Intervista esclusiva a Davide Brivio: “Joan Mir mi ha sorpreso sin dalla prima chiacchierata"
Dopo la conquista del titolo mondiale MotoGP 2020 da parte di Joan Mir su GSX-RR, il team manager Davide Brivio ci racconta in esclusiva come è iniziata l'esperienza Suzuki, perché ha voluto nel team il nuovo campione del mondo, cosa si aspetta dagli avversari (Marquez in testa) per il prossimo anno. E di Valentino Rossi per la prima volta in un team privato, Brivio dice che...
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"Stare in un team satellite potrebbe aiutare Valentino Rossi"
A 20 anni di distanza dall'ultimo titolo, Suzuki è tornata al vertice nella categoria regina grazie al 23enne Joan Mir: al suo secondo anno alla guida della GSX-RR, il pilota maiorchino è riuscito nell’impresa di sbaragliare la concorrenza e diventare il nuovo campione del mondo di MotoGP.
Abbiamo avuto l’opportunità di chiacchierare con il team manager Davide Brivio, “padre” dell’intero progetto, a pochi giorni dalla conquista del titolo. Brivio è uno dei manager più esperti e apprezzati della MotoGP: approdato in Yamaha nel 1991, ha lavorato con la casa di Iwata per ben 19 anni ricoprendo ruoli importanti, tra cui la direzione della scuderia ufficiale nel mondiale Superbike (gestendo piloti come Noriyuki Haga) ma soprattutto la direzione e il ruolo di team manager della squadra di Valentino Rossi in MotoGP. Fu proprio Brivio a portare Rossi in Yamaha, facendogli abbandonare Honda. Quando Rossi lasciò Yamaha nel 2010 Brivio lo seguì, passando in VR46 e aiutando il campione di Tavullia a fare crescere la propria azienda. Poi nel 2012 arrivò Suzuki...
Ecco il suo racconto di questi ultimi anni entusiamanti.
“Suzuki inizialmente mi aveva contattato per sapere se Valentino poteva essere interessato a correre con loro, ma lui non lo era. Poi abbiamo continuato a parlare e alla fine abbiamo fatto un colloquio. Non ero l’unico candidato (in verità, non ho mai capito chi fossero gli altri), ma tutto è andato bene e mi hanno scelto. Quando ho cominciato non esisteva più la squadra, la struttura. In Giappone stavano sviluppando la nuova moto con un motore 4 in linea, dopo aver corso per tanti anni col V4. Mentre loro finivano di progettare la moto, noi facevamo la "lista della spesa", cioè l'elenco di chi serviva per fare un team vincente. È stato bellissimo, una bella esperienza creare tutto da zero. Lo rifarei anche domani”.
A 20 anni di distanza dall'ultimo titolo, Suzuki è tornata al vertice nella categoria regina grazie al 23enne Joan Mir: al suo secondo anno alla guida della GSX-RR, il pilota maiorchino è riuscito nell’impresa di sbaragliare la concorrenza e diventare il nuovo campione del mondo di MotoGP.
Abbiamo avuto l’opportunità di chiacchierare con il team manager Davide Brivio, “padre” dell’intero progetto, a pochi giorni dalla conquista del titolo. Brivio è uno dei manager più esperti e apprezzati della MotoGP: approdato in Yamaha nel 1991, ha lavorato con la casa di Iwata per ben 19 anni ricoprendo ruoli importanti, tra cui la direzione della scuderia ufficiale nel mondiale Superbike (gestendo piloti come Noriyuki Haga) ma soprattutto la direzione e il ruolo di team manager della squadra di Valentino Rossi in MotoGP. Fu proprio Brivio a portare Rossi in Yamaha, facendogli abbandonare Honda. Quando Rossi lasciò Yamaha nel 2010 Brivio lo seguì, passando in VR46 e aiutando il campione di Tavullia a fare crescere la propria azienda. Poi nel 2012 arrivò Suzuki...
Ecco il suo racconto di questi ultimi anni entusiamanti.
“Suzuki inizialmente mi aveva contattato per sapere se Valentino poteva essere interessato a correre con loro, ma lui non lo era. Poi abbiamo continuato a parlare e alla fine abbiamo fatto un colloquio. Non ero l’unico candidato (in verità, non ho mai capito chi fossero gli altri), ma tutto è andato bene e mi hanno scelto. Quando ho cominciato non esisteva più la squadra, la struttura. In Giappone stavano sviluppando la nuova moto con un motore 4 in linea, dopo aver corso per tanti anni col V4. Mentre loro finivano di progettare la moto, noi facevamo la "lista della spesa", cioè l'elenco di chi serviva per fare un team vincente. È stato bellissimo, una bella esperienza creare tutto da zero. Lo rifarei anche domani”.
Quando avete portato in pista la moto per la prima volta?
“C'era un primo prototipo che girava già durante il 2012 in Giappone, ma il prototipo definitivo ha visto la luce l’anno successivo. Ad aprile 2013 c’è stato un test iniziale “shakedown” sulla pista di Motegi, poi il primo vero test è stato a Barcellona in giugno, il lunedì dopo il Gran Premio. Eravamo entrati in circuito domenica sera, ricordo che avevamo fatto le 3 del mattino perché la moto non funzionava bene, c’erano problemi elettrici, poi abbiamo girato con De Puniet. Da lì ci siamo spostati ad Aragon”.
Il debutto però è avvenuto nel 2015.
“L’idea originaria era di arrivare in MotoGP nel 2014, poi proprio alla vigilia del test di Barcellona, ci venne comunicato che saremmo entrati solo nel 2015, per prenderci un anno in più e nel frattempo sviluppare l’elettronica sulla nuova centralina Marelli”.
