Distributori di benzina: agevolare la concorrenza per abbassare i prezzi
Oltre alle accise, sul prezzo carburante influisce anche il numero di pompe di benzina sul territorio: Agcm e Ue chiedono una drastica riduzione e l’ingresso di distributori automatizzati, ma quasi 100mila operatori rischiano il posto
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Politica e trasporti
Rivoluzione alle porte?
Il costo del petrolio al barile sale e scende ma, a quanto pare, in Italia il prezzo del carburante rimane comunque più alto rispetto a molti paesi europei.
Certo, che le numerose accise (tasse straordinarie imposte dal Governo per far fronte a disastri naturali, molte di queste oggi totalmente obsolete) pesino sui nostri listini è fatto conosciuto ed assodato, ma non unico responsabile di quei 6 centesimi di troppo stimati della società di consulenza su rilevazioni della Banca d’Italia. Qualche problema ci sarebbe infatti anche con le pompe di benzina, troppe e mal distribuite sul territorio. Con l'obiettivo dichiarato di agevolare la concorrenza infatti, non solo Agcm, ma anche l’Ue, hanno chiesto ai nostri governi di ridurre i prezzi carburante tagliando in primis i numerosi distributori. Nella partita, giocano un ruolo importante i cosiddetti “ghost”, impianti automatizzati, che non vanno confusi con il classico self service (semplice integrazione del modello servito), funzionanti 24 ore su 24 e che non richiedono la presenza di alcun operatore.
In concreto: basandosi sullo studio realizzato da Nomisma Energia su incarico dell'Unione petrolifera, l’obbiettivo sarebbe quello di portare a quota 15.385 i punti di distribuzione rispetto agli attuali 21.800 (ultimo dato aggiornato), il doppio rispetto a Germania e Francia.
Con a rischio quasi 100mila operatori, è chiaro che le associazioni di categoria contestino l'ingresso del modello "ghost" in Italia, intravedendo un concreto beneficio solo per quelle "società petrolifere verticalmente integrate" che governano la rete nazionale. Il mercato italiano è infatti, lo riporta l’Antitrust, caratterizzato da una "struttura fortemente oligopolistica" concentrata nelle mani di 7 principali società che detengono complessivamente il 51,5% del mercato, più un altro 38,7% grazie a terzi convenzionati (coloro cioè che espongono il marchio di una impresa petrolifera con cui hanno stipulato un contratto di fornitura esclusiva), lasciando così agli “indipendenti”, solo il 9,8%.
Il processo di modernizzazione è comunque soltanto all’inizio, ricorda Agcm, frenato per di più dalla complicata burocrazia del paese che impedisce ai nuovi operatori (soprattutto all “pompe bianche”) di entrare nel mercato.
Il costo del petrolio al barile sale e scende ma, a quanto pare, in Italia il prezzo del carburante rimane comunque più alto rispetto a molti paesi europei.
Certo, che le numerose accise (tasse straordinarie imposte dal Governo per far fronte a disastri naturali, molte di queste oggi totalmente obsolete) pesino sui nostri listini è fatto conosciuto ed assodato, ma non unico responsabile di quei 6 centesimi di troppo stimati della società di consulenza su rilevazioni della Banca d’Italia. Qualche problema ci sarebbe infatti anche con le pompe di benzina, troppe e mal distribuite sul territorio. Con l'obiettivo dichiarato di agevolare la concorrenza infatti, non solo Agcm, ma anche l’Ue, hanno chiesto ai nostri governi di ridurre i prezzi carburante tagliando in primis i numerosi distributori. Nella partita, giocano un ruolo importante i cosiddetti “ghost”, impianti automatizzati, che non vanno confusi con il classico self service (semplice integrazione del modello servito), funzionanti 24 ore su 24 e che non richiedono la presenza di alcun operatore.
In concreto: basandosi sullo studio realizzato da Nomisma Energia su incarico dell'Unione petrolifera, l’obbiettivo sarebbe quello di portare a quota 15.385 i punti di distribuzione rispetto agli attuali 21.800 (ultimo dato aggiornato), il doppio rispetto a Germania e Francia.
Con a rischio quasi 100mila operatori, è chiaro che le associazioni di categoria contestino l'ingresso del modello "ghost" in Italia, intravedendo un concreto beneficio solo per quelle "società petrolifere verticalmente integrate" che governano la rete nazionale. Il mercato italiano è infatti, lo riporta l’Antitrust, caratterizzato da una "struttura fortemente oligopolistica" concentrata nelle mani di 7 principali società che detengono complessivamente il 51,5% del mercato, più un altro 38,7% grazie a terzi convenzionati (coloro cioè che espongono il marchio di una impresa petrolifera con cui hanno stipulato un contratto di fornitura esclusiva), lasciando così agli “indipendenti”, solo il 9,8%.
Il processo di modernizzazione è comunque soltanto all’inizio, ricorda Agcm, frenato per di più dalla complicata burocrazia del paese che impedisce ai nuovi operatori (soprattutto all “pompe bianche”) di entrare nel mercato.
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