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Honda XLV750R, il flop che ha aperto la strada all'Africa Twin

Presentata nel 1982 al Salone di Parigi, la XLV750R avrebbe dovuto essere la nuova regina delle dakariane. In realtà fu un insuccesso, ecco perché

Honda XLV750R

Nel 1982, Honda svelò al "Salon de la Moto" di Parigi un modello destinato a lasciare il segno (vedremo il perché) nella storia delle enduro bicilindriche. Pensata per contrastare il successo della BMW R80 GS, la XLV750R si ispirava direttamente alle leggendarie dakariane che, in quegli anni, accendevano l'immaginario degli appassionati. 

Successo di pubblico al salone di PArigi per la XLV che sfoggiava la livrea della Honda Dakariane

Nonostante i tanti punti di forza, dobbiamo purtroppo anticiparlo, l’XLV750 non convinse del tutto: alcuni la giudicarono pesante e difficile da manovrare, altre una “stradale vestita da enduro” ed altri ancora - cioè i colleghi tedeschi di Motorrad, forse “gelosi” della loro GS, nient’altro che “un puro oggetto da esposizione”. Più o meno fortuna, va detto, l’XLV750 ebbe in ogni caso un merito non da poco: quello di gettare le basi per la nascita dell’Africa Twin. Ecco la sua storia. 

Dalla "Limited Edition" alla RD01

Il primo lotto, destinato esclusivamente al mercato giapponese, fu prodotto nel 1983 in 500 unità sotto la denominazione "Limited Edition". Questi esemplari si distinguevano per una targhetta dorata sul telaio, posizionata sotto la sella blu. A parte targhetta e disco anteriore non forato, la meccanica rimase praticamente identica a quella dei successivi modelli RD01, quelli cioè destinati all'Europa a partire da luglio dello stesso anno. 

Il motore

Il cuore della XLV750R era un bicilindrico a V di 45° da 749 cm³, raffreddato ad aria/olio e alimentato da due carburatori Keihin da 36 mm. Il bicilindrico Honda era raffinato: aveva la distribuzione a tre valvole per cilindro con punterie idrauliche (eliminando così la necessità di regolare  il gioco delle valvole), doppia accensione e un ingegnoso sistema di fasatura delle manovelle dell'albero motore che limitava le vibrazioni, senza quindi la necessità di un contralbero. La trasmissione era a cardano, soluzione inusuale per un’enduro dell’epoca, a tutto vantaggio della minore manutenzione rispetto alla classica catena. Infine la potenza dichiarata, che era di circa 55 CV a 7.000 giri/min, con una coppia “ampia” e ben distribuita nella fascia medio-bassa ed una velocità massima che sfiorava i 170 km/h.

Ecco una trasapenza del motore bicilindrico montato sulla XLV

Ciclistica ed altre soluzioni tecniche

Il telaio a doppia culla era realizzato con tubi a sezione rettangolare, rigido ma leggero. Integrava al suo interno sia il serbatoio dell'olio che la cassa del filtro dell'aria, così da ottimizzare la distribuzione dei pesi. Le sospensioni prevedevano invece una forcella telescopica anteriore con escursione di 200 mm e sistema Pro-Link al posteriore, con un ammortizzatore da 180 mm di corsa. L’impianto frenante montava all’anteriore un disco da 276 mm (forato nelle versioni destinate all’Europa) con pinza a doppio pistoncino, mentre al posteriore c'era un tamburo. I cerchi erano da enduro, cioè da 21” all’anteriore e da 17” al posteriore, calzati da pneumatici da 90/90 e 130/80. Il tutto per un peso a secco di 195 kg, che saliva a 220 kg con il pieno di carburante, contenuto dal gigantesco serbatoio da 19,5 litri.

Ulteriori evoluzioni

Nel 1985 arrivò la versione XLV750R RF, che segnò il debutto del modello anche in Gran Bretagna e Australia. Questa nuova variante presentava lievi aggiornamenti all’alimentazione e un ammortizzatore regolabile, già introdotto sulle ultime versioni RD. Le colorazioni si fecero più sobrie: oltre alla classica livrea rosso-bianco-blu, la Casa nipponica introdusse infatti combinazioni su base nera con dettagli in rosso o blu metallizzato. Più rara - quella qui sotto - la versione nero/argento, con il motore verniciato di nero ed i cerchi dorati.

L’uscita di scena: arriva l'Africa Twin

Piacque, sì, ma non abbastanza. Nonostante l’originalità e la pregevolezza tecnica, a non convincere furono principalmente i problemi di raffreddamento (per 750 cm3 la sola aria era insufficiente), il peso, eccessivo se considerato anche il baricentro alto, e le doti fuoristradistiche, appena sufficienti, mentre il mercato allora pretendeva modelli a proprio agio anche sugli sterrati impegnativi. A tutto questo vanno anche aggiunti dei problemi di lubrificazioni sui primi modelli. E così, dopo circa 10.000 unità (tutte vendute tra Europa, Giappone ed Australia), la produzione si fermò alla fine del 1986. Lo “spirito pionieristico” della XLV750R gettò però le basi per la futura Africa Twin, che sarebbe arrivata solo un anno dopo, raccogliendone l’eredità e trasformandola in un vero e proprio successo.


 

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