“La prima gara è stata come ‘wild card’ con Randy De Puniet a Valencia 2014, cioè l’ultima del campionato, ed è stato un disastro. Come ‘wild card’ si hanno a disposizione tre motori punzonati, e tra venerdì e sabato se ne ruppero due. C’era un problema elettronico che causava le rotture, quindi la domenica mattina avevamo solo un ultimo motore. Se si fosse rotto nel warm up saremmo dovuti partire dalla pit lane usando il quarto”.
Tra Mir e Rins ci si aspettava che il campionato lo vincesse Rins, no?
“Rins quest’anno si è presentato davvero forte, anche mentalmente, ha fatto una bella preparazione invernale. Purtroppo l’incidente del sabato a Jerez ha cambiato il suo risultato della stagione, perché poi è stata una rincorsa alla guarigione e al ritrovare la competitività.
Da Joan mi aspettavo più che altro qualche exploit, qualche bella gara, cominciare a dare dei segnali del talento che ha”.
Come mai avevi scelto Mir per affiancare Rins?
“In Moto3 il primo anno ha fatto un po’ di fatica, ma ha vinto una gara. Il secondo anno ha vinto il mondiale con dieci vittorie e lo si vedeva guidare bene, dava l’idea di avere qualcosa di speciale. Così abbiamo pensato a lui.
A differenza di quello che si fa di solito, ho voluto parlare direttamente con lui, guardarlo negli occhi e vedere che tipo era. La prima chiacchierata mi ha davvero sorpreso: era un ragazzo così giovane, 21 anni, con poca esperienza, ma aveva le idee molto chiare su quello che voleva. Poi mi ha detto che voleva correre con la Suzuki in MotoGP... a quel punto ha conquistato il cuore”.
In ottica 2021 su cosa concentrerete lo sviluppo, considerando il blocco dei motori?
“Dovremo lavorare sulla ciclistica, sul telaio. Proveremo un’evoluzione del telaio e valuteremo se sarà migliore. E poi ci sono vari particolari su cui continuiamo a lavorare, tipo il forcellone, combinato anche in modo diverso, la frizione, il cambio, se si possono fare dei miglioramenti. Lavoreremo anche un po’ sull’aerodinamica e cercheremo sempre di ragionare anche sugli aspetti organizzativi da migliorare, su come lavorano gli ingegneri, su come analizzare le informazioni che abbiamo, per migliorare anche il nostro sistema di lavoro”.
E il team satellite di cui si parla da tempo? Arriverà nel 2022?
“Noi che siamo in pista vorremmo realizzare questa cosa, perché abbiamo bisogno di maggiori informazioni. Per esempio l’ultima gara si è disputata a Portimao, che era una pista nuova. Avevamo a disposizione quattro gomme anteriori e posteriori e non siamo riusciti a provarle bene tutte, se avessimo avuto quattro moto in pista avremmo avuto maggiori dati e informazioni. Noi lo vorremmo, ma dobbiamo avere l’approvazione dal management in Giappone. Se ne riparlerà nei primi mesi del prossimo anno”.
Nel 2021 ci saranno tante coppie temibili in pista: Marquez in Honda, Quartararo in Yamaha ufficiale, Miller in Ducati, cosa ti aspetti da loro?
“Innanzitutto speriamo che torni Marquez e che sia in forma come al solito. Credo che quando tornerà troverà una generazione di giovani piloti ringalluzziti pronti a sfidarlo. Quest’anno hanno tutti acquisito maggiore fiducia nei loro mezzi, in nove piloti hanno vinto una gara. L’anno prossimo vorranno verificare quale sarà il loro livello rispetto a Marquez. Chi non ha vinto vorrà rifarsi. Sarà un campionato molto bello. Penso che chi ha fatto bene quest’anno farà molto bene anche l’anno prossimo, chi è rimasto deluso cercherà di rimediare. Vedremo otto o dieci piloti in grado di lottare per la vittoria o il podio”.
Se devi puntare su due, oltre ai tuoi, chi vedi più competitivo nel binomio moto-piloti?
“Escluso Marquez, sulla carta la più forte è la coppia Yamaha, cioè Quartararo e Vinales. Però in questi anni sono stati soggetti a molti alti e bassi. In Ducati, Miller è cresciuto molto nel finale di stagione, se continua così può essere uno ostico, è diventato molto regolare. Bagnaia è pronto a esplodere. Morbidelli non ha pressione perché è in un team satellite, Yamaha non ha puntato su di lui e cercherà ancora di fare il tranello a tutti quanti. Mi aspetto una bella stagione. Tutti cercheranno di sfidare subito Marquez, se non entrerà subito ci sarà una bella battaglia tra tutti gli altri”.
Ora che Valentino Rossi sarà nel team satellite Yamaha, cosa cambierà per lui?
“Penso che farà meglio. Nel team satellite tutto è più semplice: hai meno pressioni e puoi pensare di più a sistemare la tua moto, magari con un pochino più di libertà. Potrebbe trovare una situazione più serena e rilassata, chissà, potrebbe dare anche il meglio di sé in questa situazione”.
Tra l’altro con un “co-pilota” Franco Morbidelli che ha fatto crescere lui.
“Questa sarà la cosa più divertente. Credo che si aiuteranno in modo molto leale e genuino, poi in pista saranno botte, ma sempre nel senso sportivo del termine e correttamente. Credo sarà un bell’anno, si divertiranno tutti e due”.
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