta turbolenza, ottenendo lusinghieri risultati.
Il primo lavoro di Lambertini in Morini fu sul motore del Corsaro Regolarità
Un bicilindrico innovativo
Gli stessi concetti furono applicati con successo sul 350 cm³ richiestogli subito dopo dalla proprietà Moto Morini. Il primo bicilindrico della Casa bolognese che fino a quel momento aveva prodotto soltanto monocilindrici al massimo da 250 cm³. Un motore con numerosi elementi di innovazione, in parte derivati dall’esperienza automobilistica di Lambertini. Venne concepito secondo un principio di modularità in modo che dallo stesso progetto fosse possibile estrapolare numerose altre versioni, come avvenne successivamente per le 500 e 250 cm³ bicilindriche, e per le 125 e 250 cm³ monocilindriche. Le fusioni dei carter erano più o meno le stesse ma cambiavano le lavorazioni, e siccome si trattava di un motore a V, per le versioni monocilindriche c’era soltanto il foro per il cilindro anteriore ma non quello posteriore. Lambertini scelse una apertura della V di 72°, ritenuta il miglior compromesso per il contenimento degli ingombri e delle vibrazioni rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere con un V di 90° o un bicilindrico parallelo.
Ecco la Sport prima serie, oggi la versione più ricercata dai collezionisti ma la posizione di guida è scomoda
Soluzioni razionali
Nell’ottica di contenere i costi di produzione, per il cilindro anteriore e quello posteriore venne impiegato lo stesso gruppo termico ruotato di 180°, per cui lo scarico posteriore usciva all’indietro; la distribuzione era a due valvole con aste e bilancieri, e l’albero a camme al centro della V, soluzione preferita alle quattro valvole con albero a camme in testa per motivi di economia.
Non erano gli unici elementi innovativi: i due cilindri raffreddati ad aria vennero tenuti sfalsati sul piano longitudinale in modo che anche quello posteriore venisse investito dal flusso refrigerante, c’erano l’accensione elettronica e il cambio a sei marce, a quel tempo ancora poco diffusi.
La prima serie con freni a tamburo è ancora oggi una moto godibilissima da usare, e la posizione di guida è più comoda che sulla Sport
Mancava solo l’avviamento elettrico
L’avviamento era a pedivella e solo diversi anni dopo sarebbe stato adottato anche quello elettrico, per la verità non troppo efficiente. In realtà Lambertini fin da subito aveva proposto l’idea di avere l’avviamento elettrico, ma la direzione di Morini la bocciò: si pensava che i motociclisti “veri” non l’avrebbero apprezzata perché troppo automobilistica. Invece i motociclisti apprezzarono subito il magico bottoncino, ma ormai era tardi per modificare il motore in modo da predisporre un avviamento elettrico efficiente…
Il debutto nel 1971
Per quanto riguarda la ciclistica venne realizzata una struttura a doppia culla chiusa in tubi d’acciaio, con sospensione posteriore a due ammortizzatori e una classica forcella telescopica. Il primo esemplare della nuova serie venne esposto al salone di Milano del 1971 ed entrò in produzione nel 1973. Era la versione GT, e l’anno successivo, il 1974, fu affiancata dalla Sport, con manubrio basso e sella dotata di rialzo posteriore: 35 CV 8200 giri/minuto per la prima, 39 CV a 8500 giri/minuto la seconda. Velocità massima rispettivamente 166 e oltre 170 km/h. Andava più forte della contemporanea Yamaha 350 bicilindrica due tempi raffreddata ad aria.
I freni erano a tamburo e le ruote a raggi ma nel 1976 quello anteriore venne sostituito da un più efficiente disco Grimeca di 260 mm Ø con pinza a due pistoncini, e con la possibilità di richiedere come optional anche il secondo disco anteriore. L’anno successivo sarebbero arrivate anche le ruote in lega di alluminio, sempre di produzione Grimeca.
Pochissime le evoluzioni nel corso di 10 anni, per lo più estetiche con l'arrivo di un cupolino e successivamente modifiche anche alla coda
Poche modifiche fino al 1983
La Moto Morini 3½ venne prodotta dal 1973 al 1983 senza cambiare più di tanto: vennero adottate pedane arretrate, un diverso serbatoio, fiancate e codino in plastica, il fanale quadrato invece che tondo, nelle ultime versioni anche un cupolino e un accenno di carenatura per la verità non troppo azzeccati, arrivarono il freno a disco posteriore e divenne di serie il secondo anteriore, ma fondamentalmente la 3½ rimase pressoché uguale a se stessa.
Fu sostituita dalla 350 K2 che si differenziava a livello estetico ed aveva qualche cavallo in più ma manteneva la stessa base; l’ultimo atto con l’acquisizione della Moto Morini da parte del Gruppo Cagiva, quando il glorioso motore 350 venne montato su una ciclistica strettamente derivata dalla Cagiva Freccia per una moto denominata Dart. Ma a quel punto la storia era ormai agli sgoccioli.
La K2 aveva una linea appesantita molto anni 80. Oggi è poco richiesta
La Dart era una Cagiva Freccia C9 dotata del motore bicilindrico 350... Oggi è molto richiesta
Anche enduro e custom
Lo stesso motore venne impiegato anche per la versione fuoristrada Kanguro e la custom Excalibur, e fu proprio la Kanguro 350 (qui sotto) a sbarrare la strada alla 500 Turbo. Il progetto di una moto con turbocompressore sviluppato da Lambertini doveva permettere alla bicilindrica Morini di confrontarsi alla pari con le maxi moto giapponesi che alla fine degli anni ’70 viaggiavano verso cilindrate di 900 e 1000 cm³, ma l’azienda poteva portare avanti un solo modello nuovo all’anno e su indicazione dei concessionari fermò la geniale Turbo, che pure aveva riscosso grande successo quando era stata mostrata al Salone di Milano 1981, per lasciare spazio alla enduro, nel segmento che avrebbe dominato gli anni successivi.
Le quotazioni
La Morini costava il giusto e anche oggi le quotazioni restano sempre a portata di mano. Le Sport dei primi anni 70 sono le più ricercate, e possono arrivare a 6.000 euro. Anche la prima serie stradale con freno a tamburo è ricercata e ha quotazioni intorno ai 5.000 euro. I modelli fini anni 70 si trovano tra i 3.000 e i 4.000 euro quelli anni 80 anche meno. Unica eccezione per la Dart che ebbe poco successo ma oggi piace e veleggia oltre i 6.000 euro.