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Vespa 150 VBB, lo scooter della Dolcevita

La Vespa 150 arrivò proprio negli anni della Dolcevita italiana e fu un successo. Montava un motore destinato a mantenersi (quasi) inalterato fino alla PX, era affidabile e la manutenzione ridotta all’osso

Meno conosciuta e blasonata di altre Vespa (come la GS) , la Vespa 150 VBB arriva l’11 ottobre del 1958: giusto in tempo per l'inizio degli anni ruggenti della Dolcevita italiana. Non a caso fu uno dei mezzi scelti dai Paparazzi per rubare le foto della Star in via Veneto e dintorni...

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Esteticamente non colpisce, ma sotto al guscio, il motore è tutto nuovo, instancabile ed alimentato da miscela al 2 anziché al 5%. Un motore che, salvo piccoli accorgimenti tecnici, resterà invariato sino all’ultimo modello di Vespa “tradizionale” prodotto a Pontedera, la PX. 

Un successo scontato ma… serve di più

Prodotta fino ai primi mesi del 1960, la nuova 150 veniva realizzata in cifre notevoli, con 124.040 esemplari in circolazione già nel primo anno. Il successo fu scontato ma,  vista la situazione generale, il nuovo modello sembrò fin da subito aver bisogno di qualcosa in più, soprattutto per rispondere alla doppia concorrenza di Lambretta, che con la serie Li si presentava con uno scooter imponente e rifinito, dotato di ruote da 10" e un cambio a quattro marce, e dell’automobile utilitaria che, col boom economico, iniziava a minacciare il mercato delle due ruote.

Una Vespa “adulta”

Per affrontare queste sfide, Piaggio decise quindi di “tonificare” la Vespa 150 presentando il modello del 1961 che, pur rimanendo sostanzialmente simile a quello prodotto nel biennio 1959-1960, veniva dotata di una serie di perfezionamenti particolarmente interessanti, tra cui il nuovo parafango anteriore dotato di modanatura e, per star dietro a Lambretta, il cambio a 4 rapporti. Più veloce e scattante grazie alla migliore rapportatura, la nuova Vespa, ormai adulta, beneficiava anche di un carburatore con un nuovo comando dello starter, cioè con la valvolina che limitava l'entrata dell'aria per l'avviamento a freddo montata direttamente nel corpo del car­buratore, nonchè di una guarnizione in alluminio alla base del cilindro per evitare i grippaggi che, seppur rari, affliggevano il primo modello. Nuovi erano anche gli avvolgimenti delle bobine per assicurare stabilità all'illuminazione anche a regime di rotazione ridotto così come imposto dal dal Nuovo Codice della Strada, ed il rubinetto della benzina ed il filtro dell'aria, entrambi modificati e migliorati rispetto a quelli montati sulla prima versione. 

La tecnica

Resa più adulta, la Vespa 150 aveva tutto ciò che serviva, meno, forse, le ruote da 10. Era affidabile, economica, leggera aveva una manutenzione ridotta all’osso: Piaggio consigliava il cambio dell'olio della trasmissione ogni 8.000 km così come la pulizia e la registrazione delle puntine. Ogni 4.000 km era invece consigliata la pulizia di testa, pistone e marmitta oltre che la pulizia del filtro aria. Manutenzione che, ad oggi, si riduce ancor di più grazie all’utilizzo di olii sintetici e non minerali. 
Tra i difetti, oltre al ruotino da 8 pollici, un po’ misero, anche l’abitabilità ridotta: in due, col sellino sdoppiato, si stava scomodi…

  • Motore, cambio e frizione: monocilindrico a due tempi orizzontale con raffreddamento ad aria forzata mediante ventola sul volano magnete, cilindro in ghisa, testa in lega di  alluminio, alesaggio per corsa 57x57 mm. Cilindrata 145,45 cm3, a 5,5 CV di potenza a 5.000 giri. Frizione a dischi multipli in bagno d'olio calettata sulla sinistra dell'albero motore, cambio a 4 marce con  comando a manopola girevole. Prestazioni: velocità massima 85 km/h; consumo (norme CUNA) 2,2 litri per 100 km. 
     
  • Telaio, sospensioni, freni e ruote: monoscocca portante in lamiera d'acciaio stampata e saldata. Sospensioni: anteriore a levetta oscillante con interposizione di molla elicoidale conica e ammortizzatore idraulico a doppio effetto e, al posteriore, gruppo motore oscillante con molla elicoidale biconica e ammor­tizzatore idraulico a doppio effetto, coassiali. Freni: a tamburo, anteriore da 125 mm e larghezza 17 mm, post da 127 mm e larghezza 22 mm. Ruote a sbalzo intercambia­bili con cerchi scomponibili in lamiera da 8”. Il tutto per un peso di 85 kg. 

Dettagli che non sono dettagli


 

  • Vano porta oggetti: occupa interamente lo spazio del cofano sinistro, offrendo così ampio margine per stivare numerosi oggetti. Al suo interno è collocata la batteria, ora sostituita da un modello al gel moderno e più affidabile, utilizzato esclusivamente per alimentare le luci di posizione e per azionare il clacson a motore spento, in linea con il Nuovo Codice della Strada del 1959.
     
  • Sgancio cofano: lo sgancio rapido a galletto del cofano motore viene introdotto la prima volta sulla 125 del 1957 siglata VNA1T. È un particolare che rimarrà invariato fino alla prima serie delle PX compresa.
     
  • Manubrio e strumentazione: tutto è concepito per garantire la massima semplicità d’uso. La manopola del cambio, girevole e collegata solidalmente alla leva della frizione, risulta morbida e permette innesti precisi, a condizione che i cavi del cambio siano regolati a dovere. Il tachimetro a ventaglio, introdotto sulla 150 con il nuovo motore al 2%, si distingue per un contachilometri totalizzatore separato, visibile attraverso una finestrella, tipica della 150 a tre marce. Inoltre, il devia luci cromato integra anche il pulsante di massa.
     
  • Ruota di scorta: Piaggio proponeva due soluzioni per l’alloggiamento della ruota di scorta, tipiche di questa serie di Vespa. Oltre a quella fissata tramite una staffa sul piantone di sterzo, situata dietro lo scudo, era disponibile anche un apposito supporto posteriore, avvitabile al portapacchi. Quest’ultima opzione veniva quasi sempre preferita, poiché lasciava maggiore spazio per le gambe del pilota, migliorando così il comfort.

Che numeri!

Numeri alla mano, la 150 fu, nelle due versioni prodotte da Piaggio, cioè la VBB1T e la VBB2T, un vero successo. Più modesta rispetto alle lussuose e veloci G.S, “sembra” fare la parte del brutto anatroccolo. Sembra, appunto, perché in realtà non fu così: 145.000 esemplari usciti dalle linee di mon­taggio in poco più di due anni di produzione, ai quali si sommano gli altri 127.260 esemplari della VBB2T, che resterà in listino fino al 1965.

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