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Chi ha il coraggio di cambiare? Lawson e Rossi, campioni senza eguali

Solo il Dottore e il californiano sono stati capaci di cambiare e vincere in classe regina consecutivamente con due moto diverse. Stoner è stato l'ultimo iridato a festeggiare il cambio di marca, nel presente nessuno se la sente di rischiare. Cucirsi la moto addosso è un'esigenza di tutti i top rider, per essere competitivi servono tempo e un team factory alle spalle
Il rinnovo di Joan Mir per la Suzuki è il quarto accordo del 2020 che va a prolungare i contratti già in essere dopo Vinales, Marquez e Rins. Se si aggiunge Quartararo, che non si apresta a cambiare marchio né moto, ma solo team, il panorama è ancora più stabile. A ben guardare negli ultimi anni la tendenza non fa quasi eccezione, e tra i top rider l'unico a cambiare è stato Jorge Lorenzo nel 2017: quando il maiorchino è andato in Ducati ha dato il via a un giro di valzer che poi ha coinvolto anche  Vinales e Iannone, che sono migrati in Yamaha e Suzuki. Ma è sempre stato così? Facciamo il punto con il nostro Guido Sassi.

Tutti fermi, o quasi
Nella MotoGP di oggi ci sono sei piloti che hanno già vinto almeno un gran premio in classe regina che non hanno ancora firmato un contratto per il 2021 e quattro di loro sono italiani: Rossi, Dovizioso, Petrucci e Iannone (a cui vanno aggiunti Crutchlow e Miller). Difficile immaginare grandi movimenti, il panorama generale sembra destinato a rimanere statico con l'unica eccezione importante di un possibile (ma non probabile) passaggio di Dovizioso in KTM.
Nonostante la presenza di sei marchi diversi in MotoGP, il numero più alto di sempre, i passaggi dei top rider sono ormai sporadici, un immobilismo giustificato dalla ricerca delle prestazioni nei dettagli. Per andare davvero forte in classe regina oggi bisogna cucirsi la moto addosso, un lavoro che si può fare solo all'interno di un team factory e in un arco di tempo sufficiente. Anche per questo motivo i contratti hanno preso ad avere una scadenza biennale: correre un solo anno per un costruttore non permette al pilota di influire sul progetto.

Una questione di marca
La fedeltà dei piloti al marchio comunque si basa su una buona tradizione, particolarmente seguita nell'era d'oro degli americani: Roberts, Rainey, Schwantz, lo stesso Spencer - se si escludono gli anni del declino- hanno corso per un solo marchio. Ma anche gli australiani Gardner e Doohan hanno corso solo per una costruttore, vincendo sempre in sella alla NSR ufficiale. L'unica vera eccezione di quel periodo – tra i piloti capaci di vincere il campionato del mondo- è stata incarnata da Eddie Lawson. Il californiano arrivò in Honda da campione in carica, aveva già vinto tre titoli in Yamaha, ma riuscì a vincere il campionato al primo tentativo. Nessuno era riuscito prima di lui nel back to back in classe regina e dopo di lui l'unico a farcela è stato un certo Valentino Rossi.

La grande impresa
The Doctor deve la diffusione planetaria di uno dei suoi più celebri soprannomi anche all'impresa che lo ha visto protagonista nel 2004, quando insieme ai tecnici Yamaha rivoltò la M1 come un calzino, fino a farla diventare una moto vincente (nelle sue mani). Rossi veniva dalla Honda e rispetto a Lawson aveva fatto il percorso inverso. Il suo passaggio di marca fu più vincente persino rispetto a quello di Giacomo Agostini, a cui riuscì la doppietta mondiale con Mv Agusta e Yamaha, ma consecutivamente solo in 350. Mino riuscì comunque a vincere anche in 500 con la casa dei tre diapason, ma fu più che altro il sigillo su una carriera straordinaria.

Gli altri
Dopo Rossi, ad avere “il coraggio” di cambiare cavallo sono stati solo Stoner e Lorenzo, almeno tra i campioni del mondo. L'australiano il mondiale lo ha vinto anche con Honda, per Jorge invece la Ducati non è stata il punto di partenza, ma una scommessa di passaggio. Tre appena le gare conquistate in un biennio tutto sommato deludente, rispetto a obiettivi iniziali e a un ingaggio da 25 milioni di euro. Imprese come quelle celebrate sopra sono sempre più rare, e persino un talento come Marquez ha ben pensato di non assumersi il rischio del cambiamento. Le scelte di Lawson e Rossi furono frutto anche di caratteri molto diversi ma ugualmente estrosi, se Marc in futuro ripeterà quel tipo di percorso - dopo il 2024, data di scadenza del suo nuovo accordo con Honda- è facile immagine una scelta più simile a quella di Agostini.
E Dovizioso? Non ha il curriculum dei piloti sopra citati, ma quello che potrebbe far muovere l'unico pilota veramente vincente rimasto sul mercato potrebbe essere la sfida tecnica. Il progetto di Ktm è per certi versi intrigante, ma con un 2020 così corto come quello che si prospetta, rimane anche una scelta molto ricca di incognite. L'aspetto economico è poi tutto da valutare, in un mercato stravolto dagli effetti del Coronavirus.
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