Fase 2, urgente riaprire negozi e ciclofficine
Le istituzioni sembrano affidarsi alla mobilità a pedali con diversi provvedimenti a favore delle bici per garantire livelli di traffico sostenibili, ma dimenticano di autorizzare la riapertura dei rivenditori e dei riparatori. Una contraddizione che rischia di rendere inefficaci le misure per agevolare gli spostamenti con i cicli e che penalizza coloro che lavorano con le due ruote
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Green Planet
La pressione di Ancma
Per la Fase 2 Governo e molte amministrazioni comunali puntano sulle biciclette per evitare la congestione dovuta al previsto aumento dell’uso dell’auto privata. Per favorire gli spostamenti a pedali si prevedono diversi interventi, quali incentivi per l’acquisto di bici elettriche e la realizzazione di reti ciclabili d’emergenza per rendere sicuri gli spostamenti. Unico provvedimento a mancare è la norma che consente la riapertura di negozi e delle ciclofficine. Una "dimenticanza" che rischia di vanificare l’intero piano per agevolare la mobilità a pedali. Con gli oltre 2.500 negozi italiani chiusi è difficile rendere concreto l’impiego del bonus di 500 euro per comprare le e-bike in fase di approvazione da parte dell’esecutivo. E diventa impossibile anche di dotarsi di quei dispositivi di sicurezza tanto importanti, come caschi, luci, pettorine rifrangenti o sistemi antifurto. Non solo. La riapertura dovrebbe avvenire in anticipo rispetto all’entrata in vigore dell’agevolazione poiché dopo due mesi di stop forzato i rivenditori devono riorganizzare l’attività e, soprattutto, adempiere alle prevedibili disposizioni che saranno emanate per garantire le necessarie misure di sicurezza contro il rischio di contagio. Ancora più critica è la posizione di Ancma (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), delle associazioni del settore del ciclo e di alcune imprese del comparto, come Bosch, sul divieto di apertura dei riparatori di biciclette. Realtà concordi nel chiedere da subito la piena operatività delle strutture per garantire ai ciclisti di recarsi al lavoro in bici, mezzo che fa bene alla salute, rafforza il sistema immunitario e garantisce l’adeguata distanza fisica per evitare contagi. Ancora più grave, sostengono, è che la chiusura obbligata ha costretto alcune persone, come i rider, che utilizzano le due ruote per lavoro a dovere rinunciare all’attività per semplici problemi meccanici come una foratura. Inoltre, essendo la bici un mezzo stagionale, la chiusura a marzo ha impedito a molti di fare la tradizione manutenzione ordinaria, particolarmente importante per le e-bike, prima di primavera con la conseguenza che anche molti possessori di cicli muscolari ed elettrici si ritrovano appiedati. Una situazione rimasta, di fatto, quasi inalterata malgrado le pressioni delle associazioni. La più attiva, l’Ancma, ha interpellato il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) per fare inserire le ciclofficine nell’elenco delle attività essenziali che possono rimanere aperte. La risposta informale dei responsabili del ministero ha concesso qualche spiraglio sulle riaperture senza, però, risolvere la questione. La soluzione ipotizzata dagli uomini del MISE, infatti, è stata di demandare alle prefetture l’autorizzazione alla riapertura con l’esito di intasare di richieste le stesse. L’effetto è l’invio di molte risposte negative dovute alla difficoltà di smaltire le domande e di verificare l’esistenza dei requisiti di sicurezza necessari per dare il consenso a rialzare le saracinesche.
Per la Fase 2 Governo e molte amministrazioni comunali puntano sulle biciclette per evitare la congestione dovuta al previsto aumento dell’uso dell’auto privata. Per favorire gli spostamenti a pedali si prevedono diversi interventi, quali incentivi per l’acquisto di bici elettriche e la realizzazione di reti ciclabili d’emergenza per rendere sicuri gli spostamenti. Unico provvedimento a mancare è la norma che consente la riapertura di negozi e delle ciclofficine. Una "dimenticanza" che rischia di vanificare l’intero piano per agevolare la mobilità a pedali. Con gli oltre 2.500 negozi italiani chiusi è difficile rendere concreto l’impiego del bonus di 500 euro per comprare le e-bike in fase di approvazione da parte dell’esecutivo. E diventa impossibile anche di dotarsi di quei dispositivi di sicurezza tanto importanti, come caschi, luci, pettorine rifrangenti o sistemi antifurto. Non solo. La riapertura dovrebbe avvenire in anticipo rispetto all’entrata in vigore dell’agevolazione poiché dopo due mesi di stop forzato i rivenditori devono riorganizzare l’attività e, soprattutto, adempiere alle prevedibili disposizioni che saranno emanate per garantire le necessarie misure di sicurezza contro il rischio di contagio. Ancora più critica è la posizione di Ancma (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), delle associazioni del settore del ciclo e di alcune imprese del comparto, come Bosch, sul divieto di apertura dei riparatori di biciclette. Realtà concordi nel chiedere da subito la piena operatività delle strutture per garantire ai ciclisti di recarsi al lavoro in bici, mezzo che fa bene alla salute, rafforza il sistema immunitario e garantisce l’adeguata distanza fisica per evitare contagi. Ancora più grave, sostengono, è che la chiusura obbligata ha costretto alcune persone, come i rider, che utilizzano le due ruote per lavoro a dovere rinunciare all’attività per semplici problemi meccanici come una foratura. Inoltre, essendo la bici un mezzo stagionale, la chiusura a marzo ha impedito a molti di fare la tradizione manutenzione ordinaria, particolarmente importante per le e-bike, prima di primavera con la conseguenza che anche molti possessori di cicli muscolari ed elettrici si ritrovano appiedati. Una situazione rimasta, di fatto, quasi inalterata malgrado le pressioni delle associazioni. La più attiva, l’Ancma, ha interpellato il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) per fare inserire le ciclofficine nell’elenco delle attività essenziali che possono rimanere aperte. La risposta informale dei responsabili del ministero ha concesso qualche spiraglio sulle riaperture senza, però, risolvere la questione. La soluzione ipotizzata dagli uomini del MISE, infatti, è stata di demandare alle prefetture l’autorizzazione alla riapertura con l’esito di intasare di richieste le stesse. L’effetto è l’invio di molte risposte negative dovute alla difficoltà di smaltire le domande e di verificare l’esistenza dei requisiti di sicurezza necessari per dare il consenso a rialzare le saracinesche.
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