MotoGP 2019, Marquez: “Non esiste il limite, ce lo poniamo da soli”
MotoGP news – Intervistato da DAZN, Marc Marquez ha raccontato alcuni aspetti della sua carriera da pilota motociclista. Lo spagnolo ha commentato la vittoria del suo primo titolo MotoGP, ha parlato delle cadute, degli infortuni e del suo particolare senso del limite
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"A nessuno piace cadere"
Un documentario su Marc Marquez è andato in onda sul canale DAZN che da quest’anno trasmette il Motomondiale in Spagna. Lo spagnolo ha raccontato diversi aspetti della sua vita e della sua carriera, tra cui il suo primo titolo in MotoGP. Infatti nel 2013 riesce nell’impresa di vincere il titolo iridato della classe regina nel suo anno di debutto e ha raccontato: “Il fatto di essere un debuttante mi ha aiutato molto a vincere perché non avevo pressione. Valeva tutto. Per me non cambiavano molto le cose tra essere campione o meno. Nella mia testa c’è solo vincere o perdere, bianco o nero. Non esiste il grigio”. In questo sport spesso si parla tanto dell’aggressività in pista e lui ha detto: “Il motociclismo non è uno sport di contatto, ma c’è contatto perché quando si corre insieme sugli stessi tempi, c’è un posto, una traiettoria buona e due piloti vogliono farla entrambi. Uno difende e l’altro attacca. Ci sono piloti che dicono che lo spazio deve esistere, altri dicono che invece dev’essere creato. Se quello che è davanti difende bene, tu devi creare lo spazio. Io sono della filosofia che lo spazio si crea”. Nonostante sia già arrivato a vincere sette titoli mondiali, Marquez spesso cade durante i turni di prove libere: “Quando cadi da una moto a 350 km/h pensi solo ad una cosa: tornare in sella. A nessuno piace cadere. La peggior caduta è stata quella del 2013, al Mugello, è stata l’unica volta che ho avuto paura e non avevo voglia di tornare alla guida”. Finora nella sua carriera non sono stati tanti gli infortuni rimediati, ma il peggiore lo ricorda bene: “Quello del 2011. Andai addirittura da otto dottori e psicologicamente non fu facile. Avevo dei problemi alla vista. Non potevo guardare in basso e se guardavo in alto vedevo doppio. Non ho mai pensato che non avrei mai più potuto guidare”. E il limite? “La chiave è non pensare dov’è il limite. Non esiste il limite, ce lo poniamo da soli. Devi incontrarlo il più tardi possibile. Il tuo primo rivale sei sempre te stesso. Nella pista non ci sono amici, devi essere egoista. Fuori, nella vita normale, sono una persona diversa: provo a stare con i miei amici e mi prendo cura di loro”.
Un documentario su Marc Marquez è andato in onda sul canale DAZN che da quest’anno trasmette il Motomondiale in Spagna. Lo spagnolo ha raccontato diversi aspetti della sua vita e della sua carriera, tra cui il suo primo titolo in MotoGP. Infatti nel 2013 riesce nell’impresa di vincere il titolo iridato della classe regina nel suo anno di debutto e ha raccontato: “Il fatto di essere un debuttante mi ha aiutato molto a vincere perché non avevo pressione. Valeva tutto. Per me non cambiavano molto le cose tra essere campione o meno. Nella mia testa c’è solo vincere o perdere, bianco o nero. Non esiste il grigio”. In questo sport spesso si parla tanto dell’aggressività in pista e lui ha detto: “Il motociclismo non è uno sport di contatto, ma c’è contatto perché quando si corre insieme sugli stessi tempi, c’è un posto, una traiettoria buona e due piloti vogliono farla entrambi. Uno difende e l’altro attacca. Ci sono piloti che dicono che lo spazio deve esistere, altri dicono che invece dev’essere creato. Se quello che è davanti difende bene, tu devi creare lo spazio. Io sono della filosofia che lo spazio si crea”. Nonostante sia già arrivato a vincere sette titoli mondiali, Marquez spesso cade durante i turni di prove libere: “Quando cadi da una moto a 350 km/h pensi solo ad una cosa: tornare in sella. A nessuno piace cadere. La peggior caduta è stata quella del 2013, al Mugello, è stata l’unica volta che ho avuto paura e non avevo voglia di tornare alla guida”. Finora nella sua carriera non sono stati tanti gli infortuni rimediati, ma il peggiore lo ricorda bene: “Quello del 2011. Andai addirittura da otto dottori e psicologicamente non fu facile. Avevo dei problemi alla vista. Non potevo guardare in basso e se guardavo in alto vedevo doppio. Non ho mai pensato che non avrei mai più potuto guidare”. E il limite? “La chiave è non pensare dov’è il limite. Non esiste il limite, ce lo poniamo da soli. Devi incontrarlo il più tardi possibile. Il tuo primo rivale sei sempre te stesso. Nella pista non ci sono amici, devi essere egoista. Fuori, nella vita normale, sono una persona diversa: provo a stare con i miei amici e mi prendo cura di loro”.
